10 Settembre 2024

Contestazione della natura dell’arbitrato e mezzi per impugnare il lodo

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 5 agosto 2024, n. 22005, Pres. Valitutti, Est. Mercolino

[1] Arbitrato – natura – rituale o irrituale – lodo – mezzi di impugnazione.

Se gli arbitri hanno ritenuto, anche implicitamente, che l’arbitrato sia di natura rituale, l’impugnazione del lodo deve essere proposta davanti alla Corte d’Appello, come previsto dall’art. 827 c.p.c. e seguenti, questo vale anche se l’impugnazione è diretta a contestare la natura irrituale dell’arbitrato e gli errori procedurali commessi dagli arbitri poiché in questo caso non è possibile ricorrere alle modalità di impugnazione proprie dell’arbitrato irrituale, che prevedono l’intervento del giudice ordinariamente competente e la contestazione solo dei vizi che possono inficiare qualsiasi manifestazione di volontà negoziale.

CASO

[1] Un soggetto, in seguito al recesso dallo studio associato d’ingegneria e architettura costituito con alcuni colleghi, promuoveva un giudizio arbitrale per stabilire la ripartizione degli utili in base al fatturato.

Il lodo, che rigettava le pretese reciprocamente formulate dalle parti, veniva impugnato dall’attore davanti al Tribunale di Piacenza, che con sentenza dichiarava la nullità dello stesso, qualificato come lodo irrituale, rilevando che l’arbitro avesse abdicato alla sua funzione di amichevole compositore, seguendo un procedimento marcatamente formalizzato.

Tale sentenza veniva conseguentemente impugnata dai convenuti davanti alla Corte d’Appello di Bologna, la quale – premesso che ai fini della qualificazione del lodo come rituale o irrituale, e quindi dell’individuazione del mezzo d’impugnazione, non assume rilievo il contenuto letterale della clausola compromissoria, dovendosi tenere invece conto della natura dell’atto concretamente posto in essere dall’arbitro -, ha attribuito al lodo carattere rituale, rilevando che l’arbitro avesse deciso secondo diritto, all’esito di un procedimento contraddistinto da una marcata formalizzazione, incompatibile con la connotazione risultante dalla clausola compromissoria, che prevedeva un arbitrato irrituale; ha ritenuto pertanto applicabile il mezzo d’impugnazione di cui all’art. 828 c.p.c., e, rilevato che l’atto di citazione era stato notificato ben oltre la scadenza del termine annuale previsto da tale disposizione, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione.

Conseguentemente, l’originario attore proponeva ricorso per cassazione denunciando, per quanto di interesse ai fini del presente commento, violazione degli artt. 807, 808, 808-ter e 828 c.p.c. e dell’art. 1362 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito al lodo carattere rituale, pur avendo dato atto della volontà delle parti di accedere a un arbitrato irrituale. Premesso infatti che l’insufficienza del contenuto letterale della clausola compromissoria, ai fini della qualificazione del lodo, non ha impedito alla Corte territoriale d’individuare chiaramente la comune intenzione delle parti, osserva il ricorrente che il lodo stesso aveva ribadito il carattere irrituale dell’arbitrato, aggiungendo che la natura dell’attività concretamente posta in essere dall’arbitro costituiva un elemento meramente sussidiario, che avrebbe potuto essere preso in considerazione soltanto in assenza di una chiara scelta delle parti. Afferma, inoltre, l’inconsistenza degli elementi sintomatici utilizzati dalla sentenza impugnata, non risultando la decisione secondo diritto incompatibile con una composizione amichevole della controversia e non essendosi l’arbitro attenuto alle regole e ai termini dell’ordinario procedimento civile, ma avendo gestito il procedimento come meglio ha creduto.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte giudica tale motivo, avente ad oggetto la qualificazione della fattispecie come arbitrato rituale, infondato, con conseguente rigetto del ricorso proposto.

A tal proposito, il provvedimento richiama il consolidato principio, ritenuto applicabile al caso di specie, secondo cui laddove gli arbitri abbiano ritenuto, anche implicitamente, la natura rituale dell’arbitrato, avendo provveduto nelle forme di cui agli artt. 816 ss. c.p.c., l’impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell’arbitrato e i conseguenti errores in procedendo commessi dagli arbitri, deve essere proposta davanti alla Corte d’Appello, ai sensi degli artt. 827 ss. c.p.c., e non nei modi propri dell’impugnazione dell’arbitrato irrituale, ossia davanti al giudice ordinariamente competente, e facendo valere soltanto i vizi che possono inficiare qualsiasi manifestazione di volontà negoziale.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene alla definizione della natura, rituale o irrituale, del procedimento arbitrale avviato dalle parti, e conseguentemente dei mezzi di impugnazione spendibili dalle parti. Il problema, ovviamente, attiene all’eventualità in cui vi sia una divergenza tra la qualificazione offerta dalle parti nella convenzione di arbitrato, e il procedimento concretamente seguito dagli arbitri nominati.

A tal riguardo, possiamo ricordare il generale principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di divergenza tra la natura dell’arbitrato prevista dalla clausola compromissoria e quella del procedimento concretamente svoltosi, il mezzo d’impugnazione del lodo arbitrale dev’essere individuato sulla base, non già della volontà manifestata dalle parti, ma della natura dell’atto posto in essere dall’arbitro, sicché, ove sia stato pronunciato un lodo irrituale, nonostante alcune parti sostengano di avere in realtà pattuito un arbitrato rituale, l’impugnazione non può essere proposta dinanzi alla Corte d’Appello, nel termine previsto dall’art. 828 c.p.c., ma, sia pure allo scopo di far valere il carattere rituale del lodo, dinanzi al giudice individuato in base alle norme ordinarie sulla competenza e con l’osservanza del doppio grado di giurisdizione, facendo valere i vizi propri degli atti negoziali (in tal senso, Cass., 18 febbraio 2016, n. 3197; Cass., 8 novembre 2013, n. 25258).

E, viceversa, ove – come nel caso di specie – gli arbitri abbiano ritenuto, anche implicitamente, la natura rituale dell’arbitrato, avendo provveduto nelle forme di cui agli artt. 816 ss. c.p.c., l’impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell’arbitrato e i conseguenti errores in procedendo commessi dagli arbitri, deve essere proposta davanti alla Corte d’Appello, ai sensi degli artt. 827 ss. c.p.c., e non nei modi propri dell’impugnazione dell’arbitrato irrituale, ossia davanti al giudice ordinariamente competente, e facendo valere soltanto i vizi che possono inficiare qualsiasi manifestazione di volontà negoziale (Cass., 24 marzo 2011, n. 6842; Cass., 6 settembre 2006, n. 19129).

L’applicabilità di tale principio non può dunque essere esclusa, nel caso in esame, in virtù della mera circostanza, fatta valere dal ricorrente, che al lodo pronunciato dall’arbitro sia stato attribuito carattere rituale, a fronte di una clausola compromissoria che prevedeva lo svolgimento di un arbitrato irrituale. Invero, sebbene l’interpretazione della convenzione di arbitrato svolga un ruolo fondamentale nell’accertamento della natura del lodo concretamente emesso – dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari, che gli arbitri si siano adeguati a quanto previsto dalle parti -, ove risulti altrimenti chiaro, dalla procedura seguita o dalla qualificazione espressamente data dagli arbitri, che è stato emesso un lodo rituale o irrituale, ciò è decisivo ai fini dell’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile, senza che si debba o si possa risalire all’interpretazione della volontà espressa dalle parti nella convenzione (si v. Cass., 24 marzo 2011, n. 6842).

Di conseguenza, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non poteva escludersi il potere del giudice adito di accertare esso stesso la natura del lodo, ai fini del riscontro dell’ammissibilità dell’impugnazione, sulla base della procedura concretamente adottata per giungere alla sua emissione.

Da ultimo, è opportuno esaminare la vicenda descritta dal punto di vista della possibile lesione apportata all’affidamento della parte, asseritamente ricollegabile all’individuazione del regime impugnatorio sulla base delle indicazioni emergenti dal lodo o dalla procedura seguita ai fini della sua emissione, anziché dalla volontà manifestata nella clausola compromissoria: sul punto, è appena il caso di rilevare che, in tema d’impugnazioni, il principio dell’apparenza – secondo cui il rimedio esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere individuato con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni assunte secondo il rito in concreto adottato, anziché secondo quello astrattamente applicabile -, mira proprio a tutelare l’affidamento riposto dalla parte impugnante in ordine alla qualificazione del provvedimento prescelta dal giudice o comunque emergente dal procedimento seguito, consentendole di attenersi alla stessa, indipendentemente dalla sua esattezza (tra le molte, Cass., 21 giugno 2021, n. 17646; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2948; Cass., 23 ottobre 2020, n. 23390).

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