Quando il singolo socio dispone della legittimazione attiva per impugnare il contratto concluso dall’amministratore?
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. I, 13 giugno 2024, n. 16504
Parole chiave: Società – Società in genere – Legittimazione attiva e passiva – Contratto – Nullità
Massima: “In generale, il socio di una società che non sia anche amministratore non è legittimato a impugnare la validità dei contratti che l’organo gestorio abbia stipulato con i terzi in nome e per conto della società. Tuttavia, tale principio postula che l’atto di gestione sia compiuto dall’amministratore nell’’ambito dei poteri che la legge e lo statuto gli riconoscono quale “decisore” di ogni aspetto connesso all’operatività della società medesima.”
Disposizioni applicate: art. 1372 c.c., art. 1418 c.c., art. 2258 c.c., art. 2259 c.c., art. 2298 c.c..
Nella fattispecie in esame, il socio accomandatario di una S.a.s. impegnata in attività alberghiera aveva concluso un contratto di cessione d’azienda con una s.r.l., svuotando in tal modo l’oggetto sociale della S.a.s., con la conseguenza che la S.a.s. si è ritrovata in uno stato di liquidazione di fatto, essendo impossibilitata a proseguire la propria attività. Al verificarsi di questa situazione, i soci accomandati della S.a.s. hanno agito in giudizio per contestare la validità del contratto di cessione, vedendosi eccepire dall’amministratore della S.a.s. la loro mancanza di legittimazione ad agire.
I giudici del primo e secondo grado, pur dichiarando la nullità del contratto di cessione d’azienda e revocando il socio accomandatario dal suo ruolo di amministratore della S.a.s., ha esonerato la S.r.l. cessionaria dal restituire l’azienda ceduta, in quanto trasformatasi nel tempo.
La Corte d’Appello così facendo ha ritenuto che, sussistendo una cosiddetta riserva societaria sulle decisioni che possono comportare la liquidazione della società e in assenza di autorizzazione da parte della società alla sottoscrizione da parte del socio accomandatario del contratto oggetto di contestazione, i soci accomandanti fossero legittimati a proporre la domanda di nullità del contratto di cessione d’azienda con cui era stato svuotato l’oggetto sociale e che aveva determinato la liquidazione di fatto della S.a.s. cedente.
Quanto precede è al cuore dell’analisi svolta dagli ermellini nell’ambito del procedimento in Cassazione introdotto dal socio accomandatario.
La Cassazione ha innanzitutto rammentato come il singolo socio non amministratore, come nel caso di specie i soci accomandanti, non sia legittimato ad impugnare la validità dei cosiddetti atti esterni, cioè di quei contratti stipulati dall’amministratore con i terzi in nome e per conto della società, mentre lo può fare con riguardo ai cosiddetti atti a rilevanza interna, ovvero gli atti endosocietari.
Tuttavia, la Suprema Corte ha ricordato come questo principio non sia assoluto, giacché l’atto esterno non è impugnabile finché “l’atto di gestione sia compiuto dall’amministratore nell’ambito dei poteri che la legge e lo statuto gli riconoscono quale “decisore” di ogni aspetto connesso all’operatività della società medesima, in rispetto agli obiettivi fissati per il miglior conseguimento dell’oggetto sociale”.
Va rilevato che, nel caso che ci interessa, il contratto stipulato dal socio accomandatario aveva lasciato la società inattiva, impossibilitata a perseguire il suo oggetto sociale, costituendo un atto abnorme rispetto al mero atto di gestione non suscettibile di impugnazione.
Orbene, gli ermellini hanno evidenziato che ciò che i soci accomandanti impugnanti “hanno dedotto in lite non è, a ben vedere, la validità del contratto di cessione di azienda nei suoi rapporti con i terzi stipulanti, bensì la ricaduta endosocietaria che tale scelta gestionale ha avuto in relazione alla prosecuzione dell’attività della società” di cui erano soci e “la connessa violazione del riparto di competenze tra gli organi della società medesima”.
In un caso come quello in esame, la Corte di Cassazione ha evidenziato che ogni socio è legittimato a rivendicare l’essenzialità delle attribuzioni spettanti al proprio ruolo all’interno della società e ciò a prescindere e separatamente dall’eventualità, nella specie peraltro verificatasi, che “la medesima condotta dell’amministratore sia stata dedotta anche come fonte di sua diretta responsabilità per il fatto di gestione, circostanza che ha comportato, accanto alla declaratoria di nullità del contratto ab externo, anche la revoca” del socio accomandatario dalla carica di amministratore della Sas.
Alla luce di quanto precede, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del socio accomandatario.
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