3 Dicembre 2024

L’inesatta descrizione del bene pignorato invalida la vendita forzata purché sia fatta tempestivamente valere con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2024, n. 26164 – Pres. De Stefano – Rel. Gianniti

Esecuzione forzata – Vizi determinanti l’improseguibilità dell’esecuzione rilevabili ex officio – Opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso i successivi atti esecutivi nei quali il vizio si riproduce – Ammissibilità – Termine

Massima: “Nell’ambito del processo esecutivo, i vizi determinanti l’improseguibilità dell’esecuzione, insanabili e rilevabili ex officio dal giudice, possono essere fatti valere dalla parte interessata mediante l’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta avverso i successivi atti esecutivi nei quali si riproducano, ferma restando la necessità di rispettare il termine decadenziale previsto dalla citata disposizione, decorrente dal giorno in cui tali atti siano compiuti o conosciuti (e comunque entro gli sbarramenti preclusivi correlati alla conclusione delle singole fasi del processo)”.

CASO

Nell’ambito di un’espropriazione immobiliare, all’aggiudicazione dell’immobile pignorato faceva seguito l’emissione del decreto di trasferimento.

La debitrice esecutata proponeva due ricorsi al giudice dell’esecuzione: con il primo, chiedeva che fosse dichiarata la nullità della relazione di stima – che conteneva omissioni ed errori descrittivi incidenti sulla consistenza del bene posto in vendita – e degli atti successivi, compresa l’aggiudicazione; con il secondo, sulla base degli stessi motivi, proponeva opposizione avverso il decreto di trasferimento.

In entrambi i casi, il giudice dell’esecuzione respingeva l’istanza di sospensione e fissava il termine per l’introduzione dei due giudizi di merito, che venivano riuniti e definiti con sentenza che dichiarava inammissibili – perché tardivamente proposte – le opposizioni proposte dall’esecutata.

Tale pronuncia veniva impugnata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che le nullità inerenti alla mancata, incompleta o errata identificazione del bene pignorato non ammettono sanatoria, sono rilevabili ex officio dal giudice dell’esecuzione (perché impediscono al processo esecutivo di pervenire al suo scopo) e, propagandosi agli atti successivi, possono essere dedotte quale motivo di opposizione ex art. 617 c.p.c. per ottenerne l’invalidazione.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza che si annota è intervenuta in una fattispecie in cui l’esecutata aveva impugnato il provvedimento di aggiudicazione dell’immobile pignorato e il successivo decreto di trasferimento, deducendo errori e inesattezze nella descrizione del bene contenuta nella relazione di stima che si erano perpetuati anche negli atti successivi, invalidando a suo dire l’intero procedimento di vendita.

Il Tribunale di Salerno aveva respinto l’opposizione, reputandola tardivamente proposta: secondo la sentenza gravata, infatti, le doglianze attenevano a circostanze verificatesi nella fase propedeutica a quella liquidatoria del bene e dovevano essere fatte valere, al più tardi, con l’impugnazione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 569 c.p.c., che, invece, non era stata fatta oggetto di opposizione, con la conseguenza che i vizi denunciati, quand’anche sussistenti, dovevano ritenersi definitivamente sanati e inidonei a invalidare gli atti successivi.

La Corte di cassazione, tuttavia, ha rilevato che l’impostazione fatta propria dal Tribunale di Salerno, pur rispondendo ai principi che regolano il sistema delle opposizioni formali in ambito esecutivo, vale in quanto si tratti di vizi che non sono in grado di impedire al processo esecutivo di raggiungere il proprio scopo, rappresentato dalla liquidazione del bene pignorato attraverso la sua vendita e dalla conversione dell’oggetto del pignoramento in denaro da distribuire tra i creditori nel rispetto della par condicio creditorum, fatte salve le cause legittime di prelazione.

Il processo esecutivo, infatti, si caratterizza per essere non già una sequenza continua di atti finalizzati all’emissione di un unico provvedimento finale (com’è a dirsi, invece, per il processo di cognizione), ma una successione di subprocedimenti, cioè una serie autonoma di atti ordinati all’assunzione di distinti provvedimenti successivi: l’autonomia di ciascuna fase rispetto a quella precedente comporta che le situazioni invalidanti che si producono nella fase che si conclude con l’ordinanza di autorizzazione alla vendita – pronunciata all’esito dell’udienza ex art. 569 c.p.c. –debbono essere dedotte con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta avverso detta ordinanza, posto che, in sua assenza, restano definitivamente sanate e non sono suscettibili di essere rilevate nel corso ulteriore del processo.

Questa regola generale subisce un’eccezione quando si tratti di invalidità che impediscono al processo esecutivo di conseguire la vendita del bene pignorato e la sua trasformazione in denaro per la soddisfazione dei creditori: in questi casi, il vizio resta sempre rilevabile d’ufficio e può fondare l’opposizione agli atti esecutivi proposta, al più tardi, avverso l’atto conclusivo della fase successiva (rappresentato dal decreto di trasferimento, che segna la conclusione della fase liquidatoria), inficiato – per derivationem – dalla nullità che affligge l’ordinanza di vendita illegittimamente emessa.

In particolare, quando sia ravvisabile la mancata, incompleta o errata descrizione del bene staggito, la giurisprudenza ritiene che la nullità che colpisce il pignoramento immobiliare non ammette sanatoria, in quanto si ripercuote sulla stessa vendibilità del cespite: il vizio, dunque, è di gravità tale da propagarsi agli atti successivi, restando deducibile quale motivo di opposizione formale avverso ciascuno di essi, sia pure entro il termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c., decorrente dall’adozione o dalla conoscenza di ognuno di essi.

Occorre precisare, a tale riguardo, che i vizi insanabili del pignoramento che possono essere rilevati anche ex officio sono solo quelli che ingenerano un’incertezza assoluta circa l’oggetto del pignoramento, mentre non possono considerarsi tali quelli che consistono in meri errori o lacune – quali, per esempio, la mancata indicazione della quota di comproprietà appartenente a ciascuno degli esecutati, l’omessa specificazione di un elemento identificativo del bene, l’erronea indicazione di una particella catastale – che non determinano una simile incertezza o che possono essere emendati attraverso la nota di trascrizione o con precisazioni contenute nell’ordinanza o nell’avviso di vendita (Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 2022, n. 35878).

Nel caso di specie, secondo quanto contestato dall’opponente, l’erronea descrizione del bene non riguardava propriamente l’atto di pignoramento, bensì la relazione di stima predisposta dall’esperto nominato ai sensi dell’art. 568 c.p.c. (sulla cui base era stato predisposto l’avviso di vendita e, successivamente, il verbale di aggiudicazione e il decreto di trasferimento, nei quali erano stati riprodotti e si erano perpetuati i medesimi errori), dal momento che nella perizia:

  • era stata indicata l’esistenza di un posto auto e di una pertinenza – costituita da un piccolo manufatto rurale – che, in realtà, non erano stati colpiti dal pignoramento, che aveva per oggetto un appartamento;
  • non era stata data evidenza della situazione di interclusione che caratterizzava l’appartamento medesimo (visto che il terreno circostante costituiva un’unità negoziale autonoma e indipendente, munita di propri specifici identificativi catastali, che, pur non essendo stata pignorata, era stata nondimeno ricompresa nell’oggetto della vendita esecutiva, in quanto ritenuta pertinenza del fabbricato), sicché, per accedervi, si sarebbe dovuto promuovere un giudizio volto a ottenere la costituzione di una servitù di passaggio (circostanza di cui gli offerenti e l’aggiudicatario non erano stati informati).

Non vi è dubbio, tuttavia, che il giudice dell’esecuzione non avesse il potere di porre in vendita beni che non erano stati colpiti dal pignoramento, quand’anche qualificabili come pertinenza di quello ivi indicato: la giurisprudenza, infatti, ha chiarito che la mancata indicazione espressa, nel pignoramento e nella relativa nota di trascrizione, dei dati identificativi catastali propri, esclusivi e univoci, di una pertinenza, a fronte dell’espressa indicazione di quelli – diversi e distinti – di altri beni, integra, in difetto di ulteriori e altrettanto univoci elementi deponenti in senso contrario (eventualmente ricavabili, per esempio, da idonee menzioni contenute nel quadro relativo alla descrizione dell’oggetto o nel quadro “D” della nota di trascrizione), una diversa risultanza dell’atto di pignoramento e della sua nota di trascrizione, idonea a rendere inoperante la presunzione di cui all’art. 2912 c.c. (in questi termini, Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2014, n. 11272).

Pertanto, se è vero che l’ordinanza di vendita non era stata impugnata per fare valere l’erronea ricomprensione, nell’oggetto della vendita esecutiva, di beni rimasti estranei al perimetro oggettivo del pignoramento e incidenti in misura significativa sulla consistenza dell’immobile aggiudicato e trasferito (giacché influenti sulla stessa possibilità di accedervi), è altrettanto vero che tale invalidità – insanabile perché attinente all’individuazione del bene espropriato e alle sue caratteristiche essenziali, perfino idonee a mutarne in parte la natura – si era riprodotta identica in  sé stessa nei successivi atti di liquidazione, inficiandoli.

Diversamente da quanto sostenuto dal giudice che aveva respinto l’opposizione agli atti esecutivi proposta avverso il verbale di aggiudicazione e il decreto di trasferimento, dunque, l’esecutata era legittimata ad avvalersi del rimedio impugnatorio azionato.

Va rammentato, peraltro, che, a seguito della riforma dell’art. 591-ter c.p.c., il decreto di trasferimento può essere impugnato solo ed esclusivamente per vizi suoi propri (quali, per inciso, quelli dedotti nella fattispecie esaminata dall’ordinanza che si annota, per le ragioni illustrate) e non più per irregolarità o invalidità che affliggono gli atti posti in essere dal professionista delegato e che non siano stati tempestivamente dedotti con il rimedio (reclamo) appositamente predisposto dalla norma, proprio al fine di stabilizzare la vendita esecutiva.

Da ultimo, va segnalato che, nel caso di specie, l’acquisto dell’aggiudicatario non poteva essere fatto salvo per effetto di quanto stabilito, rispettivamente, dall’art. 2929 c.c. e dall’art. 187-bis disp. att. c.p.c., dal momento che:

  • la prima disposizione sancisce l’inopponibilità all’acquirente delle nullità degli atti del processo esecutivo che hanno preceduto la vendita (circoscrivendo così la regola ai vizi che affliggono gli atti che hanno preceduto l’udienza in cui è stata autorizzata e che non siano stati tempestivamente fatti valere con l’opposizione ex 617 c.p.c.), restando di converso escluse le nullità che attengono proprio all’aggiudicazione e alla vendita;
  • la seconda disposizione, invece, pone al riparo l’aggiudicatario dagli eventi – quali l’estinzione o la chiusura anticipata del processo esecutivo, che presuppongono pur sempre la validità dell’aggiudicazione e della vendita.

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