Principio di ultrattività del mandato ed estinzioni non funeratizie: per le Sezioni Unite ammissibile il ricorso per cassazione della parte che, dopo aver conferito la procura al difensore, abbia perso la capacità processuale antecedentemente alla notifica del ricorso
di Riccardo Rossi, Avvocato Scarica in PDFCass., Sez. Un., sent., 19 novembre 2024, n. 29812 Pres. Travaglino – Rel. Varrone
Mandato al difensore – Procura speciale alle liti – Cassazione – Impugnazioni – Avvocato – Morte o perdita della capacità – Estinzione – Persona fisica – Persona giuridica – Ultrattività del mandato – Ammissibilità del ricorso – Giusta parte – Giusto processo – Deontologia – Assenza di responsabilità disciplinare del difensore – Spese di lite (c.p.c. 82, 83, 85, 91, 299, 300; c.c. 1369, 1722, 1723, 1728)
[1] In tema di ricorso per cassazione, la perdita della capacità processuale della parte ricorrente, tanto che si tratti di persona fisica quanto che si tratti di persona giuridica, avvenuta dopo il conferimento della procura speciale al difensore per il giudizio di cassazione ma prima della notifica del ricorso alla controparte, non ne determina l’inammissibilità, alla luce del principio di ultrattività del mandato.
CASO
[1] I fatti di causa possono essere riassunti come segue.
La società A. proponeva opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto dalla società B., avanti al Tribunale di Torino.
In entrambi i gradi di merito, le domande dell’opponente venivano integralmente rigettate e la stessa proponeva, dunque, ricorso per cassazione affidato a tre motivi, procedimento in cui resisteva la società B. con controricorso.
In particolare, la controricorrente proponeva eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso: la procura speciale per la proposizione dell’impugnazione in cassazione era stata rilasciata dal liquidatore della società A., in liquidazione, il 5.9.2017, mentre la tale società era stata cancellata dal registro delle imprese il successivo 12.9.2017 e il ricorso per cassazione era stato notificato solo il 28.2.2018; la controricorrente B. contestava, dunque, che, al momento in cui il ricorso era stato proposto, per un verso, la giuridica esistenza della società ricorrente era venuta meno e, per altro verso, il mandato difensivo si era estinto ai sensi dell’art. 1722, n. 4, c.c.
Con ordinanza interlocutoria del 21.12.2023, la Sezione II della Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite di due questioni di massima di particolare importanza, ovvero, in primo luogo, quali sarebbero gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta sì prima che il ricorso di legittimità sia proposto, ma successivamente al conferimento del mandato difensivo con procura speciale, e, in secondo luogo, per il caso in cui si reputi che tale fatto implichi l’inammissibilità del ricorso per cassazione, come dovrebbe avvenire la regolamentazione delle spese di lite (in ispecie, se ne dovrebbe rispondere il difensore o il rappresentante che ha conferito la procura).
Dopo l’assegnazione dell’esame del ricorso alle Sezioni Unite, il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
SOLUZIONE
[1] Nella sua più alta composizione, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la regola dell’ultrattività del mandato al difensore si applichi anche allorquando la parte che ha rilasciato la procura speciale per il giudizio di legittimità perda la capacità processuale prima della notifica del ricorso alla controparte, e ciò tanto nel caso di persona fisica, quanto di persona giuridica, e che, di seguito, il ricorso per cassazione deve considerarsi ammissibile.
QUESTIONI
[1] Le questioni di massima di particolare importanza rimesse all’esame delle Sezioni Unite sono le seguenti: i) se sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto dal rappresentante della società che sia stata cancellata dal registro delle imprese successivamente al conferimento della procura speciale, ma prima dell’instaurazione del giudizio di legittimità, e ii) se, in caso di inammissibilità, all’esito del giudizio, le spese di lite – in favore del controricorrente – debbano essere poste a carico del soggetto persona fisica conferente la procura, oppure personalmente a carico dei difensori della ricorrente e se, in tale ultima ipotesi, tale condanna deve fondarsi su un giudizio di rimproverabilità subiettiva (almeno a titolo di colpa), fondato sulla esigibilità della conoscenza della cancellazione della società prima della notifica e dopo il conferimento del mandato.
La prima questione, portante, si sostanzia nel comprendere il momento di attivazione del principio di ultrattività del mandato e, precisamente, se tale regola possa dirsi operante anche in una fase antecedente all’inizio del procedimento di legittimità.
Sul punto, riprendendo quanto osservato dalla Sezione semplice rimettente, la Corte isola due tesi.
La prima guarda all’inammissibilità del ricorso, non potendo invocarsi l’ultrattività del mandato, in quanto ciò presupporrebbe che si agisca in nome di un soggetto esistente e capace di stare in giudizio al momento in cui il processo ha avuto inizio. Con l’intervenuta perdita della capacità processuale prima che il giudizio sia intrapreso, si determinerebbe l’estinzione del mandato conferito al difensore e, conseguentemente, la nullità della vocatio in ius e dell’intero eventuale giudizio (vizio rituale che sarebbe rilevabile anche d’ufficio). A tale opinione aderisce il Procuratore Generale, per il quale, dovendo il processo essere proposto dalla “giusta parte” e nei confronti della “giusta parte” (impostazione che pare richiamare l’idea di fondo di M. Bove, Lineamenti di diritto processuale civile, III ed., Torino, 2009, 177, per il quale l’interruzione si collega al verificarsi di eventi che causano la sopravvenuta carenza di un presupposto processuale relativo alla parte), e considerato che il mandato alle liti conferito da soggetto deceduto o da società cancellatasi sarebbe estinto ai sensi dell’art. 1722, n. 4), c.c., senza che possa ipotizzarsi sopravvivenza ex art. 1728, I co., c.c. e senza che possa attivarsi il meccanismo dell’ultrattività, essendo la procura definitivamente venuta meno. In altri termini, l’ultrattività funzionerebbe solo a seguito dell’instaurazione del giudizio, e ciò perché, prima di tale momento, processualmente, sarebbe ancora possibile cristallizzare le “giuste parti” (i.e. i successori del soggetto deceduto o estinto o il rappresentante legale del neo incapace) che dovranno essere i soggetti del giudizio – e formare il noto trittico attore, convenuto e giudice (processus est actus trium personarum) –; mentre, successivamente, ciò non sarebbe possibile (essendo pendente il procedimento e, dunque, la possibilità di individuare le “giuste parti” già consumata), soccorrendo, così, la regola dell’ultrattività.
Al contrario, per la seconda tesi, l’ultrattività del mandato opererebbe anche nella fase intermedia tra termine del secondo grado e apertura del giudizio di legittimità (c.d. “fase inter-grado”), laddove l’evento estintivo si sia perfezionato dopo il conferimento della procura, ma prima della notifica del ricorso; di talché, l’ammissibilità del ricorso stesso.
Per dare risposta al quesito, le Sezioni Unite richiamano, in particolare, due fondamentali precedenti (sempre a Sezioni Unite), ovvero le sentenze n. 6070, 6071 e 6072 del 12.3.2013 e la sentenza n. 15295 del 2014.
Sotto il profilo processuale, le Sezioni Unite del 2013 sono partite dal presupposto che la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, determinandone l’estinzione, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Ove, invece, l’estinzione si verifichi nel corso del processo, troveranno applicazione gli artt. 299 e ss. c.p.c., in tema di interruzione del processo. In quest’ultimo caso, quando le parti sono costituite, l’interruzione avverrà solo a seguito dell’esercizio, da parte del difensore, della facoltà che gli è propria di dichiarare in udienza l’evento interruttivo – o notificarlo alle altre parti – (art. 300, I co., c.p.c.), considerandosi, altrimenti, in caso di mancata interruzione, l’evento de quo irrilevante per il giudizio e, di conseguenza, la parte defunta “processualmente ancora in vita”, così proseguendo, il procedimento, senza successione processuale, e ciò in forza del principio di ultrattività del mandato (C. Mandrioli – A. Carratta, Diritto processuale civile. II, Torino, 2022, 310; che richiama alla nota n. 133, M. T. Zanzucchi – C. Vocino, Diritto processuale civile, II, Milano, 1962, p. 142, i quali vedono, a giustificazione dell’ultrattività, il concetto di dominium litis del difensore).
Le Sezioni Unite del 2013 hanno quindi concluso per l’inammissibilità dell’impugnazione che provenga dalla società cancellata o sia ad essa indirizzata, in quanto non proveniente o non diretta nei confronti della giusta parte, tenuto conto del fatto che la pubblicità legale cui l’evento estintivo è soggetto impone di ritenere che i terzi, e quindi anche le controparti processuali, ne siano a conoscenza.
Il successivo intervento delle Sezioni Unite, con la sentenza n. 15295 del 2014, riguardava il caso di una parte persona fisica, che, costituita in appello a mezzo di procuratore, era morta prima dell’udienza di discussione ed era risultata vittoriosa nel grado, evento che non era stato né dichiarato in udienza, né notificato alla controparte, la quale aveva proposto ricorso per cassazione contro la parte deceduta, notificandolo a colui che era stato suo procuratore. In quel caso, le Sezioni Unite rifiutavano la tesi della nullità – per errore sull’identità del soggetto – dell’atto d’impugnazione rivolto a una parte ormai estinta anziché ai successori, anche se la Corte osservava che la pronuncia del 2013 era influenzata dal fatto che la parte estinta fosse una società cancellata dal registro. Per questo, le Sezioni Unite del 2014 accoglievano una tesi mediana, che concentrava il problema sulla conoscibilità dell’evento, così da valorizzare i principi di tutela della buona fede e ammettendo, per il caso di specie allora oggetto del giudizio, l’ultrattività del mandato, anche allo scopo di assicurare un effetto stabilizzante per il processo. In tale occasione, le Sezioni Unite fissavano i seguenti principi: “a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore [n.d.r. il procuratore della parte che ha perso la capacità processuale], a norma dell’art. 285 cod.proc.civ., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace; b) detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell’ambito del processo ancora in vita e capace; c) è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’art. 330 cod.proc.civ., comma 1, presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell’evento”.
Tuttavia, nella sentenza in commento, le Sezioni Unite riconoscono che l’arresto del 2014, pur dettando un principio generale, affrontava il caso specifico del venir meno della parte persona fisica, peraltro nella qualità di resistente, e non si interrogava sulla problematica relativa alla configurabilità o meno di un fenomeno successorio nel caso di cancellazione dal registro delle imprese, al contrario del caso di specie che si trovavano a dover decidere, in questa occasione, le Sezioni Unite (società cancellata dal registro delle imprese, lato ricorrente).
Poste tali premesse, la Suprema Corte passa in rassegna le possibili soluzioni del caso.
In una prima ricostruzione, si può ipotizzare che il principio di ultrattività del mandato, così come delineato dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 15295 del 2014, possa trovare applicazione solo limitatamente alle persone fisiche, visto che le società sono sottoposte a un particolare regime pubblicitario. Così, in applicazione della pronuncia del 2013, il ricorso sarebbe da dichiarare inammissibile perché, sebbene l’evento interruttivo abbia colpito la parte che propone l’impugnazione, anziché quella che la riceve, comunque il giudizio (anche di impugnazione) dovrebbe essere instaurato dalla “giusta parte” e non potrebbe essere avviato da un soggetto inesistente (con conseguente onere speculare del difensore di verifica della esistenza della società tanto al momento del conferimento della procura speciale, quanto al momento della proposizione del ricorso per cassazione).
Una seconda soluzione, sostanzialmente propugnata dal Procuratore Generale e sempre nel senso della inammissibilità, non distingue tra persone fisiche e giuridiche, ma ritiene, comunque, che il fenomeno dell’ultrattività presupporrebbe l’anteriorità del conferimento del mandato e della costituzione del rapporto processuale alla perdita della capacità processuale.
Infine, vi è una terza possibile soluzione, questa volta nel senso dell’ammissibilità e il cui presupposto è l’omologazione tra il caso della parte persona fisica e parte società, poiché il fenomeno della loro estinzione è sostanzialmente equiparabile alla morte delle persone fisiche. In questo modo, sarebbe ben possibile estendere anche agli enti societari il meccanismo disegnato dalle Sezioni Unite nel 2014. Di conseguenza, una volta validamente conferita la procura speciale, sorgerebbe in capo al difensore l’obbligo di espletare l’attività difensiva demandata, a prescindere da ogni successiva evoluzione della vicenda endosocietaria, e ciò anche allo scopo di garantire la stabilità del processo, nonché di coltivare un’impugnazione che era stata ritenuta opportuna dall’ente.
La Suprema Corte propende per quest’ultima soluzione, così il dictum del 2014, arricchendolo con una ulteriore precisazione che valga a superare l’impasse che ha determinato la proposizione della questione, che attiene, nel suo nucleo essenziale, al momento di cristallizzazione del rapporto di mandato ai fini dell’operatività della regola di ultrattività. Sul punto, la Corte si interroga se tale momento debba essere quello del rilascio della procura speciale per il giudizio di legittimità, oppure quello della spendita della medesima da parte del difensore con la notificazione del ricorso. Da tale soluzione dipende, altresì, l’attivazione del principio di ultrattività.
Sul punto, la Cassazione rileva come non possa essere accolta la tesi del Procuratore Generale (per cui la notificazione del ricorso di legittimità successivamente al conferimento della procura speciale ma dopo l’evento menomativo della capacità processuale dovrebbe equipararsi alla quella della notificazione dell’atto introduttivo di primo grado successivamente al conferimento della procura alle liti ma dopo il medesimo evento menomativo), in quanto il caso di specie presenterebbe profili di peculiarità. Infatti, nel caso in oggetto, il procedimento è pendente, sia pur non nella fase attiva, ma in fase di quiescenza “inter-grado” (per la precisione fra il giudizio di merito e quello di legittimità), e in cui non è stato ancora instaurato il giudizio di legittimità, con tutte le evidenti conseguenze in tema di attività processuali espletate e rischi di stabilizzazione di pronunce e di pregiudizi ai diritti delle parti.
Pertanto, in adesione allo spirito della sentenza n. 15295/2014, la Corte conclude che, per l’operatività dell’ultrattività del mandato, certo si deve esigere il rilascio di una nuova procura per il giudizio di legittimità (procura speciale), ma non si può ritenere necessario che tale procura sia stata anche spesa dal difensore con la notificazione del ricorso e la costituzione del rapporto processuale.
Infine, le Sezioni Unite, considerato che in materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio nazionale forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all’ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità, affrontano il profilo deontologico della vicenda, ovvero se l’avvocato possa essere sanzionato a livello disciplinare per aver omesso di dichiarare la morte o l’estinzione della parte assistita.
La Corte, pur richiamando l’art. 4.4 del Codice deontologico degli avvocati europei e l’art. 50 Codice deontologico forense (dovere di verità e divieto di offrire al giudice informazioni o prove fase o tali da indurlo scientemente in errore), correttamente fa notare come l’avvocato non vìoli alcun precetto deontologico nel non dichiarare al giudice e alla controparte la vicenda estintiva della capacità processuale della parte rappresentata e ciò in quanto la legge processuale gli consente di manifestare discrezionalmente questa informazione (previa intesa con il successore del soggetto estinto). In altri termini, per il principio di non contraddizione dell’ordinamento – principio sotteso, in particolare, alla scriminante di cui all’art. 51 c.p., ma che, proprio in quanto causa di giustificazione, assume dimensione extrapenale, elevandosi a principio generale – non è possibile che il soggetto che goda di una facoltà concessa e riconosciuta dall’ordinamento stesso, possa subire sanzioni nel caso di esercizio di tale facoltà.
Si deve quindi escludere che incorra nella violazione del dovere di verità, deontologicamente codificato, l’avvocato che si avvalga di una facoltà specificamente attribuitagli dalla disciplina legale del processo, nel caso operando la scelta discrezionale di non dichiarare l’evento interruttivo che ha colpito la parte rappresentata.
La seconda questione, involgente il profilo delle spese di lite nel caso in cui fosse stata accolta la tesi dell’inammissibilità del ricorso, è stata assorbita per effetto della soluzione nel senso dell’ammissibilità della prima questione.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia