Cancellazione della società: i soci rispondono delle passività non estinte nei limiti dell’attivo residuo
di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, Sezione I, Sentenza n. 18720 del 9 luglio 2024.
Parole chiave: cancellazione della società – responsabilità dei soci – successione nei rapporti patrimoniali – attivo residuo – liquidazione – bilancio – obbligazioni sociali residue
Massima: “In caso di cancellazione di una società dal registro delle imprese, i soci subentrano nelle posizioni giuridiche attive e passive della società estinta, a condizione che residuino beni o somme non ancora ripartite. Ai fini dell’individuazione della responsabilità patrimoniale dei soci, non è necessaria la prova della materiale riscossione delle somme, ma è sufficiente accertarne l’astratta attribuzione quale esito della liquidazione”
Disposizioni applicate: articolo 2495 c.c.
Un condominio adiva il Tribunale competente al fine di ottenere la condanna di una società al risarcimento dei danni derivanti da vizi di costruzione riscontrati nelle parti comuni dell’edificio, nonché per la ridotta fruibilità dei relativi impianti e servizi. La società convenuta si costituiva in giudizio, chiamando in causa gli eredi del titolare dello studio tecnico che aveva curato la progettazione e la direzione dei lavori.
Il Tribunale accertava la responsabilità della società (medio tempore cancellata del registro delle imprese) e dei terzi chiamati, pronunciandone la condanna in solido tra loro al risarcimento del danno in favore del condominio. Con specifico riferimento ai soci della società estinta, il giudicante riteneva che le somme residue, incluse quelle iscritte a bilancio sotto la voce “fondi per rischi e oneri”, fossero state implicitamente trasferite ai soci stessi, configurandone così una responsabilità nei limiti del patrimonio netto risultante al termine della liquidazione.
La Corte d’Appello, investita dell’impugnazione, giungeva a conclusioni opposte: essa osservava che l’indicazione contabile di somme accantonate non fosse di per sé sufficiente a dimostrare la loro effettiva attribuzione ai soci, mancando una prova concreta della riscossione da parte di questi ultimi. In assenza di tale dimostrazione, escludeva quindi la possibilità di imputare ai soci l’obbligazione risarcitoria derivante dalle passività non definite all’esito della liquidazione sociale.
La controversia veniva dunque sottoposta al vaglio della Suprema Corte, la quale veniva chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione dell’art. 2495, comma 2, c.c. e sul criterio da adottare per determinare la responsabilità patrimoniale dei soci di una società cancellata.
La Cassazione, richiamando il principio consolidato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6070 del 2013, ha riaffermato che “i soci succedono nei rapporti obbligatori della società estinta, nei limiti di quanto riscosso in base al bilancio finale di liquidazione”.
Nel riaffermare tale principio, la Suprema Corte ha censurato l’impostazione della Corte d’Appello, chiarendo che non è necessario provare la materiale riscossione delle somme, bensì la loro astratta attribuzione ai soci quale conseguenza della liquidazione.
Ciò significa che la responsabilità patrimoniale dei soci non dipende dalla prova del fatto che abbiano effettivamente ricevuto denaro o beni, ma dal riconoscimento del loro diritto a riceverli in virtù della chiusura del bilancio di liquidazione.
In ragione di tale principio, la Cassazione ha accolto i motivi di ricorso attinenti alla responsabilità dei soci, cassando con rinvio la sentenza impugnata e demandando alla Corte d’Appello, in diversa composizione, un nuovo esame della vicenda, con onere di statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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