Procedimento di correzione degli errori materiali ex artt. 287 ss. c.p.c.: le Sezioni Unite escludono l’ammissibilità di una statuizione sulle spese
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. un., 14 novembre 2024, n. 29432, Pres. Cassano, Est. Iannello
[1] Procedimento civile – spese giudiziali civili.
Nel procedimento di correzione degli errori materiali, ex artt. 287-288 e 391-bis c.p.c., in quanto di natura sostanzialmente amministrativa e non diretto a incidere, in situazione di contrasto tra le parti, sull’assetto di interessi già regolato dal provvedimento corrigendo, non può procedersi alla liquidazione delle spese, non essendo configurabile in alcun caso una situazione di soccombenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 91 c.p.c., neppure nella ipotesi in cui la parte non richiedente, partecipando al contraddittorio, opponga resistenza all’istanza.
CASO
[1] L’intervento del massimo organo di nomofilachia è stato sollecitato in conseguenza dell’intervenuta presentazione, davanti al Tribunale di Foggia, di istanza ex art. 287 c.p.c. per la correzione di una sentenza nella parte in cui, dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione proposta dal debitore, questi veniva condannato alla rifusione delle spese processuali; parte creditrice (e istante) sosteneva, infatti, che la determinazione di tale importo fosse da considerarsi frutto di errore materiale.
La controparte si oppose all’istanza deducendo l’inesistenza del lamentato errore e domandando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e dei compensi del procedimento.
Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Foggia dichiarava inammissibile l’istanza sulla base della qualificazione del vizio dedotto quale error in iudicando, scaturente da un’attività valutativa del giudice, e non già quale mero errore materiale, conseguentemente condannando l’istante a rimborsare alla controparte le spese del procedimento di correzione in applicazione del principio per cui, in tale giudizio, ove la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza di correzione, si configura, all’esito della decisione, una situazione tecnica di soccombenza.
Avverso tale ordinanza, e segnatamente in relazione alla condanna alle spese, parte intimante proponeva ricorso straordinario per cassazione sulla base di un unico motivo denunciante, ex art. 360, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 287 e 288 c.p.c.
Il ricorrente, in particolare, sostiene che la natura non giurisdizionale, bensì meramente amministrativa, del procedimento di correzione di errore materiale, non equiparabile a un processo di impugnazione, considerata anche la sua collocazione nell’ambito del codice di rito civile, e destinato a concludersi con un provvedimento meramente ordinatorio, renderebbe inapplicabile l’art. 91 c.p.c. in tema di condanna della parte soccombente alle spese del procedimento, poiché la situazione di soccombenza potrebbe formarsi solo nell’ambito di un procedimento giurisdizionale contenzioso.
Con ordinanza interlocutoria n. 27681/2023 del 29 settembre 2023, la Terza Sezione Civile della Corte rimetteva gli atti alla Prima Presidente, ai fini dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in relazione alla questione di massima posta dal ricorso: «se, in tema di procedimento di correzione di errori materiali, ove la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza di correzione, così contrapponendo il proprio interesse a quello proprio della parte ricorrente, si configuri, all’esito del giudizio, una situazione di soccombenza che impone al giudice di provvedere sulle spese processuali, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.».
Come verrà più diffusamente illustrato tra breve, tale ordinanza di rimessione si è chiaramente espressa a favore dell’orientamento, ad oggi minoritario, postulante la statuizione sulle spese in caso di contrasto tra le parti in ordine all’ammissibilità o alla fondatezza dell’istanza di correzione (ma non anche in caso di istanza congiunta o non opposta).
SOLUZIONE
[1] Le Sezioni Unite non ritengono di condividere le riflessioni svolte nell’ordinanza di rimessione, auspicante una revisione dell’orientamento tradizionale sulla questione sollevata.
Secondo il massimo organo di nomofilachia, infatti, se è vero che un contrasto di interessi tra le parti idoneo a configurare il presupposto della soccombenza ex art. 91 c.p.c. può prospettarsi anche rispetto a procedimenti di volontaria giurisdizione e a struttura camerale, tuttavia ciò non basta a dimostrare che altrettanto possa avvenire nel procedimento di correzione di errore materiale, a ciò ostando le peculiarità di tale procedimento, che non ne consentono una assimilazione non solo ai procedimenti contenziosi, ma neppure ai procedimenti di volontaria giurisdizione.
Dall’art. 91 c.p.c., infatti, è possibile ricavare due presupposti per la condanna alle spese: a) la contestuale definizione del procedimento al quale esse si riferiscono, essendo pronunciata con un provvedimento del giudice avente il carattere della definitività, nel senso che deve «chiudere» il processo «davanti a lui»; b) la soccombenza, che assume anche valore di criterio-guida nell’individuazione del soggetto onerato delle spese.
Tali presupposti, secondo le Sezioni Unite, non sarebbero ravvisabili in relazione al procedimento di correzione degli errori materiali. Tale procedimento, infatti, anche quando viene instaurato ad iniziativa di una sola parte, non implica l’affermazione di un diritto nei confronti dell’altra né realizza una statuizione sostitutiva di quella contenuta nel provvedimento corretto; la funzione svolta in sede e ai fini della correzione delle sentenze per emendarle da errori materiali presenta caratteri sui generis e non è contenutisticamente assimilabile nemmeno alla volontaria giurisdizione, non trattandosi di attuare interessi in funzione integrativa della volontà dei rispettivi titolari, ma piuttosto e soltanto di recuperare la corrispondenza tra l’espressione formale e il contenuto sostanziale di un già emesso provvedimento. In tal senso, le Sezioni Unite convengono con l’affermazione che attribuisce al provvedimento che conclude il procedimento natura sostanzialmente amministrativa: si tratta, infatti, di attività sì riservata al giudice e regolata dalla legge, ma che di una pronuncia giurisdizionale non ha né i presupposti, né il contenuto, né l’effetto, non rappresentando esercizio di potestas iudicandi.
Ora, nell’ipotesi in cui la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza di correzione, è vero che tra le parti si determina una controversia sulla sussistenza, o meno, dei presupposti della invocata correzione, ma il giudice non «giudica» su tale contrasto, né dirime la controversia tra le parti — la cui risoluzione sarà effetto indiretto e secondario — bensì persegue una finalità che riguarda esclusivamente la corretta estrinsecazione del giudizio già espresso.
In tale prospettiva, il contraddittorio, che è necessario instaurare quando non si tratti di istanza congiunta, più che rappresentare gli interessi contrapposti delle parti svolge un ruolo ancillare e di mero ausilio al corretto esercizio della funzione di correzione e al perseguimento di un interesse che solo indirettamente è di una o di entrambe le parti, principalmente essendo un interesse dell’ordinamento.
Conseguentemente, nel procedimento per la correzione di errore materiale non è possibile apprezzare, quand’anche ad istanza di una sola parte e quale che sia il suo esito, una soccombenza in senso proprio quale postulata dall’art. 91 c.p.c.
Alla luce di tali considerazioni, le Sezioni Unite reputano che debba darsi continuità all’orientamento prevalente che nega, in ogni caso, l’ammissibilità di una statuizione sulle spese nel procedimento in discorso. Conseguentemente, le stesse pronunciano il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di correzione degli errori materiali, ex artt. 287-288 e 391-bis c.p.c., in quanto di natura sostanzialmente amministrativa e non diretto a incidere, in situazione di contrasto tra le parti, sull’assetto di interessi già regolato dal provvedimento corrigendo, non può procedersi alla liquidazione delle spese, non essendo configurabile in alcun caso una situazione di soccombenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 91 c.p.c., neppure nella ipotesi in cui la parte non richiedente, partecipando al contraddittorio, opponga resistenza all’istanza”.
QUESTIONI
[1] La questione sottoposta alle Sezioni Unite, ben compendiata nei suoi estremi dall’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione Civile, era oggetto di contrasto, nella giurisprudenza di legittimità, tra un orientamento assolutamente prevalente e uno minoritario.
Secondo il primo orientamento, tradizionale e maggioritario, nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 ss. e 391-bis c.p.c., non sarebbe in alcun caso ammessa una statuizione sulle spese processuali (ex multis e solo tra le più recenti, Cass., 16 luglio 2024, n. 19600; Cass., 14 settembre 2023, n. 26566; Cass., sez. un., 13 febbraio 2023, n. 4353, in motivazione; Cass., 3 dicembre 2021, n. 38306). Gli argomenti addotti a sostegno di tale orientamento sono: a) la natura non giurisdizionale (bensì amministrativa) del procedimento di correzione di errori materiali; b) l’idoneità dello stesso a dare luogo a un mero incidente del giudizio in cui il provvedimento da correggere è stato pronunciato, senza sfociare in una statuizione sostitutiva di quella corretta; c) la natura non decisoria (né autonoma rispetto al provvedimento corretto) dell’ordinanza di correzione; d) la natura non contenziosa del provvedimento, coerentemente non (autonomamente) impugnabile, secondo quanto previsto dall’art. 288, quarto comma, c.p.c.; e) l’appartenenza del procedimento alla giurisdizione volontaria, insuscettibile di determinare una situazione di soccombenza.
Secondo l’orientamento minoritario, viceversa, ferma l’inammissibilità di una statuizione sulle spese in caso di istanza congiunta o non opposta, occorrerebbe invece farvi luogo ove sorga contrasto in ordine all’ammissibilità o alla fondatezza dell’istanza di correzione (in tal senso, Cass., 22 giugno 2020, n. 12184; Cass., 5 luglio 2019, n. 18221; Cass., 18 dicembre 2018, n. 32736).
Tale orientamento è chiaramente preferito dall’ordinanza di rimessione, che ne auspica l’accoglimento sulla base di argomenti diretti a rivedere il significato e il fondamento logico dei due presupposti tradizionalmente indicati come necessari perché si abbia soccombenza ai fini della pronuncia sulle spese, ossia il carattere «contenzioso» del procedimento al quale tale pronuncia accede e la natura «giurisdizionale» del provvedimento che lo conclude: secondo il collegio rimettente, cioè, «né la struttura camerale né la funzione volontaria del procedimento sono incompatibili con la presenza di un reale contrasto di interessi tra le parti in conflitto» e pertanto, nel momento in cui tale contrasto si verifica, attraverso la costituzione della parte non ricorrente e la sua resistenza all’istanza di correzione, questo deve essere composto nel rispetto del principio del contraddittorio, e ciò anche sul piano del regolamento delle spese processuali.
Come anticipato poc’anzi, gli argomenti spesi dall’ordinanza di rimessione non sono stati ritenuti sufficientemente persuasivi dalle Sezioni Unite, che hanno fondato la propria decisione sull’assenza, all’esito del procedimento di correzione di errori materiali, del fondamentale presupposto della soccombenza.
Nel caso di specie il Tribunale di Foggia, avendo rigettato l’istanza di correzione e pronunciato condanna alle spese nei confronti della parte istante e in favore della parte che a quella istanza si era opposta, ha fatto applicazione di una regola di giudizio opposta al principio sposato dalle Sezioni Unite. L’unico motivo di ricorso formulato è stato pertanto ritenuto fondato, con cassazione senza rinvio del provvedimento di correzione impugnato, nella parte in cui ha statuito sulle spese.
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