4 Marzo 2025

Individuazione dell’immobile pignorato, dati catastali erronei, aggiudicazione e continuità delle trascrizioni

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 2024, n. 34128 – Pres. De Stefano – Rel. Fanticini

Espropriazione immobiliare – Bene pignorato – Elementi identificativi – Indicazione di dati catastali non aggiornati – Nullità del pignoramento – Esclusione – Condizioni

[1] In tema di pignoramento immobiliare, l’indicazione nell’atto di pignoramento o nella sua nota di trascrizione di dati catastali non aggiornati non ha alcun effetto invalidante, ove non vi sia comunque incertezza sulla fisica identificazione dei beni e ove sussista continuità tra i dati catastali precedenti e quelli corretti al momento dell’imposizione del vincolo, non comportando l’erroneità, di per sé considerata, alcuna confusione sui beni che si intende pignorare.

Espropriazione immobiliare – Continuità delle trascrizioni nel ventennio anteriore al pignoramento – Mancanza al momento del pignoramento – Necessità del ripristino ai fini della vendita del bene – Sussistenza – Mancato ripristino – Invalidità o inefficacia della vendita esecutiva – Esclusione – Conseguenze

[2] In materia di espropriazione immobiliare, è irrilevante che la mancanza di continuità delle trascrizioni nel periodo che va dalla data di trascrizione del pignoramento fino al primo atto di acquisto anteriore al ventennio dalla trascrizione stessa manchi al momento del pignoramento, purché essa sussista prima della liquidazione del cespite; tuttavia, la vendita forzata eseguita senza che sia stata ripristinata la continuità delle trascrizioni non è né invalida, né inefficace, ma eventualmente assoggettabile a evizione (con gli effetti previsti dall’art. 2921 c.c.) e fatta sempre salva, senza limite temporale alcuno, la possibilità di ripristino della continuità delle trascrizioni (con effetto retroattivo ex art. 2650, comma 2, c.c.).

CASO

Il giudice dell’esecuzione, intervenuta l’aggiudicazione dei beni pignorati, la revocava, dal momento che alcuni di essi erano stati identificati nell’atto di pignoramento con i dati catastali soppressi e non con quelli aggiornati, mentre altri erano pervenuti ai debitori esecutati in forza di successione mortis causa senza che fosse stata trascritta a loro favore alcuna accettazione di eredità.

I creditori proponevano avverso le due ordinanze del giudice dell’esecuzione opposizione ex art. 617 c.p.c., che veniva rigettata dal Tribunale di Tivoli.

La sentenza veniva quindi impugnata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] [2] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, reputando insussistenti le condizioni affinché l’identificazione dei beni pignorati mediante dati catastali non più aggiornati potesse comportare la revoca dell’aggiudicazione, mentre l’ha ritenuta correttamente disposta dal giudice dell’esecuzione, sebbene per iniziativa officiosa e non in accoglimento di un’istanza formulata dall’aggiudicatario, una volta riscontrata la mancanza di una serie continua di trascrizioni a partire dall’ultimo atto di acquisto anteriore al ventennio dalla data di trascrizione del pignoramento fino a quest’ultima.

QUESTIONI

[1] [2] Il sistema delle vendite esecutive ha nella stabilità dell’acquisto dell’aggiudicatario uno dei cardini sui quali si gioca la sua attrattività: pochi, infatti, si arrischierebbero a investire per aggiudicarsi un bene sapendo che l’acquisto, una volta perfezionatosi, potrebbe essere messo in discussione e vanificato per errori commessi nell’ambito di un processo rispetto al quale l’acquirente è e rimane sempre terzo, non avendo la possibilità di interloquire in merito al suo svolgimento (soprattutto per quanto riguarda le fasi antecedenti e propedeutiche alla vendita).

Proprio in ragione di ciò, il legislatore ha previsto che, da un lato, le nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non hanno effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente (art. 2929 c.c.) e, dall’altro lato, che l’estinzione o la chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o l’assegnazione non pregiudicano i loro effetti nei confronti degli aggiudicatari o degli assegnatari, che vedono così fatto salvo il loro acquisto (art. 187-bis disp. att. c.p.c.).

Nonostante queste norme istituiscano dei presidi di indubbia efficacia a favore dell’acquirente in sede esecutiva, è chiaro che ciò non esonera il giudice dell’esecuzione dal verificare la sussistenza di tutte le condizioni che legittimano la vendita del bene pignorato: tra queste, va annoverata innanzitutto la titolarità dell’immobile in capo all’esecutato.

A questo proposito, i controlli che il giudice dell’esecuzione – privo di veri e propri poteri di cognizione e di accertamento, che sono tendenzialmente estranei alla giurisdizione esecutiva – è chiamato a compiere sono di carattere formale: in altre parole, la titolarità del diritto oggetto di espropriazione forzata in capo al debitore esecutato non è verificata e appurata alla stregua di quanto avviene in un giudizio diretto ad accertarla con efficacia di giudicato, ma sulla base di indici che consentono di desumerla con un ragionevole livello di certezza e di affidamento, considerato sufficiente per dare corso alla vendita e consentire al processo esecutivo di raggiungere il suo scopo, ossia la soddisfazione dei creditori attraverso il denaro ricavato dalla liquidazione coattiva del bene appartenente all’esecutato.

Perché il giudice dell’esecuzione possa effettuare tali controlli, occorre, in primo luogo, che il bene sia identificato in modo chiaro e inequivoco: l’art. 555 c.p.c., in questo senso, prescrive che l’atto di pignoramento deve contenere gli elementi identificativi dell’immobile che la legge richiede per iscrivere ipoteca, vale a dire la natura del bene e i suoi dati identificativi catastali (così l’art. 2826 c.c.), che andranno riportati anche nella nota di trascrizione del pignoramento.

La corretta ed esatta indicazione di questi dati, dunque, assume rilievo determinante, dal momento che rappresentano il punto di partenza per sviluppare i controlli finalizzati all’emissione dei provvedimenti inerenti alla liquidazione dell’immobile pignorato.

Se sussistono errori o inesattezze, non per ciò stesso il pignoramento andrà considerato invalido o inefficace: analogamente a quanto prevede l’art. 2841 c.c. in materia di ipoteca, la giurisprudenza ha affermato che, anche nell’ambito dell’esecuzione forzata, un tanto si verifica solo quando vi sia un’obiettiva e grave incertezza circa l’identificazione fisica dei beni.

Il che non si verifica quando il creditore abbia richiamato dati catastali non aggiornati, perché, alla data del pignoramento, superati da altri: a tale (solo apparente) discrasia, infatti, può porsi rimedio in diversi modi, cioè avvalendosi delle risultanze della documentazione depositata ai sensi dell’art. 567 c.p.c. (qualora dia contezza dell’evoluzione dei dati catastali, consentendo di ravvisare continuità tra quelli precedenti e quelli attuali), nonché delle indagini affidate all’esperto stimatore e delle relative risultanze riportate nella perizia di stima redatta ai sensi dell’art. 173-bis disp. att. c.p.c. (che, nell’individuarne il contenuto minimo, menziona proprio l’identificazione del bene, comprensiva dei suoi confini e dei dati catastali).

Al limite, si può ipotizzare che l’indicazione di un identificativo catastale obsoleto, ovvero superato e sostituito da un altro, possa ingenerare quell’incertezza idonea a determinare l’invalidità del pignoramento quando il vecchio dato catastale sia rimasto associato a un altro bene, diverso da quello che si intende pignorare: in questo caso, in effetti, non potrebbe affermarsi con certezza che il creditore abbia voluto pignorare un immobile (quello cui in passato era associato un identificativo catastale che ora è riferito a un diverso bene), piuttosto che l’altro (quello che è ora identificato in modo diverso rispetto a quanto riportato nell’atto di pignoramento).

In secondo luogo, il giudice dell’esecuzione deve verificare che sussista una serie ininterrotta di trascrizioni, afferenti all’immobile pignorato, nei venti anni antecedenti alla data di trascrizione del pignoramento: più precisamente, per effetto di quanto affermato da Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2019, n. 15597, tale continuità dev’essere riscontrata a partire dal primo atto di acquisto anteriore a detto arco temporale, giacché ciò rappresenta il modo per conferire alle risultanze della documentazione prescritta dall’art. 567 c.p.c. quel ragionevole grado di affidabilità circa la titolarità del bene in capo all’esecutato – saldando le risultanze e gli effetti dell’acquisto a titolo derivativo del debitore esecutato all’acquisto a titolo originario per decorso del termine ad usucapionem relativo agli immobili – che consente di addivenire alla vendita del bene senza il rischio che l’acquisto dell’aggiudicatario possa essere contestato da terzi.

La continuità delle trascrizioni assurge a vera e propria condizione per l’emissione dell’ordinanza di vendita, sicché, in sua assenza, il giudice dell’esecuzione non può pronunciarla.

Anche in questo caso, tuttavia, non necessariamente l’assenza di tale requisito determina la chiusura anticipata del processo esecutivo, dal momento che l’art. 2650 c.c. prevede, al comma 2, che la continuità delle trascrizioni possa essere ripristinata in qualsiasi momento, con efficacia retroattiva, a patto che, nel frattempo, non siano state effettuate altre trascrizioni, che pregiudicherebbero il successivo acquisto dell’aggiudicatario in virtù della regola dettata dall’art. 2644 c.c.

Riscontrata l’assenza di continuità delle trascrizioni, dunque, il giudice dell’esecuzione, prima di emettere l’ordinanza di vendita, deve assumere i provvedimenti necessari affinché la continuità venga ripristinata, ordinando al creditore procedente o ad altro munito di titolo esecutivo di dare corso alle relative formalità.

Se, ciononostante, l’ordinanza ex art. 569 c.p.c. sia stata ugualmente emessa e l’immobile pignorato sia stato aggiudicato, la vendita non è affetta da alcun vizio che ne comporti l’invalidità o l’inefficacia, anche perché nulla vieta che la continuità delle trascrizioni venga ripristinata a processo esecutivo concluso; in ogni caso, l’aggiudicatario, vedendo pregiudicato il suo acquisto proprio in conseguenza di ciò, è legittimato a fare valere la garanzia per evizione ai sensi dell’art. 2921 c.c.

Tuttavia, come evidenziato nell’ordinanza annotata, se è vero che gli atti di liquidazione già compiuti non potrebbero essere dichiarati nulli o revocati perché viziati, né fondatamente opposti, ciò non significa che il giudice dell’esecuzione, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, non possa revocare ex officio l’aggiudicazione, quando il mancato rilievo di circostanze – quale l’assenza della continuità delle trascrizioni – idonee a minare la stabilità della vendita, non preventivamente segnalate, né altrimenti note ai potenziali acquirenti, sia tale da incrinare e compromettere irrimediabilmente l’affidabilità della liquidazione giudiziale.

Con una precisazione: la revoca può intervenire non già in accoglimento dell’eventuale istanza formulata dall’aggiudicatario, che non è parte del processo esecutivo, bensì quando il giudice dell’esecuzione abbia accertato il suo disinteresse a perfezionare l’acquisto del bene aggiudicato, con correlata assunzione a proprio carico del rischio dell’evizione o dei costi del ripristino della continuità delle trascrizioni.

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