10 Settembre 2024

Alienante e acquirente: obbligati in solido al pagamento degli oneri condominiali, limitatamente al biennio antecedente la vendita

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Ordinanza del 09.05.2022 n. 14531, Sez. II, Presidente Dott. F. Manna, Estensore Dott.ssa M. Falaschi

«L’art. 63, comma 2, disp. att. c.c. nel regime previgente rispetto alla l. n. 220 del 2012, delinea, a carico dell’acquirente, un regime di responsabilità solidale per il pagamento degli oneri condominiali dovuti dall’alienante, limitata al biennio antecedente all’acquisto, che opera solo nei rapporti esterni con il condominio, ma non anche nel rapporto interno tra acquirente e alienante, sicché, in tale rapporto, salvo che non sia diversamente convenuto dalle parti, l’acquirente risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte successivamente al momento dell’acquisto e, qualora sia chiamato a rispondere di quelle sorte in epoca anteriore, ha comunque diritto di regresso nei confronti del suo dante causa, senza che, peraltro, assuma rilevanza alcuna, al fine di escludere tale regresso, la notificazione, da parte dell’alienante, di un atto di significazione di illegittimità della pretesa del condominio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della corte territoriale che, in presenza di un pagamento dell’acquirente relativo a contributi antecedenti di oltre due anni rispetto alla compravendita, aveva qualificato tale pagamento quale adempimento del terzo respingendo la richiesta di ripetizione di indebito in ragione del fatto che il precedente condomino aveva rappresentato all’acquirente l’illegittimità della pretesa del condominio poiché scaturente da deliberazioni affette da nullità)».

CASO

Con atto di citazione, Tizia in qualità di acquirente dell’appartamento sito in Roma, conveniva in giudizio l’alienante Caia.

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 7874 del 2009, accoglieva la domanda di Tizia, condannando la convenuta alla restituzione della somma pari ad € 17.738,93, corrisposta dall’attrice in favore del Condominio a titolo di oneri condominiali di cui al decreto ingiuntivo n. 7492/2004, emesso nei confronti dell’attrice in quanto proprietaria dell’immobile, sulla base del fatto che detti oneri condominiali erano di spettanza di Caia in quanto alienante e relativi a voci di spesa antecedenti alla vendita dell’unità immobiliare, con soccombenza della venditrice al pagamento delle spese di lite.

Avverso detta sentenza, la convenuta Caia proponeva appello innanzi alla Corte di Appello di Roma, la quale con sentenza n. 5266/2015, in accoglimento dell’appello riformava la sentenza di primo grado respingendo così l’originaria domanda di Tizia.

In particolare, il giudice del gravame rilevava che essendo i contributi condominiali oggetto di lite antecedenti di oltre due anni la compravendita, l’obbligazione in oggetto non poteva configurarsi come solidale fra le parti e per tale ragione l’azione della attrice in primo grado non poteva essere qualificata come azione di regresso ai sensi e per gli effetti dell’art. 1299 c.c., ma quale adempimento del terzo di un altrui debito con la pedissequa di richiesta di restituzione da parte dell’effettivo debitore, essendo chiaro che il soggetto obbligato nei confronti del Condominio fosse Caia.

Tuttavia, la Corte di Appello, rilevava che Caia molto prima del pagamento corrisposto nelle more del giudizio da parte di Tizia, aveva dato conto alla stessa che le delibere condominiali sulla base delle quali il Condominio basava la propria pretesa creditoria erano “radicalmente nulle in quanto effettuate senza la partecipazione di tutti gli aventi diritto, manifestando così l’intenzione di non voler procedere al pagamento e di far valere dette nullità nell’ipotesi di ingiunzione da parte del Condominio”.

Infine la Corte del gravame concludeva che l’appellata Tizia non era legittimata a richiedere la restituzione di quanto “malamente pagato”, in quanto non avrebbe dato immediata notizia alla effettiva obbligata della ricezione della notifica del titolo esecutivo relativo ad un debito altrui, impedendole in tale maniera di difendersi e proporre ritualmente opposizione a decreto ingiuntivo.

Soccombente in secondo grado Tizia proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi.

La ricorrente depositava memoria illustrativa.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14531 del 9 maggio 2022, accoglieva il ricorso, cassava la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame della vicenda alla luce dei principi affermati con l’ordinanza.

Rimetteva alla Corte d’Appello di Roma la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con il primo motivo la ricorrente denunciava ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1180, 1218 e 1322 c.c., nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per aver il giudice di secondo grado erroneamente inquadrato la fattispecie come adempimento del terzo dopo aver correttamente riconosciuto che le somme riportate nel decreto ingiuntivo erano di spettanza della controparte.

A fondamento della propria censura la ricorrente sosteneva di vantare una pretesa creditoria nei confronti della venditrice Caia sia a mente della clausola n. 3 del contratto di vendita, in forza della quale la controparte contrattuale si impegnava a consegnare all’avente causa l’immobile libero da qualsiasi peso, eventuali gravami, vincoli, oneri e privilegi e sia della scrittura privata conclusa tra le parti.

Inoltre, la fattispecie in oggetto non sarebbe ricollegabile all’art. 1180 c.c., ricoprendo la qualità di nuova proprietaria dell’appartamento, e non di soggetto terzo, ed in quanto tale obbligata al pagamento degli oneri nei rapporti con il Condominio, essendo il debito condominiale una obbligazione cd. propter rem.

Con il secondo motivo la ricorrente censurava ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il vizio di motivazione della sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 1137 c.c. e 305 c.p.c., per avere il giudice delle seconde cure rigettato la domanda dell’appellata per non aver quest’ultima incardinato un procedimento monitorio di opposizione a decreto ingiuntivo il quale le avrebbe permesso di chiamare in causa la venditrice Caia affinchè la medesima si difendesse eccependo la nullità delle delibere assembleari poste alla base del titolo esecutivo.

Secondo la ricorrente il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non avrebbe dato luogo ad una declaratoria di nullità delle predette delibere, in quanto sarebbero state già impugnate dalla dante causa Caia in due precedenti giudizi, terminati, uno con il rigetto definitivo dell’opposizione e l’altro con la dichiarazione di estinzione della vertenza per mancata presentazione del ricorso in riassunzione.

La Corte di Cassazione, ritenendo necessaria l’analisi congiunta di entrambi i motivi di ricorso, accoglieva integralmente le censure avanzante dalla ricorrente.

Secondo il costante orientamento della Corte di legittimità, in ordine alla ripartizione delle spese condominiali tra venditore e acquirente dell’unità immobiliare, la previgente disposizione dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c. – ratione temporis applicabile ora alla luce della l. n. 220/2012 art. 63, comma 4, disp. Att. c.c.– impone a carico dell’acquirente una obbligazione solidale e non una obbligazione cd. propter rem – cioè un’obbligazione reale caratterizzata dall’ambulatorietà, ovverosia, il debitore viene determinato in base alla titolarità del diritto che può variare come nel caso di specie a seguito del trasferimento della proprietà.

Pone invero, una obbligazione autonoma, poiché prevista ex novo dalla legge onde consolidare le ragioni creditorie del Condominio il quale è poi gravato dall’onere di provare l’attinenza della spesa concreta all’anno in corso ovvero a quello precedente al subentro dell’acquirente[1].

Secondo la giurisprudenza di legittimità “la responsabilità solidale dell’acquirente per il pagamento dei contributi dovuti al Condomino dal venditore è limitata al biennio precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63, secondo comma, disp. Att. c.c., e non già l’art. 1104 c.c., atteso che ai sensi dell’art. 1139 c.c., le norme sulla comunione in generale si estendono al condomino soltanto in mancanza di apposita disciplina[2]”.

Il principio di ambulatorietà previsto all’art. 63 disp. Att. c.c., a mente del quale l’acquirente di un immobile sito in un complesso condominiale può essere tenuto a rispondere dei debiti condominiali del suo alienante, in solido col medesimo, ma non in luogo dello stesso, si applica unicamente in relazione ai rapporti esterni con il condominio, e non già nei rapporti interni tra acquirente e venditore.

In questa tipologia di rapporto venditore-acquirente, a patto che non sia altrimenti previsto dalle parti del negozio, si applica il generale principio delle personalità delle obbligazioni, con l’effetto che l’avente causa è tenuto al pagamento unicamente delle spese condominiali sorte in epoca posteriore al momento in cui, acquistando l’immobile, è divenuto parte della compagine condominiale e nella denegata ipotesi in cui sia tenuto al pagamento delle obbligazioni sorte in epoca precedente, ha il diritto di agire in rivalsa nei confronti dell’alienante.

Orbene, la Corte del secondo grado ha pacificamente chiarito che i contributi condominiali oggetto della vertenza erano sorti e maturati molto prima del biennio precedente al perfezionamento della compravendita intercorsa tra Tizia e Caia e che per tale ragione l’obbligazione non poteva essere considerata come solidale.

La conseguenza che ne derivava era che l’azione della appellata Tizia non poteva essere qualificata alla stregua dell’art. 1299 c.c. come azione di regresso, dovendosi, al contrario, inquadrarsi come adempimento di un debito altrui da parte di un terzo con la relativa richiesta di restituzione da proporsi alla reale debitrice.

Sul punto la Corte di Cassazione nella pronuncia in esame rilevava quanto segue “al di fuori dell’ipotesi di responsabilità solidale prevista dall’art. 63 disp. Att. c.c., l’unico soggetto obbligato al pagamento delle spese nei confronti del Condominio era Caia, in qualità di proprietaria dell’unita immobiliare al momento dell’adozione delle delibere condominiali fonti dell’obbligazione de qua”.

Una volta eliminata l’ipotesi di azione di regresso, la Corte di Appello di Roma, inquadrando il caso concreto quale adempimento del terzo di un debito altrui, ha pertanto rigettato la richiesta restitutoria avanzata da parte di Tizia, in quanto ancorchè la venditrice si fosse impegnata a tenere indenne l’acquirente “quest’ultima non avrebbe dovuto corrispondere le somme richieste in monitorio, in quanto le era stato comunicato che si trattava di richieste illegittime e che la venditrice era intenzionata ad opporsi”.

Al contrario Tizia, oltre a non aver comunicato a Caia la notifica del titolo esecutivo non aveva neppure presentato opposizione all’ingiunzione di pagamento ridetta, così precludendo alla venditrice di difendersi.

Ebbene, il giudice di seconde cure ha attribuito un valore assoluto alla comunicazione relativa alla illegittimità della richiesta del Condominio avanzata da Caia, senza tuttavia analizzare il contenuto della diversa e separata dichiarazione resa dalle parte contestualmente al rogito notarile nonché la natura del vizio delle delibere condominiali – come asseritamente argomentato da Caia – poste alla base del credito azionato in sede monitoria.

Al contrario “avendo individuato, ai fini dell’applicazione dell’art. 63, comma 2, disp. Att. c.c., applicabile ratione temporis, che l’obbligo di partecipazione alle spese condominiali in esame era sorto prima del biennio precedente la vendita dell’appartamento, la Corte distrettuale, per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa avrebbe dovuto esaminare i termini dei loro accordi, trattandosi, peraltro, di patti inopponibili al Condominio”.

Nel caso in esame è accertato che la venditrice e l’acquirente nella scrittura privata sottoscritta nel risalente 2001, contestualmente al rogito notarile, dopo aver pattuito che Caia si obbligava a consegnare a Tizia l’unità abitativa libera da pesi e gravami, vincoli, oneri e privilegi, le parti precisavano la garanzia con la quale Caia si impegnava a tenere indenne Tizia “da ogni e qualsiasi onere” condominiale e dalle relative conseguenze afferenti due diversi procedimenti giudiziari, pendenti tra la stessa venditrice ed il Condominio e “dunque tutto quanto ancora fosse stato richiesto dal Condominio per i suddetti titoli e relativi giudizi dopo la data di perfezionamento della vendita”.

Tale ipotesi, afferma la Suprema Corte, non è assimilabile al pagamento di un debito altrui da parte di un terzo, in quanto manchevole della spontaneità che caratterizza tale istituto – essendo intervenuto a fronte di una richiesta del Condominio – e rispetto al quale sarebbe meglio configurabile una ipotesi di indebito soggettivo ai sensi e per gli effetti dell’art. 2036 c.c., cd. “ex latere solventis” essendo il pagamento dovuto ad un errore

Precisa la Corte di legittimità che su Tizia “non gravava alcun obbligo a saldare il debito che era pacificamente maturato in capo alla precedente condomina ed essendo tra le parti intervenuta la scrittura privata che ha disciplinato i loro rapporti interni, spetta all’acquirente legittimamente l’esercizio dell’azione di indebito soggettivo nei confronti della sua dante causa”.

La stessa motivazione della sentenza del gravame, sulla comunicazione di invalidità delle delibere condominiali alla base della pretesa monitoria “costituisce un obiter dictum giacchè al condomino, che abbia versato al Condominio la parte di oneri dovuta dalla precedente condomina (sempre beninteso, nel regime antecedente alla garanzia ex art. 63, comma 2, disp. Att. c.c., introdotta dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220), onde poter ottenere il rimborso di quanto da ella corrisposto,, le deve essere consentito di avvalersi di azione per ottenere l’indennizzo da ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dalla condomina insolvente[3]”.

[1] Cass. Civ. n. 21860/20.

[2] Cass. Civ. n. 2979/12.

[3] Cass. Civ. SS.UU. n. 9946/09.

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