3 Settembre 2024

Condizioni per l’installazione di un impianto di condizionamento d’aria nel cortile condominiale

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, sentenza 01.07.2024 n. 17975. Presidente M. Flaschi – Estensore R. Caponi

Massima:Ai sensi dell’art. 1120 c.c., l’installazione, sulle parti comuni, di un impianto per il condizionamento d’aria a servizio di una unità immobiliare, che non presupponga la modificazione di tali parti, può essere compiuta dal singolo condomino per conto proprio, in via di principio senza richiedere al Condominio alcuna autorizzazione. Il rilascio o il diniego di una siffatta autorizzazione può tutt’al più significare l’inesistenza o l’esistenza di un interesse di altri condomini a fare uso delle cose comuni in modo pari a quello del condomino determinatosi all’installazione. Nel caso di specie non emerge dagli atti che sia stato accertato che l’installazione su parti comuni di condizionatori al servizio di un’unità immobiliare determini alterazione della destinazione delle cose comuni, né impedisca ad altri condomini di farne parimenti uso (anzi ciò è anche avvenuto, in precedenza)”.

CASO

La condomina Tizia decide di installare nella zona del cortile condominiale quattro condizionatori a servizio del suo locale commerciale ubicato nello stabile. La realizzazione di tali manufatti avveniva senza previa autorizzazione dell’assemblea condominiale.

Successivamente il condominio Alfa con quattro delibere condominiali negava alla ditta di cui Tizia era titolare l’autorizzazione alle installazioni dei condizionatori, ordinava la loro rimozione, disponeva l’obbligo di richiedere l’autorizzazione per l’installazione di condizionatori al servizio di locali commerciali e/o industriali, dava mandato all’amministratore per diffidare Tizia.

Tizia citava il condominio Alfa avanti il Tribunale di Messina per sentire dichiarare l’invalidità delle delibere assunte e, in subordine, per accertare il suo diritto a mantenere i condizionatori nel cortile condominiale così come erano stati installati.

Il Tribunale messinese rigettava la domanda di Tizia, ma compensava le spese.

In seguito all’appello presentato da Tizia in via principale e dal condominio Alfa in via incidentale, la Corte d’Appello di Messina rigettava quello principale e accoglieva l’incidentale sulle spese.

La condomina Tizia ricorreva in cassazione con undici motivi e il condominio Alfa resisteva con controricorso.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con sentenza del 01.07.2024 n. 17975, ha accolto il ricorso proposto dalla condomina che aveva installato dei condizionatori nel cortile condominiale a servizio esclusivo della propria attività commerciale e, conseguentemente, ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Messina che, in diversa composizione, dovrà esaminare nuovamente la causa uniformandosi al principio di diritto enunciato in sede di legittimità, con decisione anche in merito alle spese del giudizio di cassazione e, in particolare, dovrà verificare in concreto se l’installazione dei manufatti per cui è causa abbia o meno alterato il decoro architettonico dell’edificio ovvero se abbia o meno determinato una significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune, nel rispetto, quindi, dei limiti sanciti dall’art. 1102 c.c..

QUESTIONI

Come anticipato il ricorso in Cassazione presentato dalla condomina Tizia si articola in ben 11 motivi con i quali si censurano vari aspetti della sentenza impugnata, tra i quali, emerge uno dei temi del condominio maggiormente oggetto di contenzioso, riguardante poteri e limiti riconosciuti al singolo ex  art. 1102 c.c.

Come è noto il rapporto intercorrente tra l’art. 1102 c.c. che disciplina, appunto, l’uso della cosa comune e l’art. 1120 c.c. che regolamenta le innovazioni costituisce il “palcoscenico” di accesi dibattiti tanto in seno alla giurisprudenza di merito quanto in quella di legittimità.

D’altra parte le norme richiamate rappresentano sicuramente due pilastri fondamentali su cui si erge l’intera materia condominiale, tant’è che dall’applicazione dell’una piuttosto che dell’altra possono derivare rilevanti conseguenze.

Orbene, nel caso della pronuncia in commento i giudici di piazza Cavour hanno raggruppato e riordinato gli undici motivi, focalizzando la loro attenzione sulla questione centrale concernete i limiti di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune.

Preliminarmente gli Ermellini hanno esaminato la censura avanzata dalla ricorrente con la quale si denunciava la mancanza di prova dell’esistenza di una delibera precedente a quelle impugnate che prevedesse l’obbligatorietà di preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale per l’installazione dei condizionatori d’aria da posizionare nel cortile comune, peraltro necessaria unicamente per i titolari di locali commerciali.

Nel caso di specie, il Supremo Collegio ha rilevato come in realtà emergesse sin dalle difese dello stesso condominio Alfa (resistente in Cassazione) che il vincolo della preventiva autorizzazione assembleare era stato posto proprio dalla delibera impugnata da Tizia, non esistendo nessun obbligo simile nel momento in cui quest’ultima aveva installato i manufatti, conseguentemente la statuizione assembleare de quo trova pacifica applicazione solo per le installazioni eventualmente realizzate o da realizzare in epoca successiva alla sua adozione.

Chiarito che l’obbligo di preventiva autorizzazione assembleare per l’installazione dei condizionatori poteva trovare applicazione solo per le opere realizzate dopo l’adozione della relativa delibera, gli Ermellini hanno analizzato il merito della vicenda ribadendo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità rispetto all’uso della cosa comune ex art. 1102 c.c.: “la naturale destinazione all’uso della cosa comune, può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste, costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo[1] e, ancóra, che: “nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120 co. 2 c.c., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità, per cui si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo[2].

In particolare, il Supremo Collegio ha evidenziato che nel caso di specie la Corte territoriale non ha accertato in concreto (anzi, ha omesso completamente) gli aspetti tecnici dell’installazione realizzata dalla condomina, quali, ad esempio, un apprezzabile deterioramento del decoro architettonico dell’edificio condominiale ovvero una significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune, omettendo altresì di rilevare che si trattava comunque di un obbligo – quello della preventiva autorizzazione assembleare – introdotto solo in un secondo momento e, ad ogni modo, in epoca successiva all’installazione dei condizionatori.

Secondo gli Ermellini l’analisi sulle risultanze istruttorie compiuta dalla Corte d’Appello parte da una non condivisibile interpretazione del limite alle innovazioni consentite della cosa comune.

Nella pronuncia in commento il Supremo Collegio ha affermato che, ai sensi dell’art. 1120 c.c., “l’installazione, sulle parti comuni, di un impianto per il condizionamento d’aria a servizio di una unità immobiliare, che non presupponga la modificazione di tali parti, può essere compiuta dal singolo condomino per conto proprio, in via di principio senza richiedere al Condominio alcuna autorizzazione. Il rilascio o il diniego di una siffatta autorizzazione può tutt’al più significare l’inesistenza o l’esistenza di un interesse di altri condomini a fare uso delle cose comuni in modo pari a quello del condomino determinatosi all’installazione”.

D’altra parte, nel caso posto al vaglio della Cassazione non è stato accertato dal giudice di merito se e in che misura l’installazione realizzata dalla condomina Tizia su parti comuni di condizionatori al servizio di un’unità immobiliare abbia causato l’alterazione della destinazione della cosa comune ovvero abbia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso. Al contrario, è stato accertato come anche in epoca antecedente l’installazione dei condizionatori de quo altri condomini avessero eseguito le medesime opere realizzate dalla condomina Tizia (anche una banca aveva installato condizionatori nel cortile condominiale a servizio esclusivo dei locali da essa occupati).

In ragione dei principi sopra enunciati, la Suprema Corte ha accolto alcuni dei motivi a fondamento del ricorso presentato dalla condomina Tizia e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, così che nel relativo giudizio la Corte d’Appello possa verificare in concreto se le opere realizzate da Tizio determinino o meno un apprezzabile deterioramento del decoro architettonico dell’edificio ovvero una significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune da parte degli altri comunisti.

Solo in tal caso, infatti, l’installazione dei condizionatori incontrerebbe i limiti invalicabili sanciti dall’art. 1102 c.c. e, pertanto, risulterebbe illegittima, dovendo essere rimossa e ripristinato lo status quo ante.

[1] Principio affermato da Cass. n. 15319/2011.

[2] Principio affermato da Cass. n. 24960/2016.

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