17 Settembre 2024

Il surplus finanziario generato dalla continuità aziendale non è liberamente distribuibile

di Luca Andretto, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 8 agosto 2024, n. 22474 – Pres. Ferro – Rel. Amatore

Parole chiave

Concordato preventivo – Continuità aziendale – Flussi reddituali – Alternativa liquidatoria – Surplus finanziario – Garanzia patrimoniale – Distribuzione – Par condicio creditorum – Cause legittime di prelazione – Divieto di alterazione – Absolute Priority RuleRelative Priority Rule – Parametro ermeneutico – Discontinuità normativa

Massima: “In caso di concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis l.fall., l’eventuale surplus finanziario determinato dalla prosecuzione utile dell’attività d’impresa è da intendersi quale mero incremento di valore dei fattori produttivi aziendali, rientrando nell’oggetto della garanzia generica del credito prevista dall’art. 2740 c.c.; ne consegue che esso non è perciò liberamente distribuibile dal debitore, ma soggiace al divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione”. (massima ufficiale)

Riferimenti normativi

Codice Civile, artt. 2740, 2741; Legge Fallimentare, artt. 18, 160, 161, 182 quinquies, 184, 186 bis; Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, art. 84.

CASO

Vigente la Legge Fallimentare, un imprenditore chiede l’ammissione al concordato preventivo sulla base di un piano che prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa e propone di distribuire i flussi finanziari che verranno generati secondo un ordine non conforme a quello delle cause legittime di prelazione. Si tratta, in tesi, di flussi destinati ad incrementare il patrimonio esistente al momento della presentazione della domanda, di cui i creditori non beneficerebbero nell’alternativa liquidatoria: per tale ragione, l’imprenditore li ritiene assimilabili a nuova finanza esogena e, in quanto tali, sottratti alle ordinarie regole distributive.

Il Tribunale de La Spezia, tuttavia, non condivide l’approccio e, ravvisata la violazione del divieto inderogabile di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione posto dall’art. 160, comma 2, LF, dichiara, per un verso, l’inammissibilità dalla domanda di concordato e, per altro verso, il fallimento dell’imprenditore. Questi propone reclamo ai sensi dell’art. 18 LF, ma la Corte d’Appello di Genova lo respinge ribadendo l’impostazione della sentenza impugnata. A questo punto, l’imprenditore propone ricorso per cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 160, comma 2, LF, anche in combinazione con la disciplina codicistica sulla responsabilità patrimoniale del debitore e sulla par condicio creditorum (artt. 2740 e 2741 CC).

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione respinge il ricorso.

È pur vero che i redditi generati dall’attività d’impresa incrementano il valore dell’azienda; ma proprio per questo essi rientrano nel paradigma dei ‘beni futuri’ che, secondo i principi generali della responsabilità patrimoniale, non possono essere sottratti ai creditori e debbono, anzi, essere loro distribuiti osservando l’ordine delle cause legittime di prelazione. La Corte, in particolare, evidenzia che i flussi reddituali dell’impresa non possono ricondursi alla categoria concettuale della ‘finanza esogena’ apportata da terzi finanziatori, poiché risultano pur sempre collegati – e, dunque, funzionalmente riconducibili – ai fattori produttivi aziendali e, in ultima istanza, al patrimonio del debitore. Ribadisce, inoltre, che l’art. 160, comma 2, LF preclude un’alterazione mediante decisione maggioritaria dell’ordine delle cause legittime di prelazione, derogabile solo con il consenso unanime dei singoli creditori prevaricati (è in tal senso richiamata Cass. civ., sez. I, 2 marzo 2018, n. 5906, in www.ilcodicedeiconcordati.it).

Viene confutata la contraria esegesi secondo cui, nel concordato preventivo, le ordinarie regole distributive opererebbero solo con riferimento al patrimonio del debitore esistente al momento della presentazione della domanda, non anche con riferimento al patrimonio posteriormente acquisito, comprensivo degli eventuali risultati positivi generati dalla continuità d’impresa. La Corte osserva, in proposito, che l’omologazione del concordato non instaura alcuna separazione tra patrimonio anteriore e posteriore del debitore: la garanzia patrimoniale estende nel tempo la responsabilità del debitore, proiettandola sui suoi beni futuri ed entrando in funzione proprio e solo al momento satisfattivo. Non sarebbe, del resto, concepibile l’idea di addossare ai creditori (specie se privilegiati) il duplice rischio di una riduzione dei valori aziendali e della maturazione di altri crediti prededucibili, senza contestualmente beneficiarli attraverso l’attribuzione delle potenzialità reddituali scaturenti dalla continuità d’impresa.

Queste conclusioni non possono essere superate dal raffronto con l’art. 84, comma 6, CCII, che nel concordato in continuità aziendale consente oggi di distribuire ai creditori il valore eccedente quello di liquidazione senza osservare rigidamente l’ordine delle cause legittime di prelazione (secondo la regola della priorità assoluta), purché i crediti di grado poziore ricevano comunque un trattamento più favorevole rispetto a quelli di grado inferiore (secondo la regola della priorità relativa). La Corte evidenzia la portata radicalmente innovativa della disposizione: l’assenza di continuità normativa ne impedisce, pertanto, ogni valorizzazione quale parametro ermeneutico rispetto alla disciplina rinvenibile nella Legge Fallimentare.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

Con questa sentenza, il Giudice di legittimità viene intempestivamente (ad oltre sei anni dal ricorso) a risolvere un significativo contrasto frattanto formatosi nella giurisprudenza di merito, con riferimento alla distribuzione del c.d. surplus finanziario generato nel concordato con continuità aziendale dalla prosecuzione dell’attività d’impresa: distribuzione libera secondo un orientamento, vincolata all’osservanza dell’ordine delle cause legittime di prelazione secondo altro orientamento.

Il dato positivo (art. 160, comma 2, LF) consentiva da tempo il pagamento non integrale dei creditori prelatizi, a condizione che il piano ne prevedesse la soddisfazione in misura non inferiore a quella alternativamente realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato acquisibile mediante liquidazione dei beni oggetto di garanzia. Veniva, peraltro, normativamente precisato che “Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione”.

In precedenti pronunce, la Corte di Cassazione aveva ritenuto sottratta al divieto di alterazione la finanza esogena, apportata da terzi finanziatori e neutrale rispetto al patrimonio del debitore, non comportando essa “né un incremento dell’attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo” (Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9373, in www.ilcaso.it). Altra possibilità di accordare pagamenti ai creditori chirografari, pur senza che tutti i prelatizi avessero ricevuto integrale soddisfazione, era stata riconosciuta in presenza di beni immobili il cui valore di liquidazione eccedesse complessivamente quello dei crediti muniti d’ipoteca, di privilegio speciale immobiliare e di privilegio generale con collocazione sussidiaria ai sensi dell’art. 2776 CC (cfr. Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2020, n. 10884, in www.ilcodicedeiconcordati.it).

La distribuzione del surplus finanziario generato dalla continuità aziendale, invece, era stata sinora affrontata soltanto dalle corti di merito. A pronunce che equiparavano il trattamento dei flussi finanziari a quello della finanza esogena, sul presupposto che in assenza di continuità aziendale i creditori potrebbero soddisfarsi unicamente sul patrimonio esistente al momento della presentazione della domanda (cfr. Trib. Milano, 25 febbraio 2021, decr., in www.fallimentiesocieta.it; Trib. Avezzano, 13 febbraio 2020, decr., in www.ilcaso.it; App. Venezia, 19 luglio 2019, in www.fallimentiesocieta.it; Trib. Milano, 8 novembre 2016, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Rovereto, 13 ottobre 2014, decr., in www.ilcaso.it; App. Torino, 14 ottobre 2010, in Fallimento, 2011, 349), si contrapponevano altre pronunce che, invece, li includevano nell’attivo concordatario, sul diverso presupposto che i flussi finanziari altro non sono se non il prodotto della trasformazione di beni aziendali già esistenti o, comunque, da acquisirsi mediante risorse già disponibili (cfr. Trib. Monza, 23 settembre 2020, decr., in Fallimento, 2021, 278; Trib. Padova, 24 gennaio 2019, decr., in www.fallimentiesocieta.it; Trib. Milano, 5 dicembre 2018, decr., in www.ilcaso.it; App. Torino, 31 agosto 2018, in www.ilcaso.it; Trib. Belluno, 17 febbraio 2017, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 15 dicembre 2016, decr., in www.ilcaso.it). La Corte di Cassazione ha ora suggellato questo secondo orientamento restrittivo.

L’intervento nomofilattico del Giudice di legittimità appare tardivo, perché ormai invocabile solo nelle residuali ipotesi in cui risultino tuttora pendenti – anche in sede di reclamo – giudizi di omologazione di concordati preventivi risalenti a quando era in vigore la Legge Fallimentare (ossia introdotti con domanda presentata prima del 15 luglio 2022: cfr. artt. 389 e 390 CCII). Le domande presentate successivamente sono, infatti, disciplinate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, che ha, per un verso, tenuto ferma la possibilità di pagamento non integrale dei creditori prelatizi, purché in misura non inferiore a quella realizzabile nell’alternativa liquidatoria (art. 84, comma 5, CCII), e confermato, in linea generale, il divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione, ossia la regola della priorità assoluta nella distribuzione del valore (art. 85, comma 4, CCII); ma ha anche, per altro verso, introdotto una significativa deroga, consentendo che, nel concordato in continuità aziendale, il valore eccedente quello di liquidazione sia distribuito ai creditori osservando la più flessibile regola della priorità relativa (art. 84, comma 6, CCII).

In altri termini, è ormai codificata la possibilità che il c.d. surplus finanziario – identificabile nei flussi finanziari destinati ad incrementare il patrimonio esistente e che non si genererebbero nell’alternativa liquidatoria (cfr. Trib. Monza, 18 luglio 2024, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Roma, 24 ottobre 2023, decr., in www.dirittodellacrisi.it) – venga distribuito in deroga all’ordine delle cause legittime di prelazione, purché i crediti di grado poziore ricevano comunque un trattamento più favorevole rispetto a quelli di grado inferiore. Il dato normativo ha, perciò, reso obsoleti entrambi gli orientamenti ermeneutici che si contendevano il campo nel vigore della Legge Fallimentare.

L’arresto della Corte di Cassazione non è, tuttavia, privo di qualsiasi rilievo pratico, in quanto enuncia un principio applicabile in altri contesti dell’ordinamento concorsuale, ove l’art. 84, comma 5, CCII non può trovare applicazione. In particolare, la disciplina sull’accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore non reca alcun rinvio a quella sul concordato preventivo (diversamente da quanto avviene per il concordato minore: cfr. art. 74, comma 4, CCII) e, considerata la natura eccezionale della norma, la giurisprudenza tende ad escludere la possibilità di estenderne in via analogica l’ambito applicativo (cfr. Trib. Bari, 20 febbraio 2024, decr., in www.dirittodellacrisi.it).

Il principio di diritto affermato dalla sentenza in commento dovrebbe, allora, indurre ad escludere che l’incremento del patrimonio del consumatore che si verifichi per effetto dei suoi flussi reddituali, in quanto rientrante nel paradigma dei ‘beni futuri’, possa essere distribuito ai creditori di grado inferiore prima dell’integrale soddisfacimento dei crediti privilegiati di grado poziore (cfr. in tal senso, oltre alla pronuncia da ultimo citata, Trib. Rimini, 25 luglio 2023, decr., in www.ilcaso.it). Risulterebbe, con ciò, sconfessato l’opposto orientamento propenso a consentire che i flussi reddituali del consumatore siano distribuiti nel rispetto della più flessibile regola della priorità relativa (cfr. Trib. Modena, 28 agosto 2023, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Avellino, 9 febbraio 2022, decr., in www.dirittodellacrisi.it). Viene, però, in tal modo, a verificarsi un disallineamento normativo tra concordato preventivo (e concordato minore), da un lato, ed accordo di ristrutturazione del consumatore, dall’altro, che appare irragionevole – in violazione dell’art. 3 Cost – alla luce di quanto già affermato dalla Corte Costituzionale in ordine all’identica ratio finalistica sottostante a entrambe le procedure concorsuali e alla più intensa meritevolezza di tutela di cui dovrebbe in linea generale godere il consumatore sovraindebitato (cfr. Corte Cost., 29 novembre 2019, n. 245, in www.giurcost.org).

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