1 Ottobre 2024

Divisione endoesecutiva e termine per la riassunzione del processo esecutivo sospeso

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 2 luglio 2024, n. 18196 – Pres. Travaglino – Rel. Spaziani

Espropriazione di beni indivisi – Giudizio di divisione endoesecutiva – Sospensione del processo esecutivo – Riassunzione – Termine – Decorrenza

Poiché la sospensione del processo esecutivo nelle more della divisione dei beni pignorati ex art. 601 c.p.c. costituisce una species del genus sospensione per pregiudizialità necessaria di cui all’art. 295 c.p.c., la riassunzione deve avvenire nel termine previsto dall’art. 297 c.p.c. e, dunque, entro tre mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento (sentenza o ordinanza ex art. 789, comma 3, c.p.c.) con cui viene dichiarato esecutivo il progetto di divisione e vengono trasformate in porzioni fisicamente individuate le quote ideali di comproprietà sul bene comune.

CASO

Essendo stata pignorata la quota di un immobile in comproprietà indivisa, il giudice dell’esecuzione sospendeva il processo esecutivo affinché venisse dato corso al giudizio di divisione ai sensi dell’art. 601 c.p.c.

Il Tribunale di Ancona, accertata la non comoda divisibilità del bene, dichiarava lo scioglimento della comunione e rimetteva la causa sul ruolo per procedere alla vendita dell’immobile, con sentenza confermata, all’esito dei rispettivi giudizi di gravame, dalla Corte d’appello di Ancora prima e dalla Corte di cassazione poi.

A quel punto, il comproprietario non esecutato chiedeva al giudice dell’esecuzione di dichiarare estinto il processo esecutivo, perché non riassunto nel termine di sei mesi – dalla pronuncia della sentenza di secondo grado che aveva rigettato l’appello – previsto dall’art. 627 c.p.c.

L’istanza veniva respinta con ordinanza impugnata mediante reclamo ex art. 630 c.p.c., anch’esso rigettato; la relativa sentenza, tuttavia, veniva riformata in appello, dal momento che, per i giudici di secondo grado, la vendita dell’immobile di cui è stata pignorata una quota dev’essere effettuata dal giudice dell’esecuzione, sicché, nel caso di specie, il processo esecutivo andava riassunto entro sei mesi dal deposito della sentenza di secondo grado che aveva confermato lo scioglimento della comunione dichiarato dal Tribunale di Ancona, come previsto dall’art. 627 c.p.c.

La Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla correttezza di tale statuizione.

SOLUZIONE

[1] I giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata, affermando che la sospensione che investe il processo esecutivo quando debba procedersi alla divisione dell’immobile di cui è stata pignorata una quota ha natura necessaria e rientra tra le ipotesi disciplinate dall’art. 295 c.p.c., sicché, in applicazione di quanto stabilito dall’art. 297 c.p.c., l’esecuzione va riassunta entro tre mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento conclusivo del giudizio di divisione endoesecutiva e, dunque, della sentenza o dell’ordinanza che, ai sensi dell’art. 789, comma 3, c.p.c., dichiara esecutivo il progetto di divisione.

QUESTIONI

[1] La particolare natura del giudizio di divisione endoesecutiva sottende criticità e questioni sulle quali la giurisprudenza è spesso chiamata a intervenire, per chiarire in che modo operano le regole dirette a disciplinare il procedimento in questione.

Come oramai è assodato, la divisione disposta dal giudice dell’esecuzione ai sensi degli artt. 600 e 601 c.p.c. nel corso dell’espropriazione di beni indivisi, onde fare cessare lo stato di comunione e consentire la distribuzione della quota – in natura o in denaro – attribuita al debitore comproprietario, integra un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione (nonostante sia gestito, istruito e condotto dallo stesso giudice dell’esecuzione, cui è attribuita una competenza funzionale, giusta quanto stabilito dall’art. 180 disp. att. c.p.c.), che soggiace alle regole del modello processuale a cognizione piena: più precisamente, esso costituisce una parentesi di cognizione incidentale nell’ambito dell’espropriazione avente per oggetto una quota di beni indivisi, che, da un lato, si pone in correlazione funzionale con il processo esecutivo e, dall’altro lato, rimane rispetto a questo strutturalmente autonomo, poiché distinto soggettivamente e oggettivamente, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase (così Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2018, n. 20817).

Il giudizio di divisione si compone di due fasi: la prima, di natura dichiarativa e necessaria, avente per oggetto l’accertamento della situazione di contitolarità e del diritto di chiederne lo scioglimento, destinata a concludersi, alternativamente, con l’ordinanza che dispone la divisione o con sentenza che statuisce in maniera espressa su tale diritto (art. 785 c.p.c.); la seconda, di carattere esecutivo, volta a trasformare in porzioni fisicamente individuate le quote ideali di comproprietà sul bene comune, che si conclude con l’ordinanza non impugnabile che dichiara esecutivo il progetto di divisione o, in presenza di contestazione, con sentenza (art. 789 c.p.c.).

Stante l’autonomia della divisione endoesecutiva rispetto alla procedura espropriativa, se il bene comune risulta indivisibile e occorre procedere alla sua vendita, questa deve avvenire nell’ambito del giudizio divisorio e non nel processo esecutivo vero e proprio, che andrà riassunto una volta che, attribuita al comproprietario esecutato la parte di ricavato dalla vendita corrispondente alla sua quota, occorrerà procedere alla sua distribuzione tra i creditori aventi diritto; il provvedimento che dispone la vendita del bene in comproprietà è impugnabile con l’ordinario rimedio dell’appello se la contestazione riguarda la pronuncia sulla divisione, mentre si ritiene esperibile l’opposizione ex art. 617 c.p.c. quando si intendano contestare le modalità della vendita stessa (così Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 2024, n. 5386).

L’autonomia che caratterizza il giudizio di divisione endoesecutiva influisce anche sulla disciplina applicabile alla riassunzione del processo esecutivo sospeso ai sensi dell’art. 601 c.p.c.

La sospensione in parola, infatti, deve farsi rientrare tra le ipotesi di sospensione per pregiudizialità necessaria di cui all’art. 295 c.p.c., sicché la riassunzione dovrà avvenire secondo le modalità stabilite dall’art. 297 c.p.c., ossia entro tre mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento che definisce la controversia pregiudicante (vale a dire, nel caso che qui interessa, l’ordinanza o la sentenza che, ai sensi dell’art. 789, comma 3, c.p.c., dichiara esecutivo il progetto di divisione, consentendo di trasformare in porzioni fisicamente individuate le quote ideali di comproprietà sul bene comune).

Un tanto esclude che possano venire in rilievo le disposizioni dettate in materia di sospensione del processo esecutivo e, precisamente, l’art. 624-bis c.p.c. (che impone la riassunzione entro dieci giorni dalla scadenza del termine stabilito dal giudice) e l’art. 627 c.p.c. (a mente del quale la riassunzione deve avvenire entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’opposizione).

Nella fattispecie esaminata, quindi, i giudici di legittimità hanno cassato la pronuncia impugnata proprio perché, disattendendo tali principi, la sentenza di primo grado del Tribunale di Ancona (confermata a seguito del rigetto dell’appello proposta avverso di essa) non aveva definito il giudizio di divisione, ma, secondo quanto stabilito dall’art. 785 c.p.c., aveva concluso la prima fase di esso, limitandosi a dichiarare lo scioglimento della comunione e a rimettere la causa sul ruolo affinché, nell’ambito dello stesso processo, venisse dato corso alle operazioni di vendita dell’immobile e alla divisione del ricavato fra i comproprietari; era, invece, dal passaggio in giudicato del provvedimento contemplato dall’art. 789, comma 3, c.p.c. che andava calcolato il termine per la riassunzione del processo esecutivo sospeso, in applicazione di quanto disposto dall’art. 297 c.p.c.

D’altra parte, se si considera che la vendita del bene indiviso deve avvenire nell’ambito del giudizio di divisione, non avrebbe alcun senso imporre la riassunzione del processo esecutivo quando la vendita non sia ancora avvenuta, visto che, a quel punto, al giudice dell’esecuzione non resterebbe che adottare un nuovo provvedimento di sospensione, in attesa che, avvenuta la liquidazione del bene e attribuita al comproprietario esecutato la parte del ricavato corrispondente alla sua quota, l’espropriazione possa riprendere per disporne la distribuzione tra i creditori.

Anche per quanto concerne le spese del giudizio di divisione endoesecutiva, infine, la giurisprudenza ha dettato regole che, in parte, si discostano dalla disciplina di carattere comune.

In linea generale e in applicazione del principio dettato dall’art. 91, comma 1, c.p.c., le spese del giudizio disciplinato dagli artt. 784 e seguenti c.p.c. vanno liquidate dal giudice dello stesso con il provvedimento di approvazione del progetto divisionale che lo definisce e poste a carico della massa, dovendo ciascun comproprietario sopportare quelle affrontate nel proprio interesse e partecipare a quelle comuni, cioè sostenute per gli atti funzionali a condurre il giudizio alla sua fisiologica conclusione, in misura corrispondente alla propria quota di titolarità del diritto oggetto di divisione: questo criterio rinviene la propria giustificazione nel fatto che tutti i condividenti sono titolari di un’identica situazione di diritto sostanziale e hanno un comune interesse a pervenire alla divisione, sicché non può farsi riferimento al concetto di soccombenza, salvo che si abbia riguardo alle spese afferenti a pretese eccessive o a inutili resistenze alla divisione e ferma restando la facoltà del giudice di disporre la compensazione ai sensi dell’art. 92 c.p.c. (così, tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2020, n. 1635).

Al giudizio di divisione endoesecutiva, tuttavia, partecipano soggetti (i creditori) che non hanno un interesse identico o accomunabile a quello dei comproprietari, dal momento che lo scioglimento della comunione che ha per oggetto il bene pignorato rappresenta un’attività necessaria per la prosecuzione dell’espropriazione forzata e quindi strumentale alla soddisfazione del credito azionato. Di conseguenza, se per i comproprietari valgono le medesime regole applicabili al giudizio di divisione ordinaria, con riguardo a quelle sopportate dai creditori occorrerà invece fare riferimento al principio generale in base al quale le spese debbono gravare sulla parte soccombente, da individuarsi nel debitore esecutato, quale soggetto che ha provocato l’avvio dell’espropriazione cui è funzionalmente e teleologicamente collegata la divisione endoesecutiva (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2023, n. 2787).

Con il provvedimento che definisce questo giudizio, dunque, il comproprietario esecutato va condannato alla rifusione delle spese sopportate dal creditore (procedente o intervenuto titolato) che vi ha partecipato, da liquidarsi avendo riferimento al valore della massa oggetto di divisione: la relativa statuizione costituisce titolo per la collocazione del credito – in sede di distribuzione dell’attivo attribuito all’esecutato, una volta che il processo esecutivo sospeso sia stato riassunto – in via privilegiata ai sensi dell’art. 2770 c.c. e con la preferenza garantita dall’art. 2777 c.c. (Cass. civ., sez. III, 12 settembre 2024, n. 24550).

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Contratti internazionali più diffusi nella prassi