15 Ottobre 2024

Sovraindebitamento: il principio di economicità è parametro necessario per valutare l’adeguatezza del compenso per prestazioni intellettuali prodromiche alla procedura

di Chiara Zamboni, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara Scarica in PDF

Trib. Verona, 19 agosto 2024 – Pres. Attanasio, Est. Lanni

Parole chiave

Sovraindebitamento – principio economicità – compenso del non professionista – contratto di prestazione d’opera intellettuale.

Massima: “Le procedure di sovraindebitamento sono ispirate ad un principio di economicità che risponde all’ esigenza di non ridurre in modo sensibile, attraverso contratti d’opera intellettuale strumentali all’apertura della procedura, l’attivo destinato ai creditori. Questo principio è un parametro da considerarsi necessariamente al fine di valutare l’adeguatezza del compenso per prestazioni intellettuali prodromiche alla presentazione dell’istanza di nomina del gestore della crisi da sovraindebitamento”.

Riferimenti normativi

Art. 273 CCII – 2233 co. 2 c.c.

CASO E QUESTIONI

La pronuncia in esame risulta di particolare interesse perché ci impone di soffermare l’attenzione sulla portata del principio di economicità nelle procedure di sovraindebitamento, e sulle diverse implicazioni.

La vicenda trae origine da un reclamo promosso ai sensi dell’art. 273 co. 6 CCII avverso il decreto con cui il Giudice delegato aveva formato lo stato passivo della procedura di sovraindebitamento, escludendo il credito della reclamante, fatto valere quale compenso per l’attività di assistenza e consulenza in funzione dell’apertura della procedura.

Nel caso di specie, il Giudice aveva escluso il credito motivando circa la superfluità dell’attività svolta dalla reclamante, in considerazione dell’attività svolta dall’advisor legale e dall’OCC. Tale motivazione è stata censurata dalla reclamante che ha sottolineato l’autonomia e la rilevanza dell’attività compiuta in funzione della procedura, come indicato dal contratto concluso tra le parti.

Ai fini della decisione del reclamo si è reso necessario, pertanto, procedere all’accertamento dell’oggetto e del compenso previsti dal contratto di prestazione d’opera intellettuale.

L’esame del contratto ha evidenziato che l’incarico prevedeva una prestazione d’opera intellettuale avente ad oggetto, in sintesi, l’acquisizione dal cliente della documentazione necessaria per l’instaurazione di una procedura di sovraindebitamento, la catalogazione della documentazione e la predisposizione degli elenchi creditori, la predisposizione dell’istanza di nomina del gestore della crisi, un’approfondita consulenza in merito alla normativa sul sovraindebitamento e sui criteri di accesso e l’assistenza al legale incaricato per tutta la durata della procedura prescelta.

Così ricostruita, l’attività oggetto dell’incarico è apparsa superflua e di ridotta consistenza tenuto conto anche dell’attività svolta dai professionisti coinvolti. Sul punto si evidenzia che nelle procedure di sovraindebitamento l’OCC ricopre un vero e proprio ruolo assistenziale anche in funzione della scelta della procedura (v. art. 15, co. 4, L. n. 3/12), ciò comporta che debba in ogni caso compiere l’attività di raccolta dei documenti dal debitore e di acquisizione delle informazioni necessarie.

Inoltre, come sottolineato nel provvedimento in esame, la raccolta dei documenti, la predisposizione dell’elenco dei creditori (senza il vaglio giuridico dei titoli) e l’istanza di nomina del gestore della crisi sono attività prevalentemente materiali, che richiedono un impegno ridotto.

Con riferimento all’attività di consulenza circa la normativa del sovraindebitamento così come descritta nel contratto, i giudici evidenziano che la reclamante non ha precisato in cosa sia consistita questa attività, posto che trattandosi di una prestazione di consulenza funzionale alla scelta di una procedura giudiziale è attività riservata agli avvocati (v. art. 2 co. 6 L. n. 247/12), tale riserva di attività lascia dedurre che si sia trattato nel caso di specie di un’attività minimale, non rientrante nella consulenza in senso proprio. In caso contrario, l’incarico deve ritenersi nullo in parte qua.

Infine, non pare essere stata svolta né l’attività di ausilio ed assistenza nella presentazione della domanda, svolta dal legale incaricato dal debitore, né l’assistenza al legale dal momento che nelle procedure di sovraindebitamento non vi è attività ulteriore rispetto alla consegna dei documenti.

Valutata l’attività oggetto del contratto, il Collegio ha svolto ulteriori considerazioni circa il compenso pattuito dalla reclamante. In particolare, ha rilevato che il compenso era stato pattuito nella misura del 2% dell’ammontare dei debiti del cliente, aumentato della somma di 1000 euro oltre IVA e rimborso spese.

Ciò posto, il tribunale ha evidenziato che a fronte di debiti pari ad € 123.939,46 e di un attivo pari a circa € 24.600 (entrambi i valori considerati al momento della presentazione della domanda di apertura della procedura di sovraindebitamento), il compenso pattuito era pari ad € 4270, corrispondente a circa il 20 % dell’attivo ipoteticamente distribuibile ai creditori, al netto delle spese di procedura. L’incarico prevedeva, in ogni caso, che il debitore si avvalesse di un legale per la presentazione dell’istanza di nomina del gestore della crisi (con un compenso di € 1.091,35)

Così ricostruito il rapporto tra debiti, attivo e compenso, il tribunale ha dichiarato la manifesta eccessività del compenso pattuito, in violazione della regola di adeguatezza prescritta dall’art. 2233, co. 2, c.c. per tutti i contratti d’opera intellettuale.

In particolare, ha evidenziato che le procedure di sovraindebitamento, parimenti alle altre procedure concorsuali, sono ispirate al principio di economicità.

Sono numerose le conferme di tale affermazione che si possono rinvenire nella disciplina delle procedure di sovraindebitamento. Si pensi, alla previsione dell’esclusione della necessità di assistenza tecnica per le procedure di liquidazione controllata e di ristrutturazione dei debiti del consumatore (v. artt. 9 co. 2, 68 co. 1, 269 CCII); o, ancora, al ruolo prettamente assistenziale attribuito agli OCC nell’ausilio della scelta della procedura e nella raccolta delle informazioni e della documentazione rilevanti.

Altra conferma si evince dalla significativa calmierazione delle spese di procedura, ed in particolare, del compenso dell’OCC, come previste dal DM n. 202/2014 (v. art. 16 che dispone un limite al compenso dell’OCC parametrato all’ammontare del passivo della procedura). Tale calmierazione risulta di particolare rilevanza se si considera che l’attività dell’OCC non è limitata alla raccolta della documentazione e delle informazioni rilevanti ma si estende fino al compiere le valutazioni e le specifiche attestazioni richieste in relazione alle singole procedure (v. artt. 68 co. 2 e 3, 76 co. 2 e 3, 269 co. 2 CCII) e persino a presentare la domanda di accesso alla procedura per conto del debitore (v. artt. 68 co. 1, 76 co. 1, 269 co. 1 CCII).

Ecco, quindi, che il principio di economicità, così declinato, risponde all’esigenza di non ridurre in modo sensibile l’attivo destinato ai creditori attraverso contratti d’opera intellettuale strumentali alla procedura.

In considerazione della particolare valenza che assume nelle procedure di sovraindebitamento, questo principio diviene un parametro che deve essere necessariamente preso in considerazione al fine valutare l’adeguatezza del compenso per prestazioni intellettuali prodromiche alla presentazione dell’istanza di nomina del gestore della crisi da sovraindebitamento.

Così ricostruiti i parametri di riferimento, il tribunale ha evidenziato che in applicazione di tale principio sembra corretto stimare il compenso dell’attività della reclamante, ritenuta superflua nel caso di specie, in una frazione del compenso massimo riconosciuto ex lege all’OCC (le cui funzioni assumono portata ben più consistente).

Più precisamente, nel caso di specie, tenuto conto dell’ammontare del passivo e dell’attivo previsto dalla procedura, la soglia dell’adeguatezza deve essere individuata nella misura di un terzo del compenso massimo riconoscibile all’OCC e, quindi, in una somma non superiore ad € 820, oltre IVA.

Accertata l’inadeguatezza per eccessività del compenso previsto dal contratto, il tribunale si è interrogato circa le conseguenze di questo giudizio.

La questione è di particolare interesse perché interseca il complesso tema della patologia del contratto squilibrato. Questo è un tema che, come ricorda il Tribunale, ha avuto una prima risposta nelle pronunce della Corte Costituzionale nn. 238/2013 e 77/2014 per beneficiare, poi, di evoluzioni giurisprudenziali e normative legate alla pandemia covid, fino a sfociare nell’art. 10 DL n. 118/2021.

Tuttavia, il tribunale ha rilevato che le sorti del giudizio possono essere decise a prescindere dall’esito della valutazione della patologia del contratto, concentrando l’analisi sulla natura della regola di adeguatezza prescritta dall’art. 2233 co. 2 c.c.

Sul punto, si ritiene condivisibile l’impostazione secondo cui la norma ha natura imperativa. Quale conseguenza, la violazione determina la nullità parziale e non determinante dell’accordo per cui il compenso deve essere rideterminato dal giudice ai sensi dell’art. 2233 co. 1 c.c.

Sono numerose le ragioni che il tribunale ha esposto a supporto di quest’impostazione.

In primo luogo, ha sottolineato che essa ha trovato motivato riconoscimento in una recente e condivisibile pronuncia della Suprema Corte, relativa al compenso degli avvocati (nel caso di specie, l’art. 2233 c.c. si combinava con una regola deontologica: v. Cass. n. 28914/2022).

Inoltre, recentemente, la Legge n. 49/2023 (relativa all’ambito settoriale del compenso dell’avvocato) ha dettato una disciplina basata sul presupposto della nullità del compenso inadeguato (per difetto), ai sensi dell’art. 2233 c.c.; soluzione che offre un riscontro sistematico all’impostazione scelta.

Da ultimo, ma non di minor importanza, tale impostazione risponde ad un criterio di ragionevolezza interpretativa. Infatti, se ipotizzassimo l’impossibilità di pronunciare la nullità della previsione di un compenso inadeguato, l’art. 2333 c.c. sarebbe svuotato di contenuto dal momento che non sarebbe ipotizzabile alcun rimedio ulteriore a favore del committente (a maggior ragione nel caso in cui l’incaricato non sia soggetto al rispetto di regole deontologiche, come nel caso di specie).

Così ricostruito il caso sottoposto al suo esame, il tribunale ha dichiarato la nullità della clausola di previsione del compenso e, conseguentemente, ha rideterminato il compenso della reclamante.

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