11 Febbraio 2025

Utilizzabilità probatoria degli screenshot di messaggi WhatsApp: conferme e limiti nella giurisprudenza della Cassazione

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. sez. II, 18 gennaio 2025, n. 1254 – Pres. Bertuzzi e Rel. Trapuzzanio

Procedimento per ingiunzione – Opposizione – Prove

(art. 2712 c.c.)

Massima: “I messaggi “whatsapp” e gli “sms” conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di “whatsapp” mediante copia dei relativi “screenshot“, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi”.

CASO

La vicenda giudiziaria trae origine da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Pavia con il quale veniva ingiunto ad A.A. il pagamento della somma di Euro 28.050,00 alla società F.lli B.B. di C.C. e D.D. Snc, a titolo di corrispettivo per la fornitura e l’installazione di serramenti.

A.A. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, contestando la pretesa creditoria e sostenendo che esisteva un accordo con la fornitrice, per un prezzo inferiore a quello ingiunto, derivante da rapporti personali tra il debitore e la figlia di uno dei soci della società creditrice. In particolare, il prezzo della fornitura avrebbe dovuto essere di Euro 8.000,00/10.000,00.

L’opponente dichiarava, inoltre, di aver già corrisposto la somma pattuita, mediante un assegno bancario di Euro 10.000,00, emesso dal proprio padre, in favore di uno dei soci della società.

Il Tribunale di Pavia, accogliendo l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo, ritenendo non dimostrata la pretesa creditoria, in mancanza di riscontri probatori sufficienti.

La F.lli B.B. di C.C. e D.D. Snc impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, lamentando l’erronea valutazione delle risultanze probatorie da parte del primo giudice. La Corte accoglieva il gravame, riformava la sentenza di primo grado e confermava il decreto ingiuntivo opposto.

A.A. ricorreva, quindi, per cassazione, deducendo l’erronea valutazione delle prove e la violazione di norme in materia di documentazione elettronica. Contestava, in particolare, l’utilizzabilità dello screenshot di un messaggio WhatsApp dimesso dalla società creditrice.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1254 del 18 gennaio 2025, ha rigettato il ricorso di A.A., confermando la decisione della Corte d’Appello di Milano.

La Suprema Corte ha ribadito che i messaggi WhatsApp e gli SMS, conservati nella memoria di un telefono cellulare, costituiscono prova documentale e possono essere legittimamente acquisiti mediante semplice riproduzione fotografica. In questa categoria ricadono, quindi, anche gli screenshot. La loro utilizzabilità probatoria è subordinata alla verifica della provenienza e dell’attendibilità del contenuto, elementi che, nel caso di specie, risultavano confermati.

Inoltre, la Cassazione ha rilevato che la prova dell’accordo tra le parti in merito alla fornitura e alla posa in opera dei serramenti era stata ricavata, non solo dallo screenshot del messaggio WhatsApp, ma anche dalle dichiarazioni testimoniali e dalla documentazione contabile prodotta dalla società creditrice. La decisione della Corte d’Appello risultava, quindi, adeguatamente motivata e conforme ai principi in materia di valutazione della prova.

Infine, la Suprema Corte ha ribadito che, in caso di contestazione della conformità di un documento informatico ai fatti rappresentati, il giudice può accertarne la validità anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (ex multis, Cass. 11 maggio 2005, n. 9884; Cass. 26 gennaio 2000, n. 866).

QUESTIONI

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante conferma in merito all’utilizzabilità processuale degli screenshot di conversazioni digitali ed affronta, in modo approfondito, il loro valore probatorio e le condizioni necessarie per la loro ammissione in giudizio.

Gli screenshot non forniscono alcuna certezza che la schermata “fotografata” corrisponda esattamente alla dichiarazione o al messaggio originario, non potendosi escludere che essa riproduca un falso (in tema, G. Gioia, Prova digitale – Screenshot – Il valore probatorio dello screenshot tra processo civile e processo penale, in Giur.it., 2023, p. 2623; F. Novario, Le prove informatiche nel processo civile, Torino, 2014, 193).

La non assoluta affidabilità dello screenshot non impedisce che possa essere utilizzato come prova, ai sensi dell’art. 115, comma 1, c.p.c. La sua produzione in un giudizio civile non comporta una violazione del diritto alla riservatezza, oggi regolato dal GDPR (General Data Protection Regulation, Reg. 679/2016/ EU, adeguato al nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 101/2018. Sul punto v. art. 9, comma 2). L’acquisizione e la produzione in giudizio di una conversazione privata non necessita del consenso dell’autore del messaggio, purché la prova sia pertinente al giudizio e non venga utilizzata per finalità estranee al processo.

L’aspetto centrale della decisione riguarda, appunto, il principio per cui gli screenshot di messaggi elettronici rientrano nella categoria delle riproduzioni meccaniche, di cui all’art. 2712 c.c.

Tali riproduzioni fanno piena prova dei fatti e delle circostanze rappresentate, salvo che la parte contro cui sono prodotti non ne contesti espressamente la conformità (per la precisione, ciò che si disconosce non è la provenienza del documento riprodotto, bensì la rispondenza della riproduzione al documento originale). Questo principio può dirsi pacifico, anche in ragione della equiparazione fra documenti analogici e informatici ai sensi della L. 40/2008, ha trovato conferma anche nelle Sezioni Unite, con la sentenza del 27 aprile 2023, n. 11197.

Le applicazioni pratiche di questa disciplina sono molteplici. Tra le più comuni, si annovera il riconoscimento del debito mediante messaggio WhatsApp, il quale, avendo pieno valore legale, può costituire idoneo fondamento per l’emissione di un decreto ingiuntivo. Un’altra ipotesi significativa riguarda il licenziamento comunicato via WhatsApp: in diversi precedenti giurisprudenziali ne è stata confermata la validità, in quanto tale modalità di comunicazione soddisfa il requisito della forma scritta previsto dalla L. 604/1966, soprattutto quando il lavoratore impugna il licenziamento, dimostrando, così, di aver ricevuto e inequivocabilmente attribuito il messaggio al datore di lavoro (cfr. Trib. Catania, Sez. Lavoro, Ordinanza, 27.06.2017).

Un tema rilevante è quello della verifica dell’attendibilità e della provenienza del messaggio acquisito mediante screenshot. La Cassazione evidenzia che, se il messaggio non viene specificamente disconosciuto, lo stesso è idoneo a fondare una decisione, anche in assenza di ulteriori riscontri probatori. Tuttavia, nel caso in cui venga contestata l’autenticità della comunicazione, il giudice ha il potere di valutare l’attendibilità del documento mediante l’acquisizione di altri elementi probatori, come testimonianze, perizie tecniche o altri riscontri documentali (Cass., 21 febbraio 2019, n. 5141; in dottrina L. Montesano, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile e nella forma negoziale, in Riv. Dir. Proc., 1987, 1 e segg., 8, secondo cui qui si applicano le stesse norme previste per il disconoscimento e la verificazione della scrittura privata e, perciò, gli artt. 216 e segg. c.p.c.).

Ulteriore profilo affrontato dalla Suprema Corte riguarda il parallelismo tra gli screenshot di messaggi WhatsApp e la produzione di e-mail o altre comunicazioni elettroniche. Entrambi rientrano nell’ambito della prova documentale digitale (Denti, voce “Prova documentale”, in Enc. Dir., vol. XXXVII, Milano, 1988, 713 e segg., 719 e seg. Cfr. anche G. Verde, voce “Prova documentale (diritto processuale civile)”, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXV, Roma, 1991, 1; C. Angelici, voce “Documentazione e documento (diritto civile)”, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, 1; S. Patti, Le prove, in G. Iudica e P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, 2a ed., Milano, 2021, 393 ) e possono essere utilizzati in giudizio alle medesime condizioni, con l’onere per la parte che li contesta di fornire elementi concreti per metterne in dubbio l’autenticità (Cass.  16 luglio 2024, n.. 19622; Cass. 30 aprile 2024, n. 11584; Cass. 27 ottobre 2021, n. 30186; Cass. 14 maggio 2018, n. 11606).

Infine, la decisione commentata si inserisce in un quadro normativo in continua evoluzione, derivante dalla crescente digitalizzazione delle comunicazioni. La pronuncia conferma la tendenza ad ampliare le possibilità di prova nel processo civile, rendendo sempre più rilevanti le nuove tecnologie e gli strumenti digitali nella formazione del convincimento del giudice.

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