Smarrimento del testamento olografo e revoca tacita
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. 2, Ordinanza n. 4137 del 18/02/2025
SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – SUCCESSIONE TESTAMENTARIA – TESTAMENTO IN GENERE – REVOCAZIONE DELLE DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE – TACITA – DISTRUZIONE DEL TESTAMENTO OLOGRAFO IN GENERE
Massima: “L’irreperibilità del testamento olografo, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo, mediante la produzione di una copia informale, è equiparabile alla sua distruzione che ingenera una presunzione di revoca dello stesso, non scalfita dal mancato disconoscimento della conformità all’originale – rilevante solo una volta che sia superata la detta presunzione – rispetto alla quale grava su chi vi ha interesse l’onere di provare che esso “fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore” oppure che costui “non ebbe intenzione di revocarlo”; tale prova, salvo che la scomparsa sia dovuta a chi agisce per la ricostruzione del testamento medesimo, può essere data con ogni mezzo, dimostrando l’esistenza dell’olografo al momento della morte ovvero che esso, seppur scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o, comunque, senza alcun concorso della volontà del testatore ovvero, ancora, che la distruzione del testamento da parte di costui non era accompagnata dall’intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute”.
Disposizioni applicate
Articoli 602, 684, 2727, 2729, 2724, 2725, 2697 e 2719 cod. civ.
[1] Tizio adiva il Tribunale per sentire dichiarare la nullità del testamento olografo del proprio fratello, Caio, pubblicato dal notaio Romolo Romani, e conseguentemente dichiarare aperta la successione legittima del medesimo
Esponeva l’attore che Caio era deceduto celibe e senza figli, o ascendenti, e che il notaio aveva pubblicato la fotocopia di un originario testamento olografo di Caio andato perduto, recante su ogni pagina la dicitura “copia conforme all’originale” con la sottoscrizione del de cuius, che non presentava i requisiti richiesti dall’art. 602 cod. civ. per valere come testamento olografo.
I convenuti in giudizio affermavano che la pubblicazione aveva riguardato oltre alla copia del testamento olografo, anche due codicilli in originale di Caio, non contestati nella loro autenticità. I convenuti venivano, inoltre, autorizzati a chiamare in causa il notaio, al fine di chiederne la condanna al risarcimento danni per responsabilità professionale per lo smarrimento dell’originale del testamento olografo di Caio, a lui fiduciariamente consegnato dal de cuius, nell’ipotesi in cui avessero trovato accoglimento le domande dell’attore.
Il notaio chiamato in causa riconosceva di avere provveduto a pubblicare ai sensi dell’art. 620 cod. civ. la copia del testamento olografo di Caio consegnatagli in busta chiusa dalla convivente del defunto, unitamente ai due codicilli in originale che gli erano stati fiduciariamente affidati in custodia dal de cuius, non contestati dall’attore. Raccolto l’interrogatorio formale del notaio ed espletata la prova testimoniale, il Giudice di primo grado rigettava le domande avanzate da Tizio e accertava la pregressa esistenza, con conseguente validità ed efficacia, di un testamento olografo riferibile al de cuius non revocato, di contenuto identico alla copia fotostatica della scheda testamentaria pubblicata dal notaio Romolo Romani.
La Corte d’Appello, adita da Tizio, confermava la decisione di primo grado, rilevando la valenza confessoria delle dichiarazioni a sé sfavorevoli rese in sede di interrogatorio formale dal notaio, allorché questi aveva dichiarato di aver perso l’originale della scheda testamentaria di Caio dallo stesso consegnatagli. La sentenza di secondo grado rilevava poi che la presenza della scheda testamentaria era stata indirettamente confermata dalle testimonianze delle dipendenti dello studio notarile.
[2] Avverso tale sentenza, Tizio proponeva ricorso in Cassazione, fondandolo su quattro motivi, ritenuti fondati dalla Suprema Corte.
Gli Ermellini hanno evidenziato come le motivazioni della Corte d’Appello, abbiano ripreso quello che è l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità[1] secondo cui il mancato reperimento del testamento olografo giustifica la presunzione che il testatore l’abbia distrutto, essendosi affermato che “Il fatto che una scheda testamentaria, di cui si affermi o si provi, l’esistenza in un periodo precedente alla morte del de cuius, sia divenuta irreperibile pone in essere una presunzione di revoca, nel senso che possa essere stato lo stesso testatore a distruggerla a fini di revoca”.
Rilevano, tuttavia, come, i Giudici di secondo grado, nel richiamare i principi espressi da Cass. Civ. n. 22191/2020, ne abbiano travisato il significato.
La Corte d’Appello ha, infatti, ritenuto che la prova della perdita fortuita dell’originale del testamento olografo, avvenuta senza alcun concorso della volontà del testatore, potesse ritenersi acquisita in virtù: a) della mancata contestazione della copia del testamento olografo oggetto di pubblicazione all’originale; b) dell’attestazione di conformità della copia all’originale da parte dello stesso defunto desunta dalle firme al medesimo attribuite sulla copia poi pubblicata e delle dichiarazioni rese dal notaio in sede di pubblicazione; c) dei codicilli autentici firmati da Caio che al testamento olografo poi pubblicato in copia facevano solo generico riferimento; d) delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal notaio Romolo Romani, secondo le quali un originale in tutto conforme alla copia del testamento sarebbe stato da lui smarrito; e) delle testimonianze delle dipendenti dello studio notarile, che pur avendo assistito solo alla pubblicazione della copia del testamento, avevano confermato, in base a quanto dichiarato loro dal notaio-datore di lavoro, quanto dal medesimo riferito circa l’esistenza dell’originale del testamento e la conformità ad esso della copia pubblicata.
[3] Nello smontare la ricostruzione dei giudici di appello, la Suprema Corte ribadisce i principi già espressi nella menzionata sentenza n. 22191/2020:
“A) L’irreperibilità del testamento, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla distruzione, per cui incombe su chi vi ha interesse l’onere di provare che esso “fu distrutto lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore” oppure che costui “non ebbe intenzione di revocarlo”;
B) La prova contraria può essere data, anche per presunzioni, non solo attraverso la prova dell’esistenza del testamento al momento della morte (ciò che darebbe la certezza che il testamento non è stato revocato dal testatore), ma anche provando che il testamento, seppure scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o comunque senza alcun concorso della volontà del testatore stesso;
C) È ammessa anche la prova che la distruzione dell’olografo da parte del testatore non era accompagnata dall’intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute;
D) In presenza di una copia informale dell’olografo, il mancato disconoscimento della conformità all’originale diventa rilevante solo una volta che sia stata superata la presunzione di revoca;
E) Ferma la prioritaria esigenza che sia stata data la prova contraria alla presunzione di revoca, sono applicabili al testamento le norme dell’art. 2724 c.c., n. 3 e art. 2725 c.c., sui contratti. E’ quindi ammessa ogni prova, compresa quella testimoniale e per presunzioni, sull’esistenza del testamento, purché beninteso la scomparsa non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione del testamento”.
[4] Per la Suprema Corte, nel caso di specie, alcun rilievo probatorio decisivo poteva riconoscersi, innanzitutto, alla mancata contestazione della copia del testamento olografo oggetto di pubblicazione, poiché tale aspetto avrebbe potuto assumere rilievo solo una volta superata la presunzione di revoca del testamento olografo non reperito.
In secondo luogo, nessun valore ai fini della prova dello smarrimento del testamento originale poteva attribuirsi alle firme che il predetto avrebbe apposto sulle pagine della copia oggetto di pubblicazione per attestarne la conformità all’originale, posto che esse non presuppongono necessariamente che l’originale sia andato smarrito e, inoltre, deve aggiungersi che i requisiti dell’autografia e della data del testamento olografo prescritti dall’art. 602 cod. civ. non possono essere surrogati da un’attestazione di conformità della copia all’originale asseritamente proveniente dallo stesso testatore.
Ancora, nemmeno i codicilli integrativi certamente autentici di Caio, contenenti un mero riferimento generico al testamento olografo integrato, non forniscono, a giudizio della Suprema Corte, alcuna prova specifica sull’esistenza e sul successivo smarrimento di un testamento olografo di contenuto conforme alla copia oggetto di pubblicazione notarile.
È, infine, sulle dichiarazioni rese dal notaio che si concentra l’analisi della sentenza in commento. Ad esse, come sopra riportato, la Corte d’Appello aveva riconosciuto valenza confessoria, in quanto il predetto aveva ammesso il fatto a sé sfavorevole dello smarrimento dell’originale del testamento olografo.
A giudizio della Cassazione, tuttavia, il valore confessorio di tali dichiarazioni poteva riconoscersi solo con riferimento ai profili di responsabilità professionale e, quindi, in ordine alle richieste risarcitorie nei suoi confronti; non già, invece, sotto il diverso aspetto dell’esistenza dell’originale del testamento ed alla conformità a detto originale della copia oggetto di pubblicazione: tali circostanze non configurano fatti sfavorevoli al notaio, essendo destinate “ad incidere sulla domanda di nullità del testamento (…), alla quale il notaio era estraneo”. Dunque, “quelle dichiarazioni non potevano certo avere valore di confessione, e quindi di prova legale ai sensi dell’art. 2733 cod. civ.”.
Nemmeno, infine, poteva attribuirsi rilievo alla testimonianza resa dalle impiegate dello studio notarile, posto che le stesse riferivano circostanze a cui non avevano assistito, ma conosciute de relato per quanto loro detto dal datore di lavoro-parte in causa e non corroborate da prove oggettive.
[5] Sebbene dal punto di vista strettamente giuridico, il ragionamento della Suprema Corte possa apparire esente da errori, viene spontaneo all’interprete domandarsi dove possa individuarsi il punto di equilibrio tra il rigoroso formalismo che governa la materia testamentaria, i principi di conservazione della volontà del testatore e quelli in materia di prova.
A ben vedere, peculiare è la valutazione effettuata dagli Ermellini in ordine alla valenza probatoria delle dichiarazioni rilasciate dal Notaio. Si legge, infatti, testualmente nella sentenza in commento che si trattava “di informazioni fornite da una parte in causa del giudizio, il notaio (…), che peraltro ben sapeva che poteva essere chiamato a risarcire i danni per lo smarrimento ed aveva quindi tutto l’interesse, per non incorrere in una futura responsabilità professionale, a sostenere non solo di avere avuto la disponibilità dell’originale del testamento olografo (…), ma anche la conformità ad esso della copia pubblicata”. Orbene, anche a prescindere da ogni considerazione in punto di diritto, a giudizio dello scrivente è stato proprio l’avere il notaio ammesso lo smarrimento dell’originale ad esporlo ad una possibile azione di responsabilità. E, se anche non vuole riconoscersi natura confessoria (nel giudizio di nullità) alle dichiarazioni rese dal notaio, forse una diversa valutazione, alla luce anche degli ulteriori elementi rinvenibili nel caso di specie, poteva essere accolta ai fini della determinazione in merito all’esistenza di un testamento di Caio.
Se è vero che all’irreperibilità del testamento olografo consegue una presunzione di revoca, superabile solo a fronte dell’allegazione di prove concrete che dimostrino la perdita fortuita del testamento senza concorso della volontà del testatore; quali possono mai essere tali prove, posto che, a giudizio della Cassazione, nemmeno la dichiarazione resa dal pubblico ufficiale che era stato incaricato della custodia dell’originale (e che non aveva alcun interesse alla regolamentazione della successione nei termini indicati in tale scheda e che dalla dichiarazione resa non potrà che avere conseguenze negative in termini di risarcimento dei danni) viene ritenuta elemento sufficiente a provare lo smarrimento?
[1] Si vedano: Cass. Civ. n. 22191/2020; Cass. Civ. n. 17237/2011; Cass. Civ. n. 12098/1995; Cass. Civ. n.3286/1975
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia