Garanzia nella compravendita di beni di consumo e oneri probatori a carico del consumatore
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 22 novembre 2023, n. 32514 – Pres. Sestini – Rel. Gorgoni
Parole chiave: Vendita di beni di consumo – Obbligazioni del venditore – Garanzia per i vizi della cosa venduta – Domanda di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo – Onere della prova
[1] Massima: “In tema di vendita di beni di consumo, il compratore che esercita l’azione di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo ha l’onere di provare l’esistenza dei vizi che le giustifichino, non essendo applicabili alle azioni edilizie le agevolazioni probatorie di cui all’art. 132, comma 3, Codice del consumo (nel testo vigente ratione temporis, prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170)”.
Disposizioni applicate: d.lgs. 206/2005, art. 132
CASO
La società che aveva venduto una cucina completa di elettrodomestici agiva in giudizio chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento dell’acquirente; questi, costituendosi in giudizio, chiedeva che fosse accertata la non conformità del modello di cucina consegnato a quello promesso in vendita, la declaratoria di risoluzione del contratto e la condanna della controparte al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Varese accoglieva le domande attoree, con sentenza confermata dalla Corte d’appello di Milano, dal momento che i difetti e i vizi della cucina dovevano considerarsi superabili attraverso la sostituzione di alcuni componenti e il completamento del montaggio, sicché non potevano reputarsi tali da giustificare la risoluzione del contratto, mentre il rifiuto dell’acquirente di ricevere alcuni elementi di finitura, di consentire l’ultimazione del montaggio e di pagare il corrispettivo pattuito costituiva inadempimento rilevante ai sensi dell’art. 1455 c.c.
Avverso la pronuncia di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che il consumatore acquirente che chiede la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo deve provare che nel bene ricevuto in consegna era presente e si è manifestato, entro i due anni successivi alla consegna, un difetto di conformità sussistente sin dal momento in cui il bene gli era stato consegnato.
QUESTIONI
[1] Con l’ordinanza annotata, la Corte di cassazione ha puntualizzato quali sono le tutele apprestate a favore dell’acquirente di beni mobili di consumo e gli oneri probatori che debbono essere soddisfatti quando vengono azionate.
I giudici di legittimità hanno innanzitutto sottolineato che il sistema apprestato dal Codice del consumo è incentrato su due livelli:
- in prima battuta, vengono in considerazione i rimedi in forma specifica, diretti al conseguimento del ripristino della conformità del bene e consistenti nella riparazione e nella sostituzione del bene non conforme in un congruo termine e senza spese (da questo punto di vista, il consumatore ha la possibilità di scegliere se avvalersi di un rimedio o dell’altro, con l’unico limite rappresentato dall’oggettiva impossibilità o dall’eccessiva onerosità di quello richiesto, tenuto conto del valore del bene in assenza del difetto, dell’entità di quest’ultimo e dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore);
- in seconda battuta, può essere chiesta la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo.
In entrambi i casi, per potere usufruire dei diritti previsti in suo favore, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi, decorrente dalla data della scoperta, senza peraltro essere tenuto a produrre una prova dell’esistenza del vizio o a indicarne la causa precisa, dovendosi in questa fase reputare sufficiente un’informazione che consenta al venditore di avere un apprezzabile grado di consapevolezza della problematica lamentata, anche al fine di potere intervenire tempestivamente per porvi rimedio.
Il sistema rimediale approntato dal Codice del consumo è caratterizzato non dall’alternatività delle tutele, ma dalla loro gerarchizzazione, dal momento che il legislatore ha inteso privilegiare l’ottica manutentiva del contratto, in vista del soddisfacimento dell’interesse del consumatore a conseguire un bene dotato delle caratteristiche e delle qualità legittimamente attese, contemperandolo con il diritto del venditore di non vedersi imposto un obbligo ripristinatorio che lo esponga a un costo eccessivo: il consumatore, pertanto, non può scegliere discrezionalmente di quale rimedio avvalersi, ma deve dapprima chiedere il ripristino della conformità e solo in via subordinata la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo.
In altre parole, quando il bene risulti affetto da un vizio di conformità di lieve entità, al consumatore è preclusa la possibilità di invocare l’azione redibitoria o l’actio quanti minoris; qualora, invece, la riparazione o la sostituzione risultino impossibili o eccessivamente onerose, oppure il venditore non abbia provveduto alla riparazione o alla sostituzione, oppure il difetto di conformità sia particolarmente grave, oppure il ripristino della conformità del bene richieda tempi irragionevoli o comporti notevoli inconvenienti a carico del consumatore, questi potrà chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo.
In virtù di tale subordinazione dei rimedi, che ne esclude la mera alternatività, il consumatore ha quindi l’onere di ricorrere prima a quelli manutentivi, diretti ad assicurare una tutela in forma specifica (mediante la riparazione o la sostituzione) e, solo una volta che questi si siano rivelati inidonei a risolvere il problema, può ricorrere ai rimedi redibitori.
Peraltro, secondo quanto è dato evincere dalla pronuncia annotata, la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento proposta dal venditore, dimostrando la carenza d’interesse alla conservazione in vita del rapporto negoziale, può fungere da elemento legittimante il consumatore a invocare fin da subito i rimedi redibitori.
In ogni caso, è sul consumatore che grava l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per ottenere la risoluzione del contratto.
Nella controversia che abbia per oggetto la vendita di beni di consumo, infatti, il consumatore deve dimostrare che nel bene ricevuto in consegna è presente e si è manifestato, entro i due anni successivi alla consegna, un difetto di conformità e che questo sussisteva sin dal momento in cui il bene gli era stato consegnato.
Resta ferma, peraltro, la presunzione legale relativa (sancita dapprima dall’art. 132, comma 2, del Codice del consumo e ora, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, che ha sostituito l’intero capo dedicato alle garanzie dell’acquirente di beni di consumo, dal comma 1 del nuovo art. 135) di preesistenza del difetto, in virtù della quale si presume che qualsiasi difetto di conformità che si manifesta entro sei mesi (ora un anno) dal momento in cui il bene è stato consegnato esistesse già a tale data, salvo che un tanto risulti incompatibile con la natura del bene o del difetto di conformità; in questo caso, il consumatore deve semplicemente allegare la sussistenza del vizio, mentre grava sul venditore l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
Tuttavia, una volta superato il suddetto termine (prima semestrale e ora annuale), trova applicazione la regola generale posta dall’art. 2697 c.c., in base alla quale il consumatore che agisce in giudizio è tenuto a dimostrare che il difetto fosse presente ab origine nel bene (posto che nulla esclude, di per sé, che il vizio possa qualificarsi come sopravvenuto e scaturire da cause del tutto indipendenti dalla non conformità del prodotto), ovvero l’inesatto adempimento del venditore, mentre su quest’ultimo grava l’onere di provare – anche attraverso presunzioni – di avere consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; nel caso in cui tale prova sia stata fornita, il compratore dovrà dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.
Il difetto di conformità, dunque, dev’essere allegato e dimostrato dal consumatore, alla stessa stregua di quanto avviene quando vengono azionati i rimedi previsti in tema di compravendita dall’art. 1492 c.c., avendo chiarito le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019, che il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo deve offrire la prova dell’esistenza dei vizi, giacché, da un lato, la consegna di una cosa viziata non costituisce violazione dell’obbligo di consegna e, dall’altro lato, il venditore non ha l’obbligo di consegnare una cosa immune da vizi, dovendo soltanto soggiacere all’iniziativa dell’acquirente che, avvalendosi della garanzia, agisca nei suoi confronti per ottenere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo.
In base a tale ricostruzione, il diritto del compratore alla garanzia ha nell’esistenza del vizio un elemento costitutivo, che, alla luce del principio scolpito nell’art. 2697 c.c., deve essere provato dal compratore medesimo, qualora agisca in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, anche in ossequio al principio di vicinanza della prova (visto che, dopo la consegna, è il compratore ad avere la disponibilità della cosa venduta, necessaria per lo svolgimento degli esami funzionali all’accertamento del vizio lamentato).
Da ultimo, va segnalato che il 2 febbraio 2024 il Consiglio e il Parlamento dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo provvisorio sul testo di direttiva concernente il diritto alla riparazione, volta a promuovere la riparazione di prodotti rotti o difettosi, ovvero a rendere più semplice per i consumatori chiedere e ottenere la riparazione, anziché la sostituzione, pur continuando ad assicurare in capo agli stessi la facoltà di scelta tra i due rimedi. La direttiva punta a creare incentivi al prolungamento della vita del prodotto, attraverso la sua riparazione, anche al fine di ridurre gli sprechi e favorire sistemi di vendita e di approvvigionamento più sostenibili.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia