11 Giugno 2024

Terreno ereditato: la costruzione di immobile per accessione cade in comunione legale

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cassazione civile sez. II, ordinanza 22 aprile 2024, n. 10727 (DI VIRGILIO – Presidente – CAVALLINO – Relatore)

(Articoli 934, 177 e 179 Codice civile)

Di Corrado De Rosa

Massima: “Il principio generale dell’accessione posto dall’art. 934 cod. civ., prevede che il proprietario del suolo acquista ipso iure al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata, e non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177 co.1 cod. civ. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale; ne consegue che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio e in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà esclusiva di uno di essi è a sua volta personale e di proprietà esclusiva di quest’ultimo, mentre al coniuge non proprietario che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova di avere fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese a tale fine.”

CASO

L’ordinanza in rassegna riguarda una controversia tra due coniugi in regime di comunione legale sulla validità di un contratto di vendita di un fabbricato con costituzione di vitalizio stipulato dal marito a favore di un terzo. Il fondo su cui fu edificato il fabbricato era pervenuto al marito per successione dal padre defunto, ed in seguito era stato edificato il fabbricato oggetto del contratto con il contributo economico di entrambi i coniugi. La moglie aveva adito il tribunale di Cassino chiedendo che fosse dichiarata la nullità del contratto poiché sosteneva che il marito avesse disposto anche della quota a lei spettante e in subordine chiedeva la condanna al pagamento in suo favore del corrispettivo pari al cinquanta per cento del valore dell’immobile. Il tribunale di Cassino dichiarava la nullità del contratto e quindi il marito proponevano appello. La Corte d’Appello di Roma rigettava la domanda perché riteneva che sussistesse specificatamente sull’immobile realizzato da entrambi i coniugi il diritto di comproprietà della moglie, e dunque la vendita non era stata legittimamente realizzata avendo pretermesso del tutto il diritto della donna. Secondo la Corte il marito avrebbe dovuto dimostrare che il manufatto gli apparteneva in via esclusiva per disporre autonomamente del bene, dal momento che i coniugi erano in regime di comunione legale all’epoca dell’alienazione. Il tribunale del gravame aveva dichiarato che tale prova non era stata acquisita poiché l’uomo aveva prodotto la denuncia di successione, ma la corte richiamando la sentenza della Cassazione 14395/2004, aveva affermato che la denuncia di successione avesse efficacia solo ai fini fiscali ed era inidonea a fornire prova di diritto di proprietà.

I soccombenti propongono quindi ricorso in Cassazione con un unico motivo.

SOLUZIONE

I giudici di legittimità accolgono il ricorso. Il ricorrente infatti sostiene che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto la moglie comproprietaria del fabbricato dal momento che coniuge in regime di comunione legale. La comunione legale è regolata, infatti, dagli artt. 177 e 179 cod. civ., i quali stabiliscono quali beni ne facciano parte e quali beni ne siano esclusi, ed il terreno in questione doveva intendersi escluso ai sensi dell’art. 179 lett. b) cod. civ., perché pervenuto al ricorrente per successione paterna.

La Cassazione ritiene che la sentenza abbia violato anche l’articolo 2697 sulla ripartizione dell’onere della prova, in quanto la denuncia di successione attestava i beni compresi nella successione del padre del quale il marito era erede e, quindi, a fronte di quei dati, incombeva sull’attrice l’onere di dimostrare il suo titolo di comproprietà. Erroneamente la sentenza ha richiamato la Cass. 14395 /2004 sull’efficacia solo indiziaria della dichiarazione di successione al fine della prova del diritto di proprietà, perché non ha considerato che nel caso di specie la dichiarazione di successione è stata prodotta per attestare che l’immobile sul quale era stato costruito il fabbricato era compreso nella successione paterna e perciò per dimostrare che il titolo di provenienza del terreno era tale da escludere che il bene fosse compreso nella comunione legale.

Sulla base di tale assunto si deve escludere che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio e in regime di comunione legale da entrambi i coniugi su quel terreno fosse caduta in comunione tra i coniugi, e si deve applicare il principio generale dell’accessione di cui all’art. 934 c.c. che non è derogato dalla disciplina della comunione legale. Infatti, per l’articolo 934 del Codice civile il proprietario del suolo acquista ipso iure al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata. La Corte afferma che tutt’al più la donna avrebbe potuto ripetere dal legittimo proprietario quanto da lei investito nell’immobile venduto, e cioè chiedere al marito la restituzione del denaro impiegato per realizzare il bene poi alienato senza il proprio consenso.

QUESTIONI

La Cassazione torna a pronunciarsi in materia di accessione e comunione legale, ribadendo che il principio generale dell’accessione di cui all’art. 934 c.c. non trova deroga nella disciplina della comunione legale.[1]

L’articolo 934 c.c. afferma il principio generale dell’accessione in base al quale il proprietario del suolo acquista ipso iure al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata e la cui operatività può essere derogata soltanto da una specifica pattuizione tra le parti o da una altrettanto specifica disposizione di legge. Il fondamento dell’istituto in commento si rinviene nella forza espansiva del diritto di proprietà[2] e nel principio di attrazione del bene considerato principale.

In merito all’accessione di beni mobili a immobili, è la legge stessa che stabilisce all’articolo 934 c.c. la preminenza del suolo rispetto alle cose che sullo stesso vengono incorporate, indipendentemente dal valore maggiore o minore di queste ultime rispetto al fondo. Elemento costitutivo dell’accessione è l’incorporazione di cose mobili al fondo, che costituisce un fatto giuridico in senso stretto. È utile precisare che la proprietà si acquista ipso iure al momento dell’incorporazione, non essendo necessari, secondo la giurisprudenza di legittimità, né una manifestazione di volontà del proprietario,[3] né una pronuncia del giudice[4] che, come noto, in questi casi ha efficacia meramente dichiarativa. L’incorporazione, per opera dell’uomo o per evento naturale, deve essere stabile, nel senso che una costruzione provvisoria che sia destinata a soddisfare un’esigenza momentanea non comporta l’operatività dell’accessione.[5] Il bene incorporato, poi, deve possedere una propria autonomia economica e sociale rispetto al suolo.

L’articolo 177 c.c. individua i beni che formano oggetto della comunione legale. La comunione legale e il regime patrimoniale che conferisce ai coniugi uguali poteri di cogestione e uguali diritti sugli acquisti. È il regime giuridico che sorge automaticamente con il vincolo del matrimonio, salvo che i coniugi non dichiarino di aderire al diverso regime patrimoniale della separazione dei beni o stipulino convenzioni matrimoniali in deroga. A differenza della comunione ordinaria è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei.[6]

L’art. 177, 1° comma, lett. a) prevede che costituiscano oggetto di comunione legale “gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio ad esclusione di quelli relativi a beni personali” e non specifica se nella nozione di acquisti rientrino anche quelli a titolo originario. Per questo sono sorte discussioni in ordine alla titolarità della costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno solo di essi.

Parte della dottrina[7] ha affermato che, ferma restando la proprietà del suolo in capo all’originario proprietario, l’immobile costruito cade immediatamente in comunione legale in quanto bene del tutto nuovo sia economicamente sia giuridicamente rispetto al fondo su cui insiste. La nuova costruzione rientrerebbe quindi fra gli acquisti contemplati nell’art 177, comma 1 lettera a) perché questa disposizione non distingue tra acquisti a titolo originario e acquisti a titolo derivativo.

La prevalente giurisprudenza di legittimità[8] ha invece ritenuto che in caso di regime di comunione legale dei beni “la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest’ultimo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione”.[9]

Dal momento che l’accessione comporta confusione diretta ed immediata tra il suolo e un manufatto, quest’ultimo non può considerarsi come nuovo bene rispetto al suolo, ma costituisce una semplice espansione e ampliamento dell’originario diritto di proprietà sul fondo. Tale filone giurisprudenziale rileva come la disposizione dell’articolo 177, comma 1, lett. a) c.c. si riferisca agli “acquisti compiuti” espressione difficilmente conciliabile con l’automatismo della cessione che opera ex lege a favore soltanto del proprietario del terreno.[10]

Inoltre, la coesistenza di un diritto di proprietà esclusiva sul suolo con la comunione di entrambi i coniugi sulla costruzione darebbe via in sostanza ad un diritto reale di superficie in favore del coniuge non proprietario in mancanza di un atto dispositivo del proprietario del suolo ritenuto dall’ordinamento (art. 952 cod. civ.)  necessario per la costruzione di un diritto reale superficiario. Per tali motivi la fattispecie in questione non può essere ricondotta nell’alveo applicativo della comunione legale, ai sensi dell’articolo 177, 1° comma, lett. a) c.c.

Dunque il principio dell’accessione non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un’apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, comma 1, hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova d’aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese a tal fine.[11]

[1] Ex multis Cass., 4 novembre 2019, n. 28258; Cass., 30 settembre 2010, n. 20508; Cass., 8 maggio 1996, n. 4273; Cass., sez. un., 27 gennaio 1996, n. 651; Cass., 11 giugno 1991, n. 6622

[2] C.M. BIANCA, La proprietà, p.348; S.CERVELLI, I diritti reali, .. , p.95

[3] Cass. 27 aprile 1989, n. 1955; Cass. 20 agosto 1991, n 8919

[4] Cass. 12 giugno 1987, n. 5135

[5] Cass. 31 marzo 1987, n. 3103

[6] Cassazione 14093/2010

[7] A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, Milano, 1984, p. 433 e ss.; M. COMPORTI, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 1979, p. 56.

[8] Cass. 22 luglio 1991 n. 6622, in Riv. not., 1991, II, p. 1001, in Vita not, 191, II, p. 1027; Cass. 14 marzo 1992, n. 3141, in Vita not., 1992, II, p. 1163; Cass. 24 поvembre 1992, n. 12531, in Mass. Giur. It., 1992; Cass. 16 febbraio 1993 n. 1921, in Vita not., 1993, II, p. 818; Cass. 25 novembre 1993, n. 11663, in Mass. Giur. It., 1993; Cass.S.U. 27 gennaio 1996, n. 651, in Vita not., 1996, II, p. 742, con nota di L. Coco, in Notariato, 1996, p. 427, con nota di M.L. CENNI, in Corr. giur., 1996, p. 556, con nota di R. QUADRI, in Dir. Fam., 1997, p. 107, con nota di F. PARENTE.

[9] Cass. S.U. 27 gennaio 1996, n. 651

[10] L. GENGHINI, Diritti Reali, Padova, 2010, p. 203

[11] Cass. I, n. 28258/2019; Cass. II, n. 27412/2018; Cass. I, n. 20508/2010; Cass. I, n. 7060/2004; Cass. II, n. 8585/1999; Cass. I, n. 4076/1998

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