Il recesso della banca nell’apertura di credito: condizioni e limiti di legittimità
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFLa Corte di Cassazione (ex multis, Cass. n. 17291/2016) ha fornito utili indicazioni per stabilire quando il recesso della banca dal rapporto di affidamento in conto corrente sia legittimo, ovvero non arbitrario e/o privo di previsione contrattuale:
– in caso di recesso da un rapporto di credito a tempo determinato per una giusta causa specificamente prevista dalle parti nel contratto, il giudice non deve limitarsi a un semplice riscontro obiettivo della sussistenza o meno della giusta causa tipica. Alla luce del principio secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 c.c.), è necessario accertare che il recesso non sia stato esercitato con modalità impreviste e arbitrarie (ad esempio, in assenza di inadempimenti, indici di insolvenza o sconfinamenti), ossia modalità in contrasto con la ragionevole aspettativa di chi, basandosi sui rapporti usuali con la banca e sulla normale pratica commerciale, abbia confidato sulla disponibilità della provvista per il periodo pattuito e non possa essere ragionevolmente considerato pronto in ogni momento a restituire le somme utilizzate (Cass. n. 4538/1997: alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede ex art. 1375 c.c., non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari; Cass. n. 9321/2000; Cass. n. 10125/2021);
– il debitore che agisca per far dichiarare arbitrario il recesso della banca dal rapporto di affidamento e, in particolare, per far accertare che tale recesso non sia conforme alla regola della giusta causa (qualora prevista nel contratto), ha l’onere di dimostrare l’irragionevolezza delle giustificazioni fornite dalla banca. Ad esempio, ciò può avvenire dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale residua dopo gli atti dispositivi compiuti (Cass. n. 4538/1997; Cass. n. 17291/2016; Cass. n. 16221/2019; Cass. n. 10125/2021; Cass. n. 5746/2022);
– la banca, nell’esercizio del diritto di recesso, non è tenuta a dimostrare l’esistenza di uno stato di insolvenza conclamato del debitore. Pretendere ciò equivarrebbe a subordinare il recupero del credito a una situazione di irrecuperabilità dello stesso. In caso di dubbi circa la valutazione del patrimonio residuo del debitore e in assenza di ulteriori segnali di allarme sulla sua solvibilità, il giudice deve, quantomeno, disporre una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) estimativa, finalizzata a verificare, sia pure indirettamente, l’esistenza di elementi idonei a qualificare come arbitraria la condotta della banca (Cass. n. 10125/2021).
La giurisprudenza di legittimità ha quindi chiarito che la banca deve esercitare il diritto di recesso nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, quali espressione del principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 della Costituzione. Qualora il recesso sia esercitato in violazione di tali principi, si configura un’ipotesi di ‘abuso del diritto’, inteso come limite funzionale all’esercizio del diritto stesso, con conseguente obbligo di risarcire il danno derivante dal cosiddetto ‘recesso abusivo’.
Ai fini della valutazione della legittimità del recesso da parte della banca, è necessario verificare se tale decisione rappresenti la naturale conseguenza di una complessiva valutazione del merito creditizio, obbligatoria per gli intermediari finanziari. In tal caso, il recesso è da considerarsi legittimo. Al contrario, un recesso determinato da decisioni ex abrupto, prive di un’adeguata valutazione, risulta irragionevole.
Secondo alcuni (Fodra), il recesso della banca può essere considerato legittimo purché, a prescindere dal contenuto del contratto stipulato, sia stato in concreto esercitato per soddisfare un interesse meritevole di tutela, segnatamente quello della banca a non proseguire il rapporto di finanziamento in presenza di indici sintomatici dell’incapacità del debitore di adempiere alle proprie obbligazioni.
È quindi giustificato il recesso della banca in presenza di condotte del cliente idonee a incrinare la fiducia nella sua capacità di adempiere agli obblighi contrattuali. In un rapporto di apertura di credito bancario in conto corrente, il grado di solvibilità del cliente orienta legittimamente le decisioni della banca in merito al mantenimento o alla revoca degli affidamenti concessi. Di fronte a comportamenti e circostanze che, secondo le regole degli affari, legittimino il timore della banca sulla solvibilità del cliente, la revoca degli affidamenti è giustificata. Per converso, è censurabile la condotta dell’istituto bancario che, basandosi su fatti pretestuosi o inesistenti, revochi gli affidamenti in modo arbitrario e scorretto.
In definitiva, il recesso dal rapporto di apertura di credito, con la contestuale richiesta di restituzione dell’importo finanziato e la sospensione di ulteriori concessioni di credito, è lecito quando rispetta la disciplina legale e contrattuale e non risulta censurabile alla luce del principio generale di buona fede. Tale recesso non può essere considerato abusivo in assenza di elementi che dimostrino la pretestuosità delle motivazioni addotte dall’istituto bancario (ex multis, Cass. n. 10125/2021).
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