Responsabilità degli amministratori, dei sindaci e del revisore per il c.d. danno “diretto” e “da prospetto”: alcune considerazioni in materia di assetti adeguati
di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDFTribunale di Venezia, Sezione Specializzata in materia di Impresa Sentenza n. 3942 del 07 novembre 2024,
Parole chiave: Responsabilità amministratori, sindaci e revisore; responsabilità per danno diretto; responsabilità c.d. “da prospetto”; prova; assetti adeguati;
Massima: “Se il fondamento della domanda nei confronti degli amministratori, dei sindaci e del revisore contabile per il risarcimento c.d. danno “diretto” (artt. 2395 e 2407 c.c. e art. 15 del D. Lgs. n. 39/2010) e la responsabilità c.d. “da prospetto” (art. 94, comma 8, T.U.F.) è l’erroneità/falsità delle risultanze del bilancio relativamente ai crediti verso la clientela e alla svalutazione dei medesimi, la dimostrazione di tale circostanza presuppone l’espletamento di una C.T.U. che analizzi la documentazione contabile della società relativa alle singole posizioni creditorie verso i clienti e le caratteristiche di queste ultime, come la tipologia del contratto, la natura e la persistenza dell’esposizione debitoria del cliente, l’andamento del rapporto, le prospettive di rientro, l’esistenza di contenziosi, la presenza di garanzie e la loro natura, l’effettuazione di segnalazioni alla Centrale Rischi, il grado di solidità finanziaria del cliente”.
Riferimenti normativi: Art. 2086 cc; art. 2395 cc; art. 2407 cc; art. 15 D.Lgs 38/2010; art. 94 T.U.F.; art. 3 CCII;
CASO
Gli attori hanno promosso giudizio contro i componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale di Alfa Banca S.p.a. nonché della società incaricata della revisione contabile di quest’ultima, chiedendo che tutti i convenuti siano condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni derivati alla partecipazione all’aumento del capitale sociale di Alfa Banca.
Affermavano gli attori di aver partecipato all’aumento di capitale sottoscrivendo le azioni il cui valore era stato determinato recependo le risultanze del bilancio; tuttavia, il bilancio successivo aveva registrato ingenti perdite dovute in gran parte alla svalutazione del portafoglio crediti, perdite che provocavano una prima drastica riduzione del valore delle azioni, seguente ad una lettera della Banca Centrale Europea, una successiva ulteriore diminuzione in occasione della Banca da Cooperativa in S.p.A., nonché infine l’azzeramento delle stesse allorquando l’istituto veniva posto in liquidazione coattiva.
Gli attori, quindi, contestavano agli amministratori di avere determinato il valore delle azioni utilizzando in modo acritico le risultanze del bilancio, nonostante fossero palesemente errate, nonché il fatto che gli stessi fossero a conoscenza o avrebbero dovuto diligentemente avvedersi di tale circostanza in quanto sia la Consob che la Banca d’Italia avevano antecedentemente raccomandato all’istituto di credito di operare una prudente svalutazione del portafoglio crediti.
Nel contempo gli attori contestavano ai sindaci e al revisore di essere responsabili per culpa in vigilando, ritenendo che gli stessi avessero causalmente contribuito alla causazione del danno non essendosi avveduti dell’erronee risultanze del bilancio e di non aver diligentemente controllato la conformità dell’operato degli organi gestori ai principi di corretta amministrazione.
SOLUZIONE
Il Tribunale ha respinto la domanda ritenendo che gli attori non avessero debitamente adempiuto al proprio onere di prova.
QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA
La sentenza in commento ha il pregio di analizzare l’onere della prova a carico degli attori, affrontando altresì il tema dei poteri del CTU e della concedibilità dell’ordine di esibizione in relazione ad un danno che si assume conseguire ad errate risultanze di bilancio relative a crediti verso la clientela e alla svalutazione dei medesimi.
Il Tribunale lagunare precisa anzitutto che le azioni promosse vanno identificate come azioni volte ad accertare la responsabilità degli amministratori, dei sindaci e del revisore per c.d. danno “diretto” (artt. 2395 e 2407 c.c. e art. 15 del D. Lgs. n. 39/2010) e la responsabilità c.d. “da prospetto” (art. 94, comma 8, T.U.F.).
Indi giunge a respingere la domanda proposta rilevando che gli attori non hanno adempiuto all’onere probatorio che derivava dalla natura dell’azione: avendo sostenuto l’erroneità delle risultanze di bilancio quale conseguenza della svalutazione delle posizioni dei clienti verso l’istituto di credito, gli attori avrebbero dovuto provare, tramite l’analisi delle singole posizioni creditorie della banca verso i clienti e delle caratteristiche di queste ultime, se e in che misura la svalutazione dei crediti fosse stata corretta, la portata dell’errore, la percepibilità da parte dei convenuti e il valore corretto delle azioni previa effettuazione delle necessarie rettifiche.
Tale conclusione, risulta conforme a precedenti decisioni sia del Tribunale di Venezia, sezione Specializzata in materia di imprese, che della Corte di Cassazione.
A tal fine, vale la pena trascrivere letteralmente quanto statuito dal Tribunale in una sentenza anteriore temporalmente a quella in commento: “Occorre porre mente al fatto che, per aversi responsabilità personale dell’amministratore verso il terzo contraente, non è sufficiente che la società amministrata abbia posto in essere un illecito di natura contrattuale poiché la condotta inadempiente, ancorché posta in essere dall’amministratore in forza del suo rapporto di immedesimazione organica con la società, è condotta inadempiente della società che genera dunque ex se solo responsabilità contrattuale della società e non personale dell’amministratore. La responsabilità personale dell’amministratore verso il socio o il terzo contraente ex art 2395 cc o art 2476 VII comma cc necessita di un quid pluris: non basta un danno che sia frutto del comportamento inadempiente, ma è necessario che il danno non solo sia diretto (e cioè incidente direttamente sulla sfera del socio o del terzo e non mero riflesso del danno al patrimonio sociale), ma sia altresì legato da nesso di causalità immediata (sia cioè conseguenza immediata e diretta) con veri e propri comportamenti illeciti (colposi o dolosi) dell’amministratore, che “vadano oltre” il mero comportamento di inadempienza contrattuale. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi e precisati dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 12.2.2020 n. 3452, ove si legge che l’azione ex articolo 2395 c.c. (e lo stesso vale anche per la responsabilità ex art 2476 VII comma c.c) “richiede una condotta illecita connotata da dolo o colpa che trascenda il mero inadempimento contrattuale, seppure possa essere ad esso connessa. Nel caso in cui il terzo alleghi di essere stato indotto a contrattare con la società, poi rimasta inadempiente per il fatto che dai bilanci risultassero circostanze non rispondenti al vero che lo abbiano indotto a concludere il contratto, la S.C. ha precisato che “egli è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno, importando il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità art. 2395 c.c., un esame rigoroso del nesso causale, secondo un principio di causalità ancorato al criterio del “più probabile che non”” (Cass. civ. sent. 17794 del 2015)” (Tribunale di Venezia Sezione specializzata in Materia di Impresa, 25 marzo 2022 n. 589/2022).
Tornando quindi al provvedimento in esame, il Tribunale si esprime sulla prova che avrebbe dovuto esser stata fornita dagli attori, rilevando come l’analisi delle posizioni creditorie oggetto di svalutazione ben poteva conseguire ad una CTU che a tal fine avrebbe dovuto indagare anche la tipologia del contratto, la natura e la persistenza dell’esposizione debitoria del cliente, l’andamento del rapporto, le prospettive di rientro, l’esistenza di contenziosi, la presenza di garanzie e la loro natura, l’effettuazione di segnalazioni alla Centrale Rischi, il grado di solidità finanziaria del cliente.
Rileva infatti il Tribunale che parte attrice non aveva prodotto documenti idonei né la documentazione necessaria era stata oggetto di una specifica richiesta di ordine di esibizione, il quale viceversa era ritenuto generico ed esplorativo, e quindi inammissibile essendo teso ad acquisire una “mole indiscriminata di documentazione, nell’auspicio di individuare all’interno della stessa quella pertinente e dirimente ai fini del contendere”.
Infine, il Tribunale affronta il tema della CTU contabile, sia sotto l’aspetto dell’ammissibilità sia sotto il potere del CTU contabile di acquisire i documenti.
Va sottolineato che circa l’ammissibilità o meno della CTU il Tribunale è perentorio: l’assenza di una corretta e conferente istanza di esibizione, impedisce di acquisire quella documentazione che il CTU avrebbe dovuto analizzare. Dal che consegue l’inammissibilità della CTU.
Quanto poi al potere del CTU contabile di acquisire documenti anche relativi a fatti principali, il Tribunale sottolinea come ciò dovesse aver luogo con il necessario consenso di tutte le parti in causa, circostanza questa non realizzatasi per l’opposizione di un convenuto.
Vale la pena in conclusione soffermarsi sull’applicazione del principio degli adeguati assetti di cui all’art. 2086 cc in materia di svalutazione dei crediti vantati dalla società.
La funzione prospettica nella gestione dell’attività di impresa in quanto collegata alla tutela della continuità ha, infatti, un impatto sulla diligenza richiesta in materia di svalutazione dei crediti in bilancio.
A sommesso parere di chi scrive, in linea generale, la previsione introdotta dall’art. 3 CCII introduce in modo oggettivo elementi sintomatici della bontà o meno del credito, elementi che, in un’ottica di diligenza richiesta, vanno ad integrarsi con quanto previsto dall’art. 2426 n. 8 cc e dal principio contabile n. 15 OIC.
Dalla corretta applicazione del principio degli adeguati assetti consegue, in ultima analisi, la possibilità di fondare le azioni oggetto di scrutinio da parte del Tribunale di Venezia in modo più corretto, dovendosi ritenere, nel caso di violazione a detto principio, un necessario ampliamento del potere del CTU contabile di acquisire documentazione sui fatti principali.
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