Efficacia probatoria degli screenshot nel processo civile: analisi e precedenti giurisprudenziali
di Giuseppe Vitrani, Avvocato Scarica in PDFLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1254 del 18 gennaio 2025, Sezione II Civile, ha affrontato nuovamente il tema dell’efficacia probatoria, nel processo civile, dei messaggi WhatsApp e degli Sms prodotti come semplice screenshot e non accompagnati da una perizia forense in grado di confermarne l’autenticità o la provenienza.
Si è dunque affermato che i “messaggi whatsapp e gli “sms” conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di whatsapp mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi. Ne consegue che il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) – e così i messaggi whatsapp – costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, «rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Il tema non è invero una novità e già era stato analizzato nel passato da chi scrive, puntando in particolare l’attenzione sul caso della produzione in giudizio di documenti frutto di scansione (https://www.teamsystem.com/magazine/legal/il-disconoscimento-delle-prove-digitali/).
Le conclusioni cui si giunge, va detto subito, non sono dissimili da quelle del precedente articolo; è però interessante analizzare il percorso logico seguito dalla Suprema Corte perché nasconde spunti per una riflessione sul rapporto tra norme del codice civile, del codice di procedura civile e norme del codice dell’amministrazione digitale.
In maniera assai significativa, poche righe dopo l’enunciazione della massima sopra riportata, la Corte di Cassazione ribadisce la piena efficacia probatoria degli screenshot, anche se privi dell’efficacia della scrittura privata ex art. 2702 c.c. e subito dopo rileva come il ricorrente non avesse “contestato precipuamente l’utilizzabilità processuale del “documento” in sé, piuttosto che la natura artefatta del suo contenuto”.
Questi passi della motivazione meritano attenzione, innanzitutto per il richiamo all’art. 2702 c.c., richiamo che non può non far pensare all’art. 20, comma 1 bis CAD, che dispone testualmente: “il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore”.
In questa occasione, però, ci si distacca dai vincoli del CAD e si afferma che il valore probatorio di un documento informatico (lo screenshot è un documento informatico a tutti gli effetti) non è vincolato al disposto dell’art. 2702 c.c. ma è invece soggetto al disconoscimento di cui all’art. 2712 c.c., che nel caso specifico non era stato effettuato. Come detto poco sopra, infatti, il ricorrente aveva contestato solo l’utilizzabilità del documento ma non ne aveva disconosciuto il contenuto intrinseco.
La presenza di questa norma, importante declinazione del principio dispositivo che informa l’intero processo civile, è dunque fondamentale per due motivi:
- innanzitutto per escludere l’applicazione della norma generale del codice dell’amministrazione digitale;
- in secondo luogo per valutare il comportamento della parte contro cui era stato prodotto il documento.
I principi esaminati costituiscono inoltre orientamento consolidato della Corte di Cassazione, che ha ritenuto legittima l’allegazione in giudizio delle riproduzioni di conversazioni estrapolate dal telefono cellulare del coniuge (v. Cass. 13121/2023)
Fermi i principi che precedono non si può però non allargare il campo a ulteriori considerazioni che muovo dalla constatazione che proprio l’articolo in commento conferisce alla prova lato sensu fotografica (in effetti lo screenshot altro non è che una fotografia digitale di uno schermo) una certa precarietà, stante che è sufficiente un disconoscimento ben circostanziato per costringere la parte che ne abbia interesse a produrre il documento originale. Appare perciò opportuno che vengano comunque adottate misure per preservare l’integrità del documento originale.
Valga al proposito un esempio: è comprensibile che una parte produca degli screenshot estratti da uno smartphone non volendo produrre in giudizio l’intero device o non avendo magari il tempo di far redigere una perizia forense ad un tecnico esperto; questa necessità potrebbe però sopravvenire proprio in caso di disconoscimento della produzione a opera della controparte, sicché appare fondamentale non disperdere la prova originale. Verificandosi quanto previsto dall’art. 2712 c.c. occorrerebbe infatti attivare uno dei comportamenti processuali appena visti (deposito dello smartphone o perizia forense); diversamente la produzione perderebbe ogni efficacia probatoria.
Da ultimo si precisa che le considerazioni svolte in questa sede vanno rigorosamente riferite al solo processo civile; nel processo penale, invece, la giurisprudenza più recente sembra essere orientata verso un maggior rigore e verso la negazione del valore probatorio a documenti come quelli oggetto della presente analisi.
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