La vessatorietà della clausola compromissoria ne comporta sempre l’invalidità anche se non tempestivamente eccepita dal consumatore
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 5 marzo 2024, n. 5936 – Pres. Scotti – Rel. Iofrida
Parole chiave: Contratto tra consumatore e professionista – Clausola compromissoria – Assenza di trattativa individuale – Vessatorietà – Mancata eccezione in sede arbitrale – Annullabilità del lodo arbitrale – Sussistenza
[1] Massima: “Il lodo rituale reso sulla base di una clausola arbitrale contenuta in un contratto concluso fra un consumatore e un professionista che non abbia formato oggetto di trattativa individuale, è annullabile anche se, nel corso del giudizio arbitrale, non ne sia stata eccepita la vessatorietà”.
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1341, 1342; d.lgs. 206/2005, art. 33
CASO
A un’impresa veniva commissionata la ristrutturazione di un immobile: nel contratto d’appalto concluso con la committente consumatrice veniva inserita una clausola che prevedeva la devoluzione in sede arbitrale delle future controversie.
Una volta ultimati i lavori, l’impresa appaltatrice, al fine di ottenere il pagamento del saldo del corrispettivo pattuito, promuoveva un arbitrato, nel quale la committente resisteva sostenendo che le opere fossero state realizzate in assenza di autorizzazione, sicché il contratto doveva considerarsi nullo.
La domanda dell’appaltatrice, tuttavia, veniva accolta; a questo punto, la committente impugnava il lodo, deducendo l’invalidità della clausola compromissoria, perché da considerarsi vessatoria ai sensi dell’art. 33 d.lgs. 206/2005.
La Corte d’appello di Roma, ciononostante, rigettava il gravame, ritenendo che la doglianza non potesse trovare accoglimento, dal momento che la questione non era stata tempestivamente sollevata in sede arbitrale e atteneva al merito della controversia, non potendo quindi fondare la declaratoria di nullità del lodo.
La sentenza veniva gravata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che il mancato rilievo dell’abusività della clausola compromissoria nell’ambito del procedimento arbitrale non preclude al giudice avanti al quale sia stato impugnato il lodo di accertare per la prima volta la vessatorietà della clausola (per non essere stata oggetto di trattativa individuale tra le parti) e di dichiarare quindi la nullità del lodo, essendo questa l’unica soluzione conforme alla disciplina di protezione dettata a tutela del consumatore, sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.
QUESTIONI
[1] L’impatto della normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, nel nostro ordinamento è sempre più significativo, soprattutto quando viene in rilievo la disciplina dettata a tutela del consumatore, cui dev’essere sempre garantita un’adeguata protezione, in quanto soggetto per definizione debole rispetto alla controparte.
È noto, a questo proposito, che la Corte di cassazione è stata chiamata a dare attuazione al principio in base al quale la presenza di clausole vessatorie in un contratto concluso tra un professionista e un consumatore può essere rilevata, anche d’ufficio, pure in sede esecutiva, nonostante la formazione di un titolo esecutivo giudiziale divenuto definitivo e coperto da giudicato, se il consumatore non sia stato adeguatamente informato circa la possibilità di fare valere la vessatorietà e la conseguente invalidità della clausola: così, con la sentenza n. 9479 del 6 aprile 2023, le Sezioni Unite hanno dettato le linee guida che debbono essere osservate, in prima battuta, dal giudice adito in via monitoria e, in seconda battuta, dal giudice dell’esecuzione quando il titolo esecutivo azionato dal creditore sia un decreto ingiuntivo non opposto.
Nella vicenda esaminata nell’ordinanza che si annota, la questione di diritto controversa riguardava proprio la possibilità di sindacare la vessatorietà o meno di una clausola contrattuale successivamente alla conclusione di un procedimento (nel caso di specie, arbitrale) nel cui ambito la questione non era stata dedotta e discussa.
Era avvenuto, infatti, che una consumatrice, dopo avere partecipato a un arbitrato promosso nei suoi confronti dall’impresa appaltatrice in virtù di una clausola compromissoria contenuta nel contratto d’appalto, aveva impugnato il lodo, sostenendone la nullità in quanto la predetta clausola doveva considerarsi vessatoria; l’adita Corte d’appello di Roma, tuttavia, aveva ritenuto di non potere accogliere la doglianza, perché l’invalidità della clausola compromissoria non era stata contestata in sede arbitrale e non poteva essere, dunque, addotta quale motivo di nullità del lodo.
I giudici di legittimità, dando prevalenza alle esigenze di tutela che ispirano la disciplina dettata a favore del consumatore, hanno disatteso questa impostazione.
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza comunitaria:
- il giudice nazionale può sempre rilevare – anche d’ufficio – la nullità dell’accordo arbitrale e annullare il lodo se ravvisi l’abusività della clausola compromissoria, anche qualora il consumatore non abbia fatto valere la vessatorietà nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo, non potendo maturare alcuna preclusione nel corso del giudizio arbitrale a fronte della violazione di una normativa (quella dettata a tutela del consumatore) espressamente qualificata come di ordine pubblico, dal momento che solo in questo modo è assicurata l’effettività delle tutele apprestate in favore dei consumatori;
- il giudice nazionale non deve limitarsi a rendere una pronuncia sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, ma ha l’obbligo di esaminare d’ufficio la questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari a tale scopo, disapplicando la clausola considerata abusiva (salvo che il consumatore vi si opponga);
- anche il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di rilevare d’ufficio la nullità di una clausola abusiva, in quanto vessatoria, sebbene l’inerzia del consumatore abbia determinato il passaggio in giudicato della pronuncia resa all’esito di un procedimento in cui la questione non era stata sollevata e affrontata, assumendo, in base a quanto previsto dall’ordinamento nazionale, i provvedimenti necessari per evitare che il consumatore possa essere pregiudicato dall’applicazione di tale clausola.
Pertanto, alla luce dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza comunitaria, un lodo reso sulla base di una clausola compromissoria contenuta in un contratto concluso da un consumatore e un professionista e che non abbia formato oggetto di trattativa individuale può essere annullato anche se, nel corso del giudizio arbitrale, non sia stata eccepita o rilevata la vessatorietà della clausola.
È vero, infatti, che l’impugnazione del lodo arbitrale fondata sulla nullità della convenzione di arbitrato è ammessa solo se la relativa questione sia stata fatta valere innanzi agli arbitri, visto che l’art. 817, comma 2, c.p.c. (richiamato dall’art. 829, comma 1, c.p.c.) stabilisce che la parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri la loro incompetenza per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato non può impugnare il lodo per questo motivo, salvo che si tratti di controversia non arbitrabile.
I giudici di legittimità, tuttavia, non reputano insuperabile tale preclusione, affermando la necessità di disapplicarla, in quanto in contrasto con la legislazione comunitaria.
In questo senso, non si è ritenuto praticabile sostenere che le controversie che traggono origine da un contratto concluso da un consumatore e da un professionista in cui sia presente una clausola arbitrale nulla in quanto non oggetto di trattativa individuale sarebbero da considerarsi non arbitrabili ai sensi dell’art. 817, comma 2, c.p.c.
Allo stesso modo, si è esclusa la configurabilità di una nullità della convenzione di arbitrato abusiva o vessatoria per contrasto con norme di ordine pubblico, onde potersi avvalere della clausola di salvezza contenuta nel comma 3 dell’art. 829 c.p.c. (a mente della quale il lodo è sempre impugnabile per contrasto con l’ordine pubblico): secondo tale impostazione, il lodo reso sulla base di una clausola compromissoria contraria all’ordine pubblico, sarebbe per ciò stesso impugnabile ai sensi del citato art. 829, comma 3, c.p.c., ma a ciò si è obiettato, da un lato, che la norma prescrive che dev’essere il lodo a porsi direttamente in contrasto con l’ordine pubblico e che non possa, dunque, configurarsi una sorta di nullità derivata e, dall’altro lato, che l’ordine pubblico cui fa riferimento la norma è quello sostanziale (inteso come insieme di norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento), mentre la nullità del lodo derivante dal fatto di essere stato pronunciato da arbitri privi di potestas iudicandi (a causa della nullità, perché contraria all’ordine pubblico, della clausola arbitrale) configurerebbe un’invalidità per ragioni di rito.
Per tali motivi, la Corte di cassazione ha affermato che, nel confronto tra la disciplina sull’arbitrato e quella speciale derogatoria dettata a tutela del consumatore, il giudice deve disapplicare il combinato disposto degli artt. 819 e 817, comma 3, c.p.c., secondo cui l’impugnazione per nullità del lodo basata sull’invalidità della convenzione di arbitrato non è ammessa se non è stata eccepita nel corso del procedimento arbitrale, per contrarietà alla legislazione comunitaria: ne deriva l’inammissibilità di preclusioni maturate nel corso del giudizio arbitrale, per effetto di deroga di origine comunitaria alla normativa interna in materia di arbitrato.
Si consideri, peraltro, che, sulla scorta delle indicazioni provenienti dai giudici comunitari, la giurisprudenza si è interrogata sulla possibilità di dichiarare, in sede di legittimità, la vessatorietà di una clausola negoziale di cui sia stata fatta applicazione nel precedente giudizio di rinvio, per non esserne stata dedotta dal consumatore o rilevata officiosamente dal giudice l’abusività, nonostante la formazione di un giudicato implicito sulla sua validità: la Corte di cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11174 del 26 aprile 2024, infatti, ha devoluto la questione, tramite rinvio pregiudiziale, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, visto il generale rafforzamento del potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di protezione indotto dalle pronunce comunitarie, chiaramente dirette ad assicurare adeguata tutela ai contraenti deboli e in posizione asimmetrica, evitando che venga compromessa l’efficacia della deterrenza al compimento di abusi in danno del consumatore.
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