11 Giugno 2024

Responsabilità sanitaria: il nesso causale va accertato secondo la regola della preponderanza dell’evidenza (o del “più probabile che non”)

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, ord., 05.03.2024, n. 5922 – Pres. Travaglino – Rel. Spaziani

Responsabilità Sanitaria – Nesso di Causalità – Preponderanza dell’evidenza (o del “più probabile che non”) – Criteri

[1] L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria è improntato alla regola di funzione della preponderanza dell’evidenza (o del “più probabile che non”), la quale, con riguardo al caso in cui, rispetto a uno stesso evento, si pongano un’ipotesi positiva e una complementare ipotesi negativa, impone al giudice di scegliere quella rispetto alla quale le probabilità che la condotta abbia cagionato l’evento risultino maggiori di quelle contrarie, e con riguardo, invece, al caso in cui, in ordine allo stesso evento, si pongano diverse ipotesi alternative, comporta che il giudice dapprima elimini, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili e poi analizzi le rimanenti ipotesi ritenute più probabili, selezionando, infine, quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dalle circostanze di fatto acquisite al processo, in ogni caso esercitando il proprio potere di libero apprezzamento di queste ultime tenendo conto della qualità, quantità, attendibilità e coerenza delle prove disponibili, dalla cui valutazione complessiva trarre il giudizio probabilistico.

CASO

L’attore citava in giudizio avanti al Tribunale di Torino l’Azienda Sanitaria Locale, onde chiederne la condanna al risarcimento di tutti i danni subìti, in esito ad un intervento chirurgico per ipertrofia prostatica, cui si era sottoposto presso l’anzidetta Azienda, in occasione del quale gli era stata praticata un’anestesia spinale.

L’attore deduceva che, anche a tralasciare il fatto che il trattamento anestesiologico non aveva conseguito l’effetto anestetico che gli è proprio, nel mese successivo all’intervento, allorché accusava difficoltà respiratorie e dolori ad una spalla, si sottoponeva a visite ortopediche e neurologiche, in esito alle quali veniva diagnosticata la paralisi del nervo ascellare destro e dell’emidiaframma sinistro “da verosimile reliquato di anestesia”.

Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda; mentre la Corte d’appello la rigettava ed accoglieva l’impugnazione dell’Azienda sanitaria, per non avere il paziente fornito la prova del nesso causale tra condotta sanitaria e danno; per non aver formulato alcuna richiesta di prova testimoniale, volta a dimostrare la condotta errata del medico anestesista e per non aver provato l’effettività del danno subìto.

Il paziente proponeva ricorso in Cassazione per avere la Corte di merito erroneamente applicato i principi di ripartizione dell’onere probatorio, onerando il medesimo della prova dell’inadempimento della struttura sanitaria, il cui onere grava invece su quest’ultima.

SOLUZIONE

In tema di responsabilità medica, la giurisprudenza è ferma sul principio secondo cui l’accertamento del nesso eziologico si fonda sulla preponderanza dell’evidenza, che costituisce la combinazione di due regole: quella del “più probabile che non” e quella della “prevalenza relativa” della probabilità. Il primo criterio implica che sul medesimo fatto vi siano un’ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa, sicché, tra queste due ipotesi alternative, il giudice deve scegliere quella che, in base alle prove disponibili, ha un grado di conferma logica superiore all’altra. Il secondo criterio è quello in base al quale il giudice deve scegliere come “vero” l’enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili.

QUESTIONI

L’ordinanza in commento riassume in maniera sintetica ed efficace la disciplina probatoria del nesso di causa in tema di responsabilità contrattuale sanitaria, ribadendone contenuti e limiti.

Una delle teorie del nesso causale del nostro ordinamento giuridico è quella della “preponderanza dell’evidenza”, anche detta del “più probabile che non”, in base alla quale l’indagine sul nesso eziologico va svolta in termini di “rilevante probabilità”, nel senso che l’azione o l’omissione del sanitario deve aver causato il danno del paziente con un grado di efficienza causale così elevato da rendere più che plausibile l’esclusione di fattori concomitanti o assorbenti.

Quindi, l’accertamento del nesso causale si fonda sulla preponderanza dell’evidenza, caratterizzata dalla combinazione di due regole: quella del “più probabile che non”, che postula che, per uno stesso fatto, possano esservi un’ipotesi positiva ed una negativa ed in tal caso il giudice deve scegliere quella che, sulla base delle prove allegate, è dotata di un “grado di conferma logica superiore all’altra”; e quella della “prevalenza relativa”, che si applica quando sullo stesso fatto vi siano diverse ipotesi che lo raccontano in modo diverso (la cosiddetta multifattorialità nella produzione dell’evento di danno) e alcune tra le molteplici ipotesi abbiano avuto conferma dalle prove allegate. In tal caso, ossia se vi sono più enunciati sullo stesso fatto che hanno ricevuto conferma probatoria, la regola della prevalenza relativa implica che il giudice scelga come “vero” l’enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili.

Come è noto, nei giudizi risarcitori da responsabilità sanitaria, si presenta un “doppio ciclo causale” (Cass. civ., 18392/2017), in base al quale la prova del nesso eziologico grava sul paziente-danneggiato il quale deve, appunto, provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso causale tra l’insorgenza della patologia o la morte e la condotta del sanitario; invece, il sanitario-danneggiante deve fornire la prova, in alternativa all’adempimento, che un evento imprevedibile ed inevitabile, con l’ordinaria diligenza, ha reso impossibile la prestazione.

Orbene, in applicazione dei due suddetti princìpi del “più probabile che non” e della “prevalenza relativa”, il Giudice deve svolgere un’operazione intellettuale, a seguito della quale deve: eliminare dall’ambito delle ipotesi valutabili quelle meno probabili; quindi, analizzare, tra le ipotesi rimanenti, quelle più probabili ed infine scegliere tra di esse quella che abbia ricevuto il maggior grado di conferma, assumendo la veste di probabilità prevalente.

Nel caso sottoposto all’esame del Supremo Collegio, la domanda del paziente era volta all’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria per i danni occorsigli in esito ad un intervento chirurgico (con manovra di anestesia spinale), che l’attore riteneva essere stato svolto in maniera errata, allegando che, a seguito dell’erronea introduzione dell’ago nella cavità spinale, esso aveva subìto una deviazione, tale per cui non si era ottenuto l’effetto anestetizzante, tanto che il medico anestesista si era reso conto dell’errore, confessandolo all’infermiera che lo assisteva.

La Corte di merito aveva rigettato la domanda risarcitoria, negando la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria sul presupposto che il paziente non avesse provato per testi l’inadempimento del sanitario, ovvero la condotta errata ed imperita del medico anestesista, e non avesse provato l’effettività del danno subìto.

Il paziente, invece, tra i motivi di impugnazione faceva valere che la prova del nesso eziologico non avrebbe potuto essere fornita mediante dichiarazioni testimoniali, in quanto i testi avrebbero potuto descrivere la condotta dell’anestesista ma non esprimere un giudizio sulla sussistenza del nesso causale tra la condotta ascritta al medico ed il danno lamentato.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso del paziente, aveva rilevato in primo luogo l’errore applicativo dei principi di riparto dell’onere probatorio da parte della Corte di appello.

Infatti, secondo gli Ermellini, se anche il paziente avesse provato mediante testimoni la condotta del sanitario ed in particolare la confessione all’infermiera, egli non avrebbe assolto l’onere sul medesimo gravante di dimostrare il nesso eziologico. Al contrario, il non aver provato l’inadempimento è irrilevante, non spettando al paziente l’onere di provarlo ma alla struttura, che deve dimostrare la correttezza della condotta medica.

Nel caso di specie, l’Azienda sanitaria avrebbe dovuto provare, in ossequio al parametro della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, co. 2°, c.c., che la manovra anestesiologica era stata eseguita in maniera corretta, nel pieno rispetto delle regole tecniche imposte dalla professione sanitaria esercitata.

Circostanza questa che non era stata provata dall’Azienda e neppure sostenuta da una adeguata e corretta compilazione della cartella clinica.

La Corte di merito, nella valutazione del nesso causale, avrebbe dovuto applicare il criterio della “preponderanza dell’evidenza” o del “più probabile che non in base al quale, qualora vi sia soltanto una condotta astrattamente idonea a determinare l’evento, sussiste la responsabilità della struttura sanitaria, se la probabilità che il danno sia conseguenza della condotta sia prevalente rispetto alla possibilità che non lo sia. Mentre nel caso in cui il danno sia astrattamente riconducibile a più cause, va attribuito maggiore rilievo agli elementi da cui emerge una probabilità prevalente.

La Corte d’appello avrebbe dovuto uniformarsi a tale regola ed avrebbe, quindi, dovuto procedere ad un giudizio probabilistico che, stante la mancata prova del corretto adempimento da parte della struttura sanitaria, non desse rilievo alla mancata dimostrazione dell’inadempimento allegato dal paziente, ma desse, invece, rilievo, oltre alle allegazioni del paziente, agli elementi di prova documentali emersi in giudizio, che evidenziavano una vicinanza temporale tra la manovra anestesiologica e le problematiche sopravvenute, nonché alle risultanze della CTU (che ha un ruolo fondamentale nella valutazione del giudizio di prevalenza probabilistica, che accerta il nesso eziologico), la quale aveva ritenuto la manovra suddetta “come possibile fattore favorente l’irritazione radicolare”.

In conclusione, quindi, gli Ermellini hanno ritenuto che il paziente avesse provato il fatto costitutivo del proprio diritto, ossia il nesso causale tra danno lamentato e condotta sanitaria, motivo per cui hanno accolto il ricorso.

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