I limiti alla sopraelevazione del muro comune
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. II, Ordinanza del 13.06.2022 n. 19040, Pres. L. Orilia, Est. L. Varrone
Massima: “Il comproprietario del muro comune che sopraeleva per primo detto muro può non estendere la nuova costruzione all’intero spessore, purché esegua la stessa verso l’area di sua esclusiva proprietà e senza invadere il muro sottostante oltre la linea mediana giacché diversamente egli attrarrebbe nella sfera della sua proprietà esclusiva una porzione della cosa comune”.
CASO
Tizio e Caia convenivano innanzi al Tribunale di Taranto Mevio e Sempronia per sentir pronunciare l’esclusiva responsabilità di questi ultimi in relazione ai fenomeni di umidità riscontrati su un muro di loro proprietà e, conseguentemente, condannarli a rimuovere il muro di tufo costruito sulla proprietà degli attori e ad eliminare o arretrare il pluviale non rispettoso della distanza di cui all’art. 889 c.c., presumibile causa delle dette infiltrazioni.
Il Tribunale di Taranto accoglieva le domande attoree e condannava i convenuti a rimuovere il muro realizzato sul lastrico di proprietà degli attori e ad arretrare il pluviale posto in prossimità del confine tra le due proprietà, oltre a risarcire i danni causati dalle infiltrazioni.
Avverso la pronuncia del Tribunale Mevio e Sempronia proponevano appello.
La Corte d’Appello di Lecce accoglieva il terzo motivo di appello poiché il muro oggetto di lite sorgeva su un muro sottostante comune e, pertanto, secondo i giudici di seconde cure, gli appellanti si erano avvalsi della possibilità data dall’art. 885, comma 1, c.c. per la quale ogni comproprietario può alzare il muro comune.
Difatti, anche la CTU disposta aveva rilevato che i due immobili erano stati realizzati come un unico corpo di fabbrica e che quindi il muro posto tra l’unità di Tizio e Caia e quella di Mevio e Sempronia fosse un muro comune.
Tale conclusione, secondo la Corte, era condivisibile perché avvalorata dall’unicità del muro, presunta ex art. 880 c.c., in virtù della funzione divisoria dello stesso. Pertanto, poiché il muro oggetto di lite sorgeva proprio sul muro comune, doveva ritenersi che Mevio e Sempronia avessero legittimamente esercitato la facoltà di cui all’art. 885, comma 1, c.c., senza sconfinare illecitamente nella proprietà di Tizio e Caia.
La Corte d’Appello accoglieva anche il motivo relativo alla causa dell’umidità rinvenuta nei locali di Tizio e Caia, non riconducendola al vecchio canale di raccolta di scolo dell’immobile di Mevio e Sempronia. Secondo il giudice di secondo grado, le conclusioni del consulente recepite dal Tribunale, infatti, si fondavano su una mera supposizione, non avendo il consulente tecnico eseguito alcun accertamento concreto sulla possibile causa delle infiltrazioni. Il perito aveva omesso qualsiasi accertamento concreto sullo stato della manutenzione del canale di gronda al servizio del locale degli appellanti, così come qualsiasi accertamento sullo stato della guaina posta sul lastrico solare del locale dei pozzi.
Inoltre, la Corte riteneva come il perito del Tribunale fosse caduto in forte contraddizione, rilevando che la dismissione da parte degli appellanti del vecchio sistema di raccolta delle acque era la causa delle infiltrazioni e che ciò nonostante il fenomeno percolativo persisteva. Per giustificare questa contraddizione il giudice di primo grado aveva fatto riferimento a una fase di regressione dell’umidità, ma di tale regressione non vi era alcun riscontro negli atti. Pertanto, la mancanza di accertamenti concreti in ordine alle cause possibili dell’infiltrazione e il persistere del fenomeno senza alcuna regressione, nonostante la rimozione del vecchio impianto di smaltimento di raccolta dell’acqua piovana al servizio dell’immobile di Mevio e Sempronia, portava ad escludere per via logica che la causa di dette infiltrazioni fosse da ricondurre causalmente alla cattiva tenuta dell’impianto di smaltimento dismesso e, pertanto, doveva rigettarsi la pretesa risarcitoria degli attori in primo grado.
Tizio e Caia proponevano, pertanto, ricorso per cassazione avvero la sentenza di secondo grado sulla base di due motivi.
Mevio e Sempronia resistevano con controricorso.
SOLUZIONE
La Corte di cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso, dichiarano assorbito il secondo, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.
QUESTIONI
Con il primo motivo di ricorso Tizio e Caia denunciavano l’omesso esame di un punto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Secondo i ricorrenti, il giudice di seconde cure avrebbe trascurato del tutto di prendere in considerazione la circostanza idonea a condurre ad una decisione diversa ed a confermare la legittimità dell’ordine di demolizione del muro sopraelevato.
Tizio e Caia evidenziavano che in sede di merito, risultava che Mevio e Sempronia avessero costruito il muro di 20 cm sulla parte del muro di proprietà esclusiva dei ricorrenti. Il muro eretto non rispondeva quindi ai requisiti previsti dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui: chi sopraeleva se non intende estendere la sopraelevazione a tutto lo spessore del muro ha l’obbligo di iniziare la costruzione dal confine della sua proprietà esclusiva.
I ricorrenti ritenevano che il proprietario può avvalersi della facoltà prevista all’art. 885 c.c. solo per sopraelevare utilizzando a tal fine il muro comune, non potendo però mutare la condizione giuridica della cosa ovvero i suoi rapporti con la stessa senza il consenso degli altri comunisti. Ad ogni modo sussiste l’obbligo di chi sopraeleva di iniziare la costruzione dalla sua proprietà esclusiva se non intenda estenderla a tutto lo spessore del muro.
I giudici di legittimità ritenevano fondato tale motivo.
Ai sensi dell’art. 880 c.c. il muro che funge da divisione tra edifici o fondi si presume comune.
Secondo l’art. 882 c.c., i comproprietari del muro sono tenuti alla sua manutenzione in proporzione al diritto di ciascuno, salvo che gli interventi siano dovuti per la riparazione di danni riconducibili a uno dei comproprietari.
Le riparazioni e le ricostruzioni necessarie devono esser eseguite con il consenso di tutti i comproprietari. In ogni caso, ciascuno di essi ha la possibilità di non sostenere le spese, rinunciando però al proprio diritto, salvo che il muro sostenga un edificio di loro proprietà o le spese riguardino la riparazione o la ricostruzione del muro dovute a fatto a loro imputabile.
Fatta tale premessa, gli Ermellini ritenevano – dando seguito all’orientamento consolidato della Corte – che “l’esercizio da parte del comproprietario della facoltà di innalzare il muro comune ai sensi dell’articolo 885 c.c., non richiede che la sopraelevazione sia estesa a tutto lo spessore del muro, potendo essere contenuta nei limiti della linea mediana sempre che le modalità della costruzione consentano al vicino di fare analogo uso del muro stesso e in particolare non gli sottraggano il diritto di chiedere in futuro la comunione della parte sopraelevata per l’intera estensione”[1].
In altre parole, la sopraelevazione è legittima nel momento in cui il muro, non esteso per l’intero spessore, viene edificato verso l’area di esclusiva proprietà del resistente senza invadere il muro sottostante oltre la linea mediana.
Allo stesso modo, il condomino che sopraeleva per primo il muro comune può non estendere la nuova costruzione all’intero spessore, purché il muro rimanga verso l’area di sua esclusiva proprietà e senza invadere il muro sottostante oltre la linea mediana[2].
Proprio sulla linea mediana in realtà la Corte di cassazione si è più volte pronunciata ritenendo che la comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la proprietà assoluta della metà del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di confine delle proprietà esclusive da esso delimitate bensì nel senso che ciascuno di essi è proprietario, sia pure pro quota, dell’intero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine delle proprietà esclusive con il muro ed il suolo comune)[3].
Secondo i giudici di legittimità, nel caso di proprietà delimitate da un muro comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo, poiché su di esso, nonché sull’area di relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l’intera estensione ed ampiezza, sicché le distanze si misurano rispetto alla facciata del muro prospiciente la cosa da tenere a distanza[4].
Pertanto, non è configurabile un diritto di proprietà esclusiva di ciascuno dei proprietari dei fondi confinanti sul muro e sul suolo fino alla mezzeria, come se il confine tra le due proprietà coincidesse con la mezzeria del muro stesso[5].
Inoltre, la facoltà di innalzamento del muro comune, prevista dall’art. 885 c.c., non può essere esercitata in violazione delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute dall’art. 907 c.c.. Pertanto, l’innalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto, destinate permanentemente ed inequivocamente all’esercizio della servitù di veduta, non può essere consentito, risolvendosi in un impedimento all’esercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo dominante[6].
Detto ciò, i giudici di legittimità ritenevano che la pronuncia della Corte d’Appello dovesse essere cassata perché aveva omesso di esaminare il fatto, oggetto di discussione, relativo alla localizzazione della sopraelevazione, se posizionata o meno sulla porzione di muro oltre la linea mediana nella parte rivolta verso la proprietà di Tizio e Caia.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 88, 91 e 92 c.p.c., poiché la Corte territoriale aveva gli originari attori al pagamento di parte delle spese legali e a tutte quelle della consulenza tecnica nonostante la conferma della domanda accolta in primo grado di rimozione del pluviale posto non a distanza legale.
Tale secondo motivo veniva assorbito dall’accoglimento del primo.
[1] Cass. civ., Sent. n. 3330/1987.
[2] Secondo Cass. civ., Ord. n. 7858/2021 l’uso del muro comune è soggetto alla disciplina dell’art. 1102 c.c., sicché ciascun confinante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca all’altro partecipante di farne parimenti uso secondo il suo diritto.
[3] Cass. civ., Sent. n. 3393/1988.
[4] Cass. civ., Sent. n. 26941/2016 e Cass. civ., Sent. n. 10041/2010.
[5] Cass. civ., Ord. n. 7858/2021.
[6] Cass. civ., Sent. n. 11125/1990.
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