18 Marzo 2025

Risarcimento: clausola penale in materia di appalto

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Ordinanza del 16.05.2022 n. 15578, Sez. II, Presidente Dott.ssa R. M. Di Virgilio, Estensore Dott. M. Bertuzzi

Massima: “La clausola penale convenuta per il solo ritardo nell’adempimento non può coprire anche il periodo successivo alla manifestazione della volontà della parte non inadempiente di risolvere il contratto, avvalendosi delle ipotesi di risoluzione di diritto ovvero mediante domanda giudiziale, dal momento che tale iniziativa segna il limite temporale della possibilità per l’altra parte di adempiere, ai sensi dell’art. 1453, comma 3, c.c..

CASO

Con atto di citazione del 2009 Tizio e la Società Gamma S.r.l. unipersonale, convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Perugia, Caia, affinchè la stessa fosse condannata al pagamento della somma di € 69.856,66, oltre iva, come saldo per i lavori di ristrutturazione dell’immobile, pari alla differenza tra l’importo ancora dovuto, al netto degli acconti già corrisposti di € 84.914,90, nonché il costo della eliminazione dei difetti riscontrati in ragione del procedimento per Accertamento Tecnico Preventivo, pari alla somma di € 15.058,28.

Costituitasi in giudizio, Caia contestava le pretese attoree eccependo che i difetti riscontrati nelle opere erano più gravi di quelli accertati, essendo risultati necessari la demolizione ed il rifacimento integrale dei solai, domandando in via riconvenzionale, la condanna della Società attrice al pagamento della somma di € 215.657,50, corrispondente ad € 180.657,50 al costo delle opere per l’eliminazione dei difetti e per la restante parte relativa agli ulteriori danni derivanti dall’inadempimento dell’impresa.

Svolta la Consulenza Tecnica d’Ufficio, con sentenza del 2016, il Tribunale di Perugia rigettava le domande attoree, ed in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava la Società Gamma S.r.l. unipersonale alla corresponsione della somma pari ad € 123.759,99, pari al costo delle opere di rifacimento come quantificato dal CTU.

Entrambi le parti interponevano appello avverso la pronuncia del giudice delle prime cure.

La Corte distrettuale di Perugia, con sent. n. 264 del 6 maggio 2019, disposta una nuova Consulenza Tecnica d’Ufficio, riformava parzialmente la decisione delle prime cure, condannando Tizio e la Società Gamma S.r.l. unipersonale al pagamento della somma pari ad € 130.059,50, maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, in favore della Sig.ra Caia; condannava altresì quest’ultima al pagamento a favore di Tizio e della Società Gamma S.r.l. unipersonale al pagamento della somma pari ad € 84.914,50, dichiarando infine compensati le rispettive poste creditorie fino alla concorrenza delle spese.

La Corte territoriale perveniva alle menzionate conclusioni sulla base delle argomentazioni di seguito esposte.

Invero, posto che i litiganti non avevano dedotto la presenza di vizi delle opere così come accertati con sentenza di prime cure ma unicamente la determinazione dei lavori necessari per la loro eliminazione da parte di Tizio e della Società Gamma S.r.l. unipersonale, ed il relativo costo – le contestazioni svolte dalle parti andavano disattese avuto riguardo alle conclusioni del tecnico incaricato d’ufficio relative alle opere di rifacimento e che la convenuta aveva accettato (in udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado) la quantificazione effettuata dal medesimo tecnico.

La domanda riproposta da Caia in sede di impugnazione relativa alla condanna della controparte al pagamento della penale per il ritardo nella esecuzione delle opere era fondata limitatamente al minor importo di € 6.300,00, calcolato sulla base della relativa clausola contrattuale in € 100,00 per ogni singolo giorno di ritardo considerato che il termine per la conclusione dei lavori era stato previsto dalle parti per il 14 novembre 2006 e che la committente aveva comunicato la propria intenzione di risolvere il contratto in data 5 febbraio 2007.

Le altre domande proposte relative al risarcimento di danni ulteriori avanzate dalla Sig.ra Caia erano inammissibili, considerato che quella circa il pregiudizio derivante dal mancato contributo sismico per mancata valorizzazione delle particolarità storico documentali dell’edificio era stata proposta per la prima volta in appello, mentre la richiesta per la perdita del contributo dovuta al sottodimensionamento dell’immobile era stata rinunciata.

Ne conseguiva che la decisione del Tribunale di Perugia andava riformata nella parte in cui non aveva riconosciuto il diritto dell’impresa al saldo del compenso per le opere eseguite, pari ad € 84.914,94, in quanto “essendo stato il medesimo appaltatore condannato al risarcimento del costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti accertati, il disconoscimento del compenso stabilito in contratto avrebbe comportato la possibilità per l’altra parte di ottenere la prestazione, sia pure per equivalente, senza nulla dare in cambio, con ingiustificata locupletazione e tenuto altresì conto che, in caso di recesso o risoluzione del contratto, spetta comunque all’appaltatore il compenso per le opere eseguite, ai sensi dell’art. 1671 c.c.

Avverso la decisione della Corte Distrettuale di Perugia, ricorreva in Cassazione la Sig.ra Caia, sulla base di cinque motivi.

Il Sig. Tizio e la Società Gamma S.r.l. unipersonale, notificavano controricorso e ricorso incidentale sulla base di due motivi cui resisteva con controricorso la ricorrente principale.

Il Procuratore Generale depositava le conclusioni scritte come in epigrafe indicate.

La trattazione del ricorso si svolgeva ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis, D.L. n. 137/2010, convertito con legge n. 176/2010 in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti non essendo stata presentata la richiesta di discussione orale.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15578 del 161 maggio 2022, rigettava il ricorso principale proposto dalla Sig.ra Caia, nonché il ricorso incidentale proposto dal Sig. Tizio e dalla Società Gamma S.r.l. unipersonale.

Dichiarava compensatele spese di giudizio tra le parti.

Dava atto che sussistevano i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

QUESTIONI

Con il primo motivo di ricorso principale Caia denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1665 c.c., 116 c.p.c. e 1322 ss c.c., per avere il giudice dell’appello accertato in capo alla controparte il diritto ad ottenere il saldo del corrispettivo pattuito.

La ricorrente sosteneva che detta conclusione fosse erronea in quanto l’appaltatore non ha diritto al prezzo delle opere laddove – come nel caso di specie – le medesime siano viziate da difetti tali da renderle completamente inservibili al punto da renderne necessaria la demolizione ed il successivo rifacimento.

Con il secondo motivo censurava ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte distrettuale di Perugia avrebbe non tenuto conto – nel riconoscere a favore della controparte il diritto al compenso per le opere svolte come previsto da contratto – che le opere dal medesimo eseguite “erano totalmente inutilizzabili, essendo l’intero fabbricato a rischio sismico, e quindi nessuna utilità per la committente”.

La Suprema Corte di Cassazione esaminava i primi due motivi di ricorso suestesi in quanto ritenuti in connessione obbiettiva tra di loro: tuttavia li dichiarava entrambi infondati.

Segnatamente la il giudice delle seconde cure, accertava il diritto dell’impresa al pagamento del corrispettivo per i lavori contrattualmente previsto in ragione del fatto che, essendo stata la stessa condannata al pagamento dell’integrale ammontare dei costi per l’eliminazione dei difetti delle opere eseguite, il conseguente disconoscimento del diritto al pagamento dei compensi avrebbe comportato a favore della committente una “evidente ingiustificata locupletazione”, in quanto la medesima avrebbe da un lato ricevuto la prestazione dovuta senza però “dare nulla in cambio”.

Pertanto, così motivata la decisione del giudice devono ritenersi infondate le censure della Sig.ra Caia, atteso che la medesima in primo grado aveva avanzato domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per i difetti delle opere eseguite, nonché del principio di diritto in ragione del quale “il danno risarcibile deve essere concretamente inteso in forza di una valutazione globale delle conseguenze dirette che l’illecito produce nella sfera giuridica del danneggiato”.

Pertanto correttamente si pronuncia il giudice delle seconde cure ove dispone che “la liberazione della committente dall’obbligo di pagamento del compenso dell’appaltatore le avrebbe comportato un vantaggio ulteriore ed ingiustificato rispetto alla reintegrazione della sua sfera patrimoniale, ottenuta con la pronuncia che aveva posto a carico dell’altra parte il costo dell’esecuzione dei lavori di eliminazione dei difetti delle opere appaltate”.

Inoltre, la deduzione in ragione della quale si denunciava un inadempimento in termini assoluti da parte dell’appaltatore non risultava in alcun modo supportata dalle risultanze della causa, anzi, si poneva in contraddizione con la ricostruzione fattuale della lite effettuata nella sentenza impugnata e dal ricorso – rispetto al quale si evince che la denuncia dei difetti dei lavori riguardasse solamente una parte dei lavori e non la totalità di essi – “nella specie quella relativa ai solai, a fronte di un appalto che investiva invece la ristrutturazione e risanamento dell’intero edificio, tant’è che la domanda riconvenzionale della committente non ha coinvolto i pagamenti parziali effettuali nel corso dei lavori, per un importo di € 70.000,00, di cui non ha chiesto la restituzione”.

Pertanto, il successivo richiamo al precedente giurisprudenziale della Corte di legittimità n. 7061 del 2002 che così disponeva “In tema di appalto, allorquando risultino accertati i vizi dell’opera, la responsabilità dell’appaltatore va quantificata nella spesa necessaria per l’eliminazione degli stessi, anche ove questa comporti l’integrale rifacimento dell’opera, mentre il diritto dell’appaltatore alla percezione d’un qualsivoglia compenso per la detta opera può essere riconosciuto solo se e nella misura in cui una parte della stessa rimanga in qualche modo utilizzabile ed utilizzata, di guisa che il committente possa trarne effettivo ed apprezzabile giovamento: esso, pertanto, non è compatibile con un inadempimento dell’appaltatore totale ed assoluto, inadempimento che, rendendo l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, comporta un difetto funzionale della causa del contratto e legittima il committente a chiederne la risoluzione”.

Il precedente richiamato infatti, esclude che il pagamento a favore dell’appaltatore vada eseguito laddove vi sia un inadempimento totale ed assoluto, tale da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione.

Inoltre, il mancato riconoscimento del compenso pattuito nei termini di cui alla pronuncia n. 7061 del 2002 non implica che il compenso pattuito per l’appalto integri una voce che non deve essere presa in considerazione in sede di condanna dell’appaltatore al risarcimento del danno “pari al costo dei lavori necessari per l’eliminazione dei difetti delle opere, anche nel caso in cui essi consistano nel loro integrale rifacimento”.

Segnatamente è necessario delimitare il danno risarcibile in casi di assoluto inadempimento da parte dell’appaltatore che, facendo riferimento al costante orientamento giurisprudenziale della Corte di legittimità, “nel caso di risoluzione del contratto di appalto per totale inidoneità dell’opera alla sua destinazione, ha chiarito che il risarcimento dovuto al committente dall’appaltatore non può comprendere l’intero costo necessario per il rifacimento dell’opera, ma solo la differenza  fra esso e la somma che la parte avrebbe dovuto versare all’appaltatore rimasto inadempiente[1]”.

Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente in via principale censurava la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 lettera a) e b) del contratto di appalto e 5 sempre del contratto e violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., rispetto al capo della decisione che ha liquidato la penale per il ritardo imputato all’impresa in misura inferiore a quella da quella pattuita.

In particolare, secondo la ricorrente, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto del fatto che il sinallagma faceva “salvo il diritto del committente di applicare la penale in caso di mancata ultimazione dei lavori e che l’impresa si era rifiutata di porre rimedio ai difetti dalla stessa riconosciuti”.

La Corte di legittimità riteneva anche il terzo motivo inammissibile in quanto la ricorrente con la censura in esame avrebbe sottoposto alla Corte di Cassazione una questione relativa ad una clausola contenuta nel contratto di appalto sussumibile in una questione di merito e non di legittimità che pertanto non possono essere oggetto di decisone nel giudizio di legittimità ove possono essere denunciate unicamente questioni inerenti a violazione di norme di diritto.

Ugualmente infondata è la censura relativa alla presunta violazione dell’art, 116 c.p.c., in quanto ad avviso della corte di ultima istanza non vi sarebbe “alcuna relazione tra la censura sollevata e la disposizione di legge richiamata, che attiene alla valutazione delle prove da parte del giudice di merito”.

Peraltro, la denuncia non riguarda la ratio della decisione oggetto di impugnazione, la quale ha rilevato l’operatività della clausola penale per il ritardo solo sino al momento in cui il rapporto contrattuale ad essa sotteso permanga in vita e non già “per il periodo successivo in cui, per effetto della risoluzione del contratto manifestata dalla committente, l’appaltatore non era comunque più in grado di adempiere”.

Infatti la Corte d’appello di Perugia correttamente valutava che l’operatività della clausola penale prevista nel contratto convenuta per il solo ritardo nell’adempimento della prestazione non può estendersi sino a ricomprendere anche il periodo successivo alla manifestazione di volontà della controparte di sciogliere il contratto mediante il ricorso alla risoluzione contrattuale “avvalendosi delle ipotesi di risoluzione di diritto ovvero mediante domanda giudiziale, dal momento che tale iniziativa segna il limite temporale della possibilità per l’altra parte di adempiere, ai sensi dell’art. 1453, comma 3, c.c.)[2]”.

Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente censurava la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per non aver il giudice delle seconde cure pronunciato sulla domanda di risarcimento del danno da essa subito per la perdita del contributo dovuta al sottodimensionamento dell’immobile, dichiarando erroneamente che essa era stata rinunciata, mentre era stata richiesta espressamente nell’atto di appello.

Con il quinto e ultimo motivo di ricorso, la ricorrente lamentava la violazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto il giudice dell’appello avrebbe dichiarato inammissibile la richiesta di risarcimento del danno per mancato contributo sismico dipeso dalla non valorizzazione delle particolarità storico documentali dell’edificio, ritenendo altresì erroneamente che la medesima fosse stata proposta per la prima volta in sede di appello incidentale ed il relativo danno era stato riconosciuto dal CTU.

La Corte di Cassazione riteneva anche questi ultimi due motivi di ricorso infondati per le ragioni di seguito esposte.

Segnatamente avuto riguardo al quarto motivo di ricorso la Sig.ra Caia si limitava a sostenere che la domanda era stata avanzata in secondo grado senza contestare l’affermazione di avervi rinunciato nel primo grado “riservandosi di proporla in altro giudizio, come affermato dalla sentenza impugnata”, al contempo con riferimento al quinto motivo non specifica di avere proposto la relativa domanda già in primo grado ovvero l’atto processuale in cui l’avrebbe avanzata.

Ne consegue il totale rigetto del ricorso in via principale.

Rispetto al ricorso in via incidentale avanzato dal Sig. Tizio e dalla Società Gamma S.r.l. unipersonale, con il primo motivo i medesimi denunciavano la violazione e falsa applicazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c., censurando la Corte d’appello in quanto la medesima avrebbe ritenuto non ammissibile la contestazione avanzata dalla parte relativamente alla quantificazione del costo dei lavori di rifacimento, in ragione del fatto che essi dovevano essere limitati ai solai centrali e non estesi a quelli laterali per non avere la parte formulato nell’atto di impugnazione “specifiche censure alla stima, senza considerare tuttavia che la contestazione si fondava su nuovi rilievi della consulenza tecnica svolta in secondo grado, sicchè essa non poteva essere formulata con l’atto di impugnazione”.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale, i ricorrenti denunciavano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669, comma 1, c.c., rilevando che “non dando ingrasso alla censura relativa al ricalcolo dei costi di rifacimento dei solai, che andava limitato solamente a quelli centrali, la Corte di appello ha liquidato il danno in misura eccedente l’effettivo costo di eliminazione dei difetti”.

Il primo motivo di ricorso incidentale veniva dichiarato infondato.

La deduzione svolta dal giudice delle seconde cure si appalesa coerente con il rilievo non oggetto di contestazione tra le parti in ragione del quale non aveva denunciato nel proprio atto di impugnazione in appello la presenza dei vizi delle opere accertati con sentenza di primo grado, pertanto la questione sulla esistenza o meno dei suddetti vizi era ormai passata in giudicato e definitivamente accertata giudizialmente senza che la medesima potesse essere nuovamente oggetto di discussione tra le parti.

La Corte dichiarava altresì infondato il secondo motivo di ricorso incidentale essendo strettamente connesso al primo, concludendo pertanto con il rigetto integrale anche del ricorso incidentale.

[1] Cass. Civ. n. 17453/21

[2] Cass. Civ. n. 10441/17

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Mediazione alla luce della riforma Cartabia e ultimi decreti attuativi