28 Gennaio 2025

Contratto preliminare di compravendita immobiliare e condizione potestativa mista  

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., [ord.], Sez. II, 7 gennaio 2025, n. 243 – Pres. Bertuzzi – Rel. Grasso

[1] Contratto preliminare – Condizione potestativa mista – Principio dell’onere della prova – Inadempimento contrattuale – Buona fede

(Cod. civ. artt. 1359; 2932).

[1] “La controversia intercorsa tra promittente alienante e promissario acquirente a riguardo del mancato avveramento di una condizione potestativa mista, apposta nell’interesse di entrambe le parti, non può essere risolta facendo applicazione del generale principio regolante l’onere della prova nei contratti sinallagmatici.

Ma deve accertarsi, sulla scorta delle emergenze di causa e in concreto, se sia individuabile una parte inadempiente o, comunque, prevalentemente inadempiente (nel caso gli inadempimenti fossero reciproci), per avere mancato di comportarsi secondo buona fede, avuto riguardo alla condizione apposta al negozio e in pendenza di essa.” 

CASO

[1] La questione affrontata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in epigrafe trae origine da un contratto preliminare di compravendita stipulato tra società Alfa s.r.l., in qualità di promissaria acquirente, e la Beta s.r.l. in qualità di promittente alienante. Tale contratto era subordinato sia all’approvazione della variante di destinazione d’uso delle aree compromesse sia all’approvazione del leasing con la ulteriore specifica che in caso di mancata approvazione del leasing nei successivi 12 mesi dalla stipula l’acconto versato doveva essere restituito con annullamento dell’accordo.

Non essendo stato approvato il leasing nei termini pattuiti, la società acquirente Alfa aveva adito il Tribunale, chiedendo che fosse accertato l’avveramento della condizione risolutiva espressa, con condanna alla restituzione dell’acconto sul prezzo versato.

Il Tribunale adito, in accoglimento della domanda attorea, ha dichiarato risolto il contratto e condannato la convenuta a pagare la somma di € 350.000,00.

La Corte di Genova, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla Beta s.r.l., dispose il trasferimento immobiliare, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., condizionato al versamento da parte della Alfa s.r.l. dell’importo di € 2.750.000,00.

La sentenza d’appello qualificava la clausola contrattuale come potestativa mista e precisava che, essendo stata inserita nell’interesse di entrambe, la venditrice non era onerata di provare che la mancata concessione del leasing fosse dipesa dal comportamento dell’acquirente ed anzi dato che il soggetto obbligato era proprio la società acquirente quest’ultima avrebbe dovuto provare di aver agito correttamente per ottenere l’approvazione del leasing.

La società Alfa s.r.l. proponeva, quindi, ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi a cui ha resistito la proprietaria con ricorso incidentale condizionato.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione dopo essersi soffermata sulla natura delle condizioni apposte dalle parti nei contratti di compravendita immobiliare ha cassato con rinvio la sentenza impugnata disattendendo i principi espressi dal giudice d’appello.

La Suprema Corte, dopo aver qualificato la condizione relativa alla concessione del mutuo come condizione mista ha affermato che detta concessione dipende anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica ma la mancata erogazione comporta le conseguenze previste dal contratto senza che rilevi, ai fini dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente.

Invero, il comportamento omissivo del promissario acquirente non incide poiché l’omissione di attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituisce fonte di responsabilità in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, da escludere per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo di una condizione mista.

QUESTIONI

[1] La sentenza in commento riveste importanza in quanto consente di analizzare la questione della natura delle clausole relative alle modalità di versamento del prezzo inserite nei contratti preliminari di compravendita immobiliare.

La Suprema Corte ricorda che nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito – patto di cui non è contestabile la validità, poiché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge – la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 cod. civ., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista.

In altre parole, ove le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, tale condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la pratica.

La mancata erogazione del prestito, però, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia interesse all’avveramento della condizione (cd. condizione bilaterale), sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista (Cass. civ. sez. 2, n. 22046, 11/09/2018)

Ove il giudice, nell’accogliere la domanda di adempimento in forma specifica dell’ obbligo di trasferire la proprietà di un bene promesso in vendita, subordini il trasferimento del diritto alla condizione che il promissario acquirente paghi al promittente venditore il saldo del prezzo dopo la stipula del contratto di mutuo ipotecario, l’ottenimento del mutuo non integra una condizione posta nell’ interesse esclusivo di costui, perché entrambe le parti hanno interesse all’ avveramento della condizione (cd. bilaterale).

Ne deriva che è inapplicabile l’art. 1359 cod. civ. che considera avverata la condizione se sia mancata a causa del comportamento del contraente titolare di un interesse contrario esclusivo. Inoltre, essendo di natura mista – in quanto il suo avveramento dipende non solo dal comportamento del promissario acquirente nell’ approntare la pratica, ma anche del terzo nel concedere il mutuo – ai fini dell’art. 1359 cod. civ. il comportamento omissivo del promissario acquirente non rileva, perché l’omissione di attività in tanto può ritenersi contraria a buonafede e costituisce fonte di responsabilità in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, da escludere per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista (Cass. civ. sez. 3, Sentenza n. 23824 del 22/12/2004).

Posto quanto sopra, tuttavia, la condotta delle parti relativamente al segmento della condizione avente natura potestativa assume rilievo e deve essere valutata in coerenza con l’art. 1358 cod. civ., secondo il doveroso canone della buona fede, che implica l’obbligo di non frustrare capziosamente le aspettative dell’altra parte.  Principio questo nitidamente specificato dalle Sezioni unite: Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’art. 1358 cod. civ., che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista (Cass. Sez. Un. sent. n. 18450, 19/9/2005).

Poste queste premesse di carattere generale, la Corte di Cassazione, passando alla disamina del caso di specie, ha affermato che, a differenza di quanto sostenuto dal giudice d’appello, non è consentito sostenere che al promissario acquirente debba addebitarsi il mancato avveramento della condizione per non aver assolto al preteso onere della prova su costui gravante. Il Giudice avrebbe dovuto accertare, sulla scorta delle emergenze di causa e in concreto, se fosse individuabile una parte inadempiente o, comunque, prevalentemente inadempiente (nel caso gli inadempimenti fossero reciproci), per avere mancato di comportarsi secondo buona fede, avuto riguardo alla condizione apposta al negozio e in pendenza di essa, secondo le regole generali.

Per tali ragioni la Corte di Cassazione ha cassata con rinvio la sentenza impugnata rinviando alla Corte d’appello di Genova, in altra composizione, per riesaminare la vicenda facendo applicazione del seguente principio di diritto “La controversia intercorsa tra promittente alienante e promissario acquirente a riguardo del mancato avveramento di una condizione potestativa mista, apposta nell’interesse di entrambe le parti, non può essere risolta facendo applicazione del generale principio regolante l’onere della prova nei contratti sinallagmatici.

Ma deve accertarsi, sulla scorta delle emergenze di causa e in concreto, se sia individuabile una parte inadempiente o, comunque, prevalentemente inadempiente (nel caso gli inadempimenti fossero reciproci), per avere mancato di comportarsi secondo buona fede, avuto riguardo alla condizione apposta al negozio e in pendenza di essa”.

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