La competenza territoriale nell’espropriazione presso terzi a carico della P.A. (art. 26 bis, comma 1, c.p.c.)
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III, sent. 26 novembre 2024, n. 30434, Pres. De Stefano, Est. Rossi
Espropriazione presso terzi – competenza territoriale – espropriazione nei confronti della P.A. – sistema di tesoreria centralizzata (Cod. Proc. Civ. Artt. 26 bis, 27, 547, 615, 617 – L. 720/1984, art. 1 bis)
[I] “Nell’espropriazione di crediti presso terzi, il luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede costituisce la regola generale di determinazione della competenza territoriale”
[II] “Nell’espropriazione di crediti presso terzi, il criterio di competenza per territorio sancito dall’art. 26 -bis, primo comma, cod. proc. civ. (ovvero il luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede), derogatorio rispetto al principio generale posto al secondo comma del medesimo articolo, trova applicazione soltanto quando il debitore esecutato sia la pubblica amministrazione che si avvalga per legge del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato”
[III] “Nella espropriazione dei crediti presso terzi, l’inciso ‘salvo quanto disposto da leggi speciali’ – che giustifica la deroga ad ambedue i criteri di competenza sanciti dall’art. 26-bis cod. proc. civ. – si riferisce alle norme che dettano regole processuali sulla competenza, individuando un ufficio giudiziario cui devolvere le procedure di espropriazione di crediti in danno delle pubbliche amministrazioni sulla base di elementi di collegamento diversi da quelli previsti dall’art. 26-bis cod. proc. civ., norme tra le quali non è compreso l’art. 1-bis della legge 29 ottobre 1984, n. 720, istitutiva del servizio di tesoreria unica”
CASO
Un creditore intraprende un’esecuzione, nelle forme del pignoramento presso terzi, nei confronti di una Azienda Sanitaria e del terzo, tesoriere dell’Ente (un istituto bancario), instaurando la procedura dinanzi al Tribunale nella cui circoscrizione vi è la sede del terzo pignorato.
L’Azienda Sanitaria propone opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c. lamentando, tra i vari motivi, l’incompetenza territoriale del giudice dell’esecuzione in favore di quello dove ha sede l’ente pubblico.
Rigettata l’istanza di sospensione dell’esecuzione e svoltasi la fase di merito dell’opposizione, il giudice dichiara l’incompetenza territoriale del giudice dell’esecuzione, in favore del giudice dove ha sede l’ente esecutato, ai sensi dell’art. 26 bis, comma 1, c.p.c.
Il creditore procedente propone regolamento di competenza.
SOLUZIONE
La Suprema Corte, rilevata e dichiarata la tardività dei motivi di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., esamina la questione di competenza del giudice dell’esecuzione, in quanto ragioni di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
Il provvedimento impugnato, scrive la Corte, “ha ravvisato l’applicabilità alla vicenda dell’art. 26-bis, secondo comma, cod. proc. civ. … evidentemente anche (se non soprattutto) in relazione al processo esecutivo cui l’opposizione si riferisce: con conseguente radicamento della causa presso il giudice della sede legale del debitore esecutato … e negato l’operatività del primo comma dello stesso art. 26-bis cod. proc. civ. ‘non trattandosi di controversie relative a rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.’”.
La Corte censura, anzitutto, che il giudice di prime cure abbia richiamato e applicato, con evidente riferimento al procedimento di opposizione all’esecuzione, una norma sulla competenza, l’art. 26 bis c.p.c., che detta invece un criterio di competenza per il processo di esecuzione. I criteri di competenza territoriale per le opposizioni esecutive sono infatti dettati dall’art. 27 c.p.c. Dunque, secondo la Corte, “l’errore di prospettiva del qui impugnato provvedimento sta … nella regolazione della competenza sulla causa di cognizione, in cui si articola l’opposizione, in base alla diversa disciplina della competenza dettata per il processo esecutivo cui l’opposizione stessa accede: e tanto, per di più, allorché era precluso ormai il rilievo dell’incompetenza del giudice del processo esecutivo”.
Per tale motivo la Corte conferma la competenza in capo al giudice che l’ha invece declinata, ad esso dunque nuovamente rinviando la causa, ma limitatamente all’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
Peraltro, la Corte ritiene che dalla controversia emerga una questione per cui è necessaria l’enunciazione di un principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c., id est la “corretta esegesi dell’art. 26-bis cod. proc. civ. sull’individuazione del foro relativo alla espropriazione di crediti presso terzi, con particolare riguardo all’ipotesi di procedura promossa in danno a pubbliche amministrazioni”.
La Suprema Corte ripercorre le modifiche legislative che hanno via via regolato la determinazione della competenza in caso di espropriazione forzata di crediti, modifiche che per lungo tempo hanno trovato la loro ratio principale nel non voler pregiudicare il terzo che, per una vicenda debitoria cui egli è estraneo, aveva comunque degli oneri legati alla dichiarazione di quantità da rendere (che, lo ricondiamo, originariamente imponevano al terzo di recarsi fisicamente in udienza a rendere tale dichiarazione).
Ora, prosegue la Corte, “nessuna presenza fisica in uffici giudiziari essendo più a tal fine richiesta al terzo, cadde l’esigenza giustificante il radicamento territoriale della procedura espropriativa presso un luogo a lui vicino”, sicché si sono potuti allora privilegiare altri criteri, quali la concentrazione “presso un unico foro del pignoramento di crediti a carico di un debitore e nei confronti di più terzi”.
Tuttavia, le modifiche legislative, e in particolare l’intervento del D.L. 132/2014, hanno dato vita a nuove incertezze interpretative legate all’introduzione, nell’allora nuovo art. 26-bis c.p.c., sia di un riferimento alle pubbliche amministrazioni “indicate dall’articolo 413, quinto comma” c.p.c., sia della clausola “salvo quanto disposto da leggi speciali”.
È poi intervenuto il d.lgs. 149/2022, che nel medesimo art. 26 bis c.p.c. ha sostituito la previsione del “giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”, con il “giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”.
La Corte riassume quindi il contrasto interpretativo sorto “sulla delimitazione del perimetro delle pubbliche amministrazioni assoggettate alla previsione del primo comma”, dando conto di un primo orientamento che ha ritenuto di individuare nella città sede del distretto di Corte d’appello in cui risiede o dimora il creditore “per le espropriazioni di crediti in danno di qualsivoglia pubblica amministrazione”, e di un altro diverso orientamento che ritiene tale criterio applicabile “esclusivamente per le pubbliche amministrazioni ex lege rappresentate e difese dall’Avvocatura dello Stato”.
Per cercare di armonizzare le posizioni, la Corte ritiene che “in seno all’art. 26-bis cod. proc. civ., il perimetro di operatività del secondo comma include, senza dubbio, tutte le possibili espropriazioni presso terzi, cioè a dire è idoneo a disciplinare la competenza ratione loci di ogni procedura di tal fatta, da chiunque e in danno di qualsivoglia debitore promossa” mentre, “per contro, la portata applicativa del primo [per evidente mero refuso si trova scritto secondo, n.d.r.] comma è limitata dalla qualità soggettiva del debitore, necessariamente costituito da una pubblica amministrazione”.
Per “il tratteggio della figura delle pubbliche amministrazioni cui riferire il disposto del primo comma dell’art. 26-bis cod. proc. civ.” la Corte ritiene utile partire dalle novità introdotte dal d.lgs. 149/2022 che, come visto, ha posto di fianco al riferimento all’art. 413, quinto comma, c.p.c., il riferimento alla sede dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trovano residenza, domicilio o sede del creditore. Da qui, proseguono i Supremi Giudici, “ritiene questa Corte che la esegesi più aderente alla ratio della disciplina sia nel senso di ricondurre sotto l’egida del primo comma dell’art. 26-bis cod. proc. civ. soltanto ed esclusivamente le procedure di espropriazione di crediti intraprese in danno di pubbliche amministrazioni ex lege patrocinate e difese istituzionalmente ed obbligatoriamente dall’Avvocatura dello Stato”.
Secondo la Corte, infatti, è determinante l’introduzione di questo riferimento, che prima non vi era, all’Avvocatura dello Stato, di cui evidentemente il legislatore vuole facilitare l’attività difensiva, ove prevista: “soltanto l’accentramento delle funzioni di difesa e rappresentanza ex latere debitoris in capo alla struttura unitaria dell’Avvocatura dello Stato può fungere da equilibrato contrappeso alla fisiologica evenienza che una stessa amministrazione subisca azioni esecutive innanzi ad una pluralità di uffici giudiziari, determinanti in forza della residenza, domicilio, dimora o sede del creditore”.
Del resto, si prosegue, “da un punto di vista logico … ritenere l’applicabilità del primo comma anche nei riguardi di pubbliche amministrazioni non patrocinate ex lege dall’Avvocatura dello Stato conduce ad esiti operativi contrari al principio di ragionevolezza e alla prioritaria esigenza di una ordinata e razionale distribuzione delle controversie sul territorio”.
Infine, la Corte vuole chiarire il significato della clausola “salvo quanto disposto da leggi speciali” di cui sempre al primo comma dell’art. 26 bis c.p.c.
La Suprema Corte ritiene che detta salvezza faccia riferimento a norme che dettano un criterio diverso “sia dal foro generale del debitore che dal foro speciale del creditore combinato con il luogo di ubicazione dell’Avvocatura dello Stato patrocinante la PA esecutata”.
È quindi necessario che le norme speciali de quibus dettino un tale diverso criterio di competenza territoriale. Così, conclude la Corte, rientra in tale categoria di norme l’art. 14, comma 1 bis, secondo periodo, della L. 669/1996, che individua il giudice territorialmente competente per le procedure esecutive contro enti previdenziali nella “sede principale del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura esecutiva è promossa”, mentre non rientra in tale categoria l’art. 1 bis della L. 720/1984 sulla tesoreria unica per enti ed organismi pubblici, perché in esso “non si ravvisa la posizione di una regola di competenza”, ponendo solo in capo al tesoriere la veste di terzo ai fini delle dichiarazioni richieste nell’ambito della espropriazione presso terzi.
QUESTIONI
I chiarimenti dei quali si fa carico la Corte di cassazione nella pronuncia in esame, hanno ad oggetto temi “di assai rilevante impatto operativo”.
Infatti, le esecuzioni forzate che vedono la Pubblica Amministrazione in posizione passiva non sono certo infrequenti e, oltre a imporre il rispetto di molte prescrizioni speciali (prima fra tutte il rispetto del termine di centoventi giorni dalla notifica del titolo esecutivo prima di procedere ad esecuzione forzata, come previsto dall’art. 14, comma 1, del D.L. 669/1996), da sempre pongono dubbi anche in relazione alla competenza territoriale da rispettare per l’instaurazione dell’esecuzione.
La Corte chiarisce allora che il primo comma dell’art. 26 bis c.p.c., nella sua attuale formulazione, non si applica automaticamente qualora in posizione passiva vi sia una qualunque Pubblica Amministrazione, ma solo ove essa debba essere ex lege rappresentata dall’Avvocatura dello Stato.
Peraltro, ricordiamo che l’altro criterio indicato dalla norma de qua, “pubbliche amministrazioni indicate nell’art. 413, quinto comma” c.p.c., è stato interpretato come criterio che “non concerne l’oggetto del credito di cui le PA sono debitrici (rapporti di lavoro alle loro dipendenze), bensì solo la qualità di esse e, dunque, la norma che a quegli effetti identifica tali Pubbliche Amministrazioni, che è l’art. 1, comma 2, del d. lgs. N. 165 del 2001” (così Cass. 8172/2018).
La Suprema Corte si fa poi carico di un altro importante chiarimento interpretativo, soprattutto nella parte in cui si rivolge alla ipotesi nella quale la Pubblica Amministrazione debitrice si avvalga del servizio di tesoreria centralizzata.
La Corte, come visto, precisa infatti chiaramente che l’art. 1 bis della L. 720/1984 disciplina solo “il modo del pignoramento”, individuando “il soggetto da evocare in lite quale terzo pignorato dell’ente pubblico debitore esecutato”. Ricordiamo, infatti, che la citata norma stabilisce, per quanto qui rileva, che “1. I pignoramenti ed i sequestri, a carico degli enti ed organismi pubblici di cui al primo comma dell’articolo 1, delle somme affluite nelle contabilità speciali intestate ai predetti enti ed organismi pubblici si eseguono, secondo il procedimento disciplinato al capo III del titolo II del libro III del codice di procedura civile, con atto notificato all’azienda o istituto cassiere o tesoriere dell’ente od organismo contro il quale si procede nonché al medesimo ente od organismo debitore. 2. Il cassiere o tesoriere assume la veste del terzo ai fini della dichiarazione di cui all’articolo 547 del codice di procedura civile e di ogni altro obbligo e responsabilità ed è tenuto a vincolare l’ammontare per cui si procede nelle contabilità speciali con annotazione nelle proprie scritture contabili …”.
La Corte è chiara nell’affermare che tale norma speciale “è quindi norma relativa (e sul punto speciale) ai soggetti dell’espropriazione forzata contro la P.A., ma non è norma che regola la competenza ratione loci operante per le relative procedure: così correttamente intesa, non integra una delle leggi speciali di deroga ai fori stabiliti dall’art. 26-bis cod. proc. civ.”. Il principio qui affermato sul punto “non si pone in distonia con il precedente di questa Corte (Cass. 8172 del 2018)”, perché, spiega, tale pronuncia è intervenuta in un contesto normativo che dava rilevanza ai luoghi del terzo pignorato per la determinazione della competenza sull’esecuzione, così lasciando al creditore l’inaccettabile possibilità di scegliere di incardinare la procedura nei confronti di una PA “alternativamente tanto nella sede della persona giuridica cassiere o tesoriere quanto nel luogo in cui essa dovesse in concreto espletare le funzioni di cassiere o tesoriere” (così la citata Cass. 8172/2018), mentre ora, dice sempre la sentenza in esame, “la sede dell’eventuale gestore del servizio di tesoreria unica non rileva più, nel mutato assetto normativo, ai fini dell’individuazione del foro del processo di espropriazione presso terzi”.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia