17 Dicembre 2024

I presupposti del sequestro giudiziale sulla quota di una S.r.l.

di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDF

Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in Materia d’Impresa, Sentenza del 17 Settembre 2024.

Parole chiave: sequestro giudiziario – contratto di cessione quote – risoluzione contrattuale – clausola risolutiva espressa – fumus boni iuris – periculum in mora – misura cautelare

Massima: Ai fini del sequestro giudiziale della quota, sussiste il requisito del periculum qualora (i) la quota corra il rischio di alterazione, distruzione, deterioramento; (ii) vi sia una cattiva gestione del bene da parte del possessore e/o detentore; (iii) si prospetti un pregiudizio tale da compromettere l’esercizio del diritto che sarà accertato al termine della controversia. Contribuisce a escludere il periculum in mora la circostanza per cui la quota potenzialmente soggetta a sequestro rappresenti una partecipazione di minoranza che, come tale, non ostacola l’adozione delle delibere assembleari funzionali allo svolgimento delle attività sociali”.

Articoli: art. 670 c.p.c. e 1456 c.c.

Il caso in esame riguarda una controversia insorta tra i soci di maggioranza di una società a responsabilità limitata (ricorrenti) e una società (resistente) acquirente di una quota del capitale sociale della s.r.l.

Le parti avevano stipulato un contratto-quadro per la cessione progressiva e proporzionale del 100% delle quote sociali. La resistente, tuttavia, divenuta titolare di una quota del 16,67% del capitale sociale, non aveva adempiuto al pagamento delle successive rate del prezzo.

In ragione di quanto precede, i ricorrenti avevano dichiarato la risoluzione del contratto e richiesto il sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. delle quote già trasferite, oggetto della pronuncia in commento.

Chiamato a decidere, il Tribunale ha rigettato la domanda cautelare, ritenendo non sussistenti gli elementi previsti per il sequestro giudiziario.

Ai fini dell’adozione di tale rimedio cautelare, infatti, devono sussistere i presupposti cautelari stabiliti dall’art. 670 n. 1 c.p.c., ossia la verosimile fondatezza della controversia sulla proprietà e il possesso del bene derivante da un’azione reale o contrattuale con cui si chiede la restituzione della cosa detenuta da altri e l’opportunità di provvedere alla sua custodia o gestione temporanea.

Con riferimento al fumus boni iuris, i ricorrenti non avevano fornito prova della dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. di cui al contratto-quadro, condizione necessaria per far sorgere l’obbligo di retrocessione delle quote (e, quindi, la sussistenza di una controversia sulla proprietà).

Con riguardo al periculum in mora, non era stato dimostrato un rischio concreto ed attuale di alienazione o cattiva gestione delle quote, anche in ragione del lungo periodo di inerzia tra l’asserita risoluzione contrattuale e l’avvio del procedimento cautelare.

Al riguardo, il Tribunale ha sottolineato che il periculum prescritto dall’art. 670 c.p.c., sussiste qualora: a) il bene corra il rischio di alterazione, distruzione, deterioramento -secondo la vecchia formulazione, non riprodotta nel nuovo codice, dell’art. 921 c.p.c. del 1865- (cfr. C. 27.9.93 n. 9729; C. 28.6.1969 n. 2342; C.6.12.1994 n. 2964);

b) sussista una cattiva gestione del bene da parte del possessore o detentore;

c) si prospetti un pregiudizio, o comunque una situazione diversa da quella giuridicamente corretta e tale da compromettere l’attuazione del diritto che sarà accertato al termine della controversia (cfr. C. 27.9.93 n. 9729; C. 28.6.1969 n. 2342; C.6.12.1994 n. 2964).

Nel caso in esame, tuttavia, i ricorrenti hanno solo genericamente dedotto la sussistenza di un rischio di alienazione della quota a favore di soggetti concorrenti o di un pregiudizio derivante alla pretesa della resistente di esercitare diritti connessi alla quota sociale.

Su tale ultimo punto, peraltro, il Tribunale ha ritenuto non ravvisarsi alcun possibile pregiudizio dall’esercizio dei diritti sociali da parte della resistente, dal momento che quest’ultima deteneva una quota di minoranza (16,67%) rispetto ai soci ricorrenti (83,33%).

Per le motivazioni sopra esposte, il ricorso è stato quindi rigettato.

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