28 Gennaio 2025

L’onere probatorio nel reato di abuso di informazioni privilegiate (c.d. trading secondario) ai sensi dell’art. 2729 c.c.

di Asia Bartolini, Dottoressa in Legge Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sez. II, Ord., 27/11/2023, n. 32829

Parole chiave: informazione privilegiata – prova indiziaria – presunzioni gravi, precise e concordanti – OPA totalitaria.

Massima: “Per l’accertamento dell’abuso di informazioni privilegiate possono utilizzarsi le presunzioni semplici, anche di secondo grado, essendo la prova presuntiva l’unica che consenta di accertare il possesso di tali informazioni”.

Disposizioni applicate: art. 187 quater, co. 1, D. Lgs. n. 58 del 1998 (Tuf) – art. 187 bis, co. 4, Tuf – art. 2727 c.c. – art.2729 c.c. – art. 2697 c.c. – art. 192, co. 2, c.p.p. – art. 6 D. Lgs. n. 150 del 2011 – art. 115 c.p.c..

Nel caso in esame, la Consob proponeva ricorso in Cassazione avverso una sentenza resa dalla Corte di Appello di Brescia con la quale erano state annullate due Delibere, emesse dalla stessa Consob, tramite le quali veniva sanzionata la Società “A.A.” per il reato di abuso di informazioni privilegiate, ex art. 187 bis, co. 4, del D. Lgs. 58/1998 (Tuf).

In particolare, la Consob denunciava l’erroneità della sentenza impugnata per due ordini di ragioni: in primo luogo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 187 bis, co. 4, Tuf, dell’art. 6 del D. Lgs. n. 150 del 2011, degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 192, co. 2, c.p.p., per aver la Corte d’Appello valutato come indizi quelli che, a proprio dire, costituivano i fatti da provare e, in secondo luogo – alla luce delle medesime fonti normative – per aver la Corte effettuato una errata applicazione dei criteri relativi alla formazione della prova indiziaria in materia di reato di abuso di informazioni privilegiate, nonché per aver compiuto numerosi errori logico-giuridici in ordine alla valutazione degli indizi.

A seguito dell’analisi delle memorie depositate dalle parti, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto fondati entrambi i motivi di gravame.

Anzitutto, la Corte ha dettagliatamente analizzato la fattispecie di reato di trading secondario, fornendo, dapprima, una definizione di “informazione privilegiata”, da intendersi quale “informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica e che concerne direttamente o indirettamente uno (o più) emittenti strumenti finanziari o uno (o più) strumenti finanziari” e che, se resa nota al pubblico, “potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”.

La Corte ha poi sottolineato come gli elementi costitutivi di tale fattispecie delittuosa sono tre: (i) il possesso dell’informazione privilegiata (da parte di chiunque); (ii) la conoscenza o la conoscibilità con l’ordinaria diligenza del carattere privilegiato dell’informazione; (iii) il compimento di operazioni in strumenti finanziari utilizzando l’informazione privilegiata, oppure la comunicazione ad altri dell’informazione privilegiata (al di fuori delle situazioni che legittimano tale comunicazione), oppure la raccomandazione o induzione di altri al compimento di tali operazioni.

Successivamente, dopo aver brevemente ripercorso i fatti di causa, la Corte di Cassazione ha sottolineato come la Corte d’Appello bresciana abbia errato, effettivamente, nel considerare come indizi quelli che erano, a contrario, i fatti da provare, giungendo così, erroneamente, a rinvenire la presenza di una sequenza di presunzioni da presunzione.

In particolare, la Suprema Corte ha ricordato che, poiché la circolazione abusiva dell’informazione si svolge con modalità che intenzionalmente escludono la documentazione, per l’accertamento dell’abuso di informazioni privilegiate, le presunzioni semplici costituiscono una sorta di “prova preferenziale”.

Da ciò, ne deriva come i giudici di merito, al fine di ritenere integrata o meno la fattispecie delittuosa di abuso di informazioni privilegiata, saranno spesso chiamati a compiere una indagine ai sensi e per gli effetti dell’art. 2729 c.c., ovverosia a verificare che gli elementi probatori “secondari” (rispetto al fatto principale da provare) a disposizione siano, nel loro insieme, gravi precisi e concordanti, tali da fornire una convincente prova per presunzioni.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Brescia, nel richiamare erroneamente il principio “praesumptum de praesumpto non admittitur” (c.d. presunzioni di secondo grado o presunzioni a catena), avrebbe, nel proprio ragionamento logico-giuridico, disarticolato un insieme di elementi che, a contrario, in forza del loro atteggiarsi, avrebbe già condotto verso una considerazione unitaria.

Sul punto, la Suprema Corte ha così colto l’occasione per ricordare che il divieto di doppie presunzioni non ha basi normative (in quanto non è riconducibile nè agli artt. 2729 e 2697 c.c., nè a qualsiasi altra norma), tale per cui è assolutamente plausibile che il fatto noto, accertato in via presuntiva, possa costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea a fondare l’accertamento del fatto ignoto.

Sulla base delle suindicate ragioni, la Corte di Cassazione ha pertanto espresso il principio di diritto di cui alla massima sopra menzionata, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

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