14 Gennaio 2025

Scioglimento comunione, dilazione alla divisione e pregiudizio all’interesse obiettivo della comunione

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, Ordinanza del 13.12.2022 n. 36401, Presidente A. Carrato, Est. M. Criscuolo

Massima:La norma dell’articolo 1111 c.c. – secondo la quale, in presenza di una domanda di scioglimento di una comunione, il giudice può concedere una dilazione alla divisione nel caso che questa possa recare “pregiudizio agli interessi degli altri” compartecipanti – deve essere intesa nel senso che il pregiudizio non possa rinvenirsi nella lesione dell’interesse dei singoli partecipanti a conservare posizioni personali di vantaggio, ma che debba ravvisarsi obbiettivamente, nel pregiudizio a tutti i condomini, nell’interesse obiettivo della comunione

CASO

Tizio, Caio e Sempronio convenivano innanzi al Tribunale di Campobasso Mevio, Filano, Calpurnio e la Società Alfa chiedendo lo scioglimento della comunione insistente su  un fabbricato edificato su un terreno in comproprietà delle parti.

Nel corso del giudizio, sia gli attori che i convenuti formulavano domanda di usucapione di alcuni dei cespiti ricadenti nel fabbricato, sul presupposto del possesso esclusivo, ed il Tribunale adito con sentenza non definitiva accoglieva le rispettive domande di usucapione, disponendo il prosieguo della divisione limitatamente al piano terra del fabbricato.

All’esito dell’istruttoria il Tribunale, con sentenza definitiva, rigettata l’istanza di sospensione del giudizio e attesa la pendenza del procedimento di appello avverso la sentenza non definitiva, approvava il progetto di divisione predisposto dal CTU, con il quale era stata prevista la formazione di cinque quote.

Avverso tale sentenza proponevano appello i quattro convenuti mentre Tizio, Caio e Sempronio si costituivano chiedendo la conferma della sentenza.

La Corte d’Appello di Campobasso accoglieva in parte l’appello, compensando le spese dell’intero giudizio.

Sul primo motivo di appello, con il quale si reiterava la richiesta di sospendere il giudizio in attesa della decisione sul gravame proposto separatamente contro la sentenza non definitiva, il collegio rilevava che il giudizio era stato effettivamente sospeso, per poi essere riassunto poiché la stessa Corte si era in precedenza pronunciata sulla sentenza non definitiva con decisione che nelle more era passata anche in giudicato.

La Corte di secondo grando riteneva poi privo di fondamento il secondo motivo di appello, con il quale si denunciava la mancata dilazione della divisione, sollecitata dagli appellanti in ragione del fatto che il piano terra dello stabile era destinato ad attività commerciale con due locali aperti al pubblico e tre adibiti a magazzino.

I giudici di secondo grando rilevavano che gli stessi non avevano indicato in che modo il loro interesse avrebbe potuto essere soddisfatto, quand’anche fosse stato disposto il differimento della divisione.

Gli appellanti esponevano come causa di giustificazione della dilazione le difficoltà legate al fatto di dover liberare i locali adibiti a deposito dalla merce ivi presente, non avendo altri locali ove collocarla, né avendo le disponibilità economiche per reperire locali equivalenti a titolo oneroso.

Secondo la Corte d’Appello tali motivi erano relativi ad esigenze di carattere personale, che non potevano supportare la richiesta di dilazione ai sensi dell’art. 1111 c.c., la quale presuppone il pericolo di un pregiudizio al patrimonio comune, e non anche personale del singolo comproprietario, quale una diminuzione di valore dei beni o una perdita di reddito ritraibile dagli stessi.

Il motivo veniva, quindi, rigettato.

Mevio, Filano, Calpurnio e la Società Alfa proponevano ricorso per cassazione sulla base di un singolo motivo.

Tizio e Caio resistevano con controricorso mentre Sempronio non svolgeva attività difensiva.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciavano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1111 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello negava la richiesta dei ricorrenti di disporre la dilazione della divisione, ritenendo che il pregiudizio derivante dalla divisione immediata dovesse obbligatoriamente riguardare tutti i partecipanti e non il singolo comunista.

Secondo gli stessi la sentenza di secondo grado errava nel ritenere come requisito della richiesta di dilazione anche l’indicazione delle azioni consequenziali alla dilazione medesima, non essendo ciò previsto dalla norma, evidenziando che la previsione di cui all’art. 1111 c.c., tende ad assicurare al singolo comunista la possibilità di ottenere un differimento della divisione, laddove la stessa pregiudichi i suoi interessi.

Giacché i ricorrenti costituivano la maggioranza di quote del bene comune e tenuto conto del fatto che l’immediata attuazione della divisione, con la necessità di rilasciare alcuni dei locali attualmente utilizzati a servizio dell’attività commerciale, avrebbe pregiudicato la prosecuzione della stessa, essi ritenevano sussistenti i presupposti per accogliere la richiesta di dilazione, erroneamente negata dai giudici d’appello.

Nel caso di specie la questione verte sull’istituto della comunione ovverosia quella situazione giuridica che si instaura tra più soggetti contitolari del diritto di proprietà o di altri diritti reali su un medesimo bene.

Ciascun comunista ha il diritto di chiedere lo scioglimento della comunione volontaria, salvo il patto di rimanere in comunione per un dato periodo che, in ogni caso, non può eccedere i dieci anni, a meno che l’autorità giudiziaria non ordini ugualmente lo scioglimento ricorrendo gravi circostanze.

Tuttavia, a tale diritto viene posto un limite dall’art. 1112 c.c., il quale impedisce lo scioglimento ove i beni se divisi cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinati.

Un esempio è sicuramente il condominio, quale particolare forma di comunione che nasce “indipendentemente” dalla volontà delle parti giacché è la legge stessa a prevederla (c.d. comunione forzosa).

In questo caso, infatti, le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che essa possa attuarsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio.

Ferma tale disciplina, tendenzialmente ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione e ove non vi sia accordo tra i comunisti sarà necessario l’intervento del giudice.

Orbene, ove intervenga l’autorità giudiziaria, l’art. 1111 c.c. prevede che la stessa possa stabilire una congrua dilazione dello scioglimento, in ogni caso non superiore a cinque anni, se l’immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri.

Nel caso che ci occupa, i ricorrenti ritenevano che la Corte molisana avesse errato nel respingere la richiesta di dilazione della divisione, ritenendo che il pregiudizio derivante dalla divisione debba coinvolgere tutti i comunisti e non il singolo partecipante.

Secondo i giudici di legittimità, tuttavia, tale motivo doveva essere rigettato poiché la dilazione, della divisione, prevista dall’art. 1111 c.c., ha natura discrezionale; pertanto, la stessa costituisce una valutazione del giudice intrinsecamente non sindacabile[1].

Tale orientamento trova analogia nella disciplina della divisione della comunione ereditaria (c.d. comunione incidentale) la quale, all’art. 717 c.c., prevede che l’autorità giudiziaria, su istanza di uno dei coeredi, può sospendere, per un periodo di tempo non eccedente i cinque anni, la divisione dell’eredità o di alcuni beni, qualora l’immediata sua esecuzione possa recare notevole pregiudizio al patrimonio ereditario.

Difatti, la Suprema Corte sul punto ha ritenuto che “il giudice deve esaminare se dalla divisione immediata possa venire pregiudizio al patrimonio ereditario. Ciò postula, per converso, anche un giudizio sull’utilità, cioè sulla convenienza che l’indivisione venga mantenuta temporaneamente, che essa, quindi, giovi a ridurre o ad evitare il danno della divisione immediata, giudizio di convenienza che si basa sulla possibilità o probabilità di un risultato utile, senza che sia al riguardo necessaria la certezza. […] L’apprezzamento circa l’esistenza del pericolo di pregiudizio e della convenienza di sospendere la divisione postulano giudizi di fatto rimessi al sovrano apprezzamento dei giudici di merito[2].

In merito alla denuncia di violazione di legge sul presupposto che la dilazione possa effettuarsi anche nel caso in cui il pregiudizio non riguardi tutti i partecipanti ma anche solo alcuni di essi, la Corte di cassazione ha invece ritenuto che il pregiudizio arrecato dalla divisione non  può riferirsi all’interesse dei singoli partecipanti a conservare posizioni personali di vantaggio, ma deve ravvisarsi obbiettivamente nell’interesse obiettivo della comunione[3].

Ebbene, poiché, al contrario, i ricorrenti facevano emergere il loro interesse individuale, relativo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale nei locali oggetto di causa, rende evidente la correttezza della decisione del giudice di appello, la quale si è conformata alla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.

[1] Cass. civ., n. 1831/1973

[2] Cass. civ., Sent. n. 4734/1957.

[3] Cass. civ., Sent. n. 1360/1963. In tal senso anche Cass. civ., n. 22684/2014.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Locazioni turistiche ed affitti brevi: istruzioni per l’uso