28 Maggio 2024

Nullità del legato e diritto di accrescimento

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 8319 del 27/03/2024

Successioni “mortis causa” – Successione testamentaria – Domanda di nullità del legato – Accoglimento – Conseguenze – Accrescimento delle altre quote di legati – Esclusione – Assegnazione all’erede

Massima: “L’accoglimento della domanda di nullità del legato non determina l’accrescimento delle altre quote di legati ai sensi dell’art. 675 cod. civ., dal momento che la previsione da parte del de cuius di attribuire i beni oggetto di legato secondo precise e predeterminate quote esclude l’applicazione di tale istituto, ma realizza una fattispecie assimilabile a quella della sopravvenienza di beni da assegnarsi a colui che è istituito erede ex re certa, secondo la previsione dell’art. 588 cod. civ.”

Disposizioni applicate

Artt. 411, 588, 596, 599 e 675 cod. civ

[1] La sentenza in commento trova fondamento in una complessa vicenda, che vedeva intrecciarsi due distinti giudizi di primo grado, dei quali uno passato in giudicato.

Tiziona, soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, aveva confezionato un testamento con il quale i beni immobili erano stati attribuiti nella percentuale del 25% ai coniugi Caio e Caio; per il 25% alla nipote Tizia (parente più prossima della defunta e, quindi, soggetto teoricamente individuato dalla legge quale erede) e nella restante percentuale del 50% a Sempronio, cui venivano, altresì, lasciati i beni mobili.

Il primo dei giudizi attivati vedeva contrapposti Tizia, da una parte, e Caio e Caia, dall’altra. La prima, in particolare, adiva il Tribunale affinché venisse accertata la nullità dei legati a favore di Caio e Caia per incapacità a ricevere di costoro ex artt. 596, 599 e 411 cod. civ. posto che il primo era amministratore di sostegno della defunta e la seconda dovendosi intendere persona interposta, in quanto moglie di questi.

Nelle more del giudizio, Sempronio conveniva in giudizio Tizia chiedendo che venisse accertato il suo status di erede universale della de cuius. Proprio tale secondo giudizio, che vide soccombere Tizia in tutti e tre i gradi di giudizio, portò al passaggio in giudicato del pronunciato che riconosceva a Sempronio la qualità di erede universale, qualificando Tizia come legataria.

Il procedimento avente ad oggetto la domanda di nullità dei legati a favore di Caio e Caia, sebbene introdotto anteriormente, ebbe una più lunga durata e costituisce oggetto della pronuncia oggi in commento.

Tizia, come anticipato, invocava l’incapacità a ricevere per testamento dei convenuti, nella loro qualità, rispettivamente, di amministratore di sostegno della de cuius e moglie del primo. Questi si costituivano in giudizio sostenendo la piena validità delle disposizioni testamentarie, non essendovi alcuna disposizione di legge contraria, anche in considerazione della piena capacità di intendere e di volere della de cuius e dell’inapplicabilità degli artt. 596 e 411 secondo comma cod. civ.

Il Tribunale rigettava la domanda di nullità della disposizione testamentaria, argomentando che l’amministrazione di sostegno con funzione meramente assistenziale non priva l’amministrato della capacità di testare, escludendo altresì l’applicabilità delle norme in materia di interdizione.

Tizia impugnava la sentenza di primo grado, ma la Corte d’Appello rigettava il gravame.

[2] La soccombente proponeva, dunque, ricorso in Cassazione, fondandolo su un solo motivo con il quale denunciava la nullità delle disposizioni testamentarie a favore dei coniugi Caio e Caia ex art. 596 cod. civ. (ritenuto applicabile in virtù del rinvio disposto dall’art. 411 cod. civ.).

Caio sarebbe, infatti, stato beneficiato con il legato dopo la sua nomina ad amministratore di sostegno, in violazione della norma che ne prevede l’incapacità a succedere. Conseguentemente detta incapacità si estenderebbe anche alla moglie in forza del disposto dell’art. 599 cod. civ..

Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso inammissibile, rilevando come non risultasse alcun interesse ad agire da parte di Tizia.

Tale conclusione è frutto di un ragionamento condotto sull’istituto dell’accrescimento e che ha permesso alla Suprema Corte di non prendere effettivamente posizione sulla questione più spinosa del caso de qua, ovvero la capacità o meno dell’amministratore di sostegno a ricevere per testamento nel caso di specie.

[3] In relazione a tale ultimo aspetto, infatti, gli Ermellini si limitano a riportare il percorso argomentativo della Corte d’Appello, che prendeva necessariamente le mosse dal provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno.

Dall’esame del decreto, il giudice di seconde cure rilevava che gli atti di disposizione del patrimonio inter vivos o mortis causa dell’amministrata erano stati dal Giudice subordinati al consenso scritto dell’amministratore (consenso che, in relazione al testamento, veniva effettivamente prestato). Si trattava, dunque, di un’amministrazione di tipo assistenziale e non sostitutivo. Ciò portava la Corte d’Appello ad escludere l’applicabilità dell’art. 596 cod. civ., anche alla luce della generale capacità di intendere e di volere dell’amministrata e dell’effettiva prestazione del consenso dell’amministratore all’atto di ultima volontà.

Quanto alla possibilità di testare a favore dello stesso amministratore di sostegno che l’aveva autorizzata a testare, la Corte analizzava il contenuto degli artt. 596 e 599 cod. civ., applicabili all’amministratore di sostegno in quanto compatibili, in virtù del richiamo effettuato dall’art. 411 cod. civ.. Argomentando a contrariis dal disposto del comma terzo dell’art. 411 cod. civ., a parere della Corte, ricorrevano le particolari condizioni che legittimavano la capacità di ricevere per testamento dell’amministratore di sostegno e di sua moglie, per di più, come detto, trattandosi di amministrazione puramente assistenziale e non sostitutiva.

In sintesi, la Corte riteneva che il rinvio contenuto nell’art. 411 cod. civ. dovesse essere inteso in senso restrittivo, da un lato, limitandolo alle sole amministrazioni puramente sostitutive, per analogia rispetto all’interdizione, dall’altro ponendo quale criterio di valutazione della compatibilità, oltre che la ratio dell’istituto, anche il contenuto del decreto di nomina e le restrizioni ivi previste alle facoltà dell’amministrato.

Come detto, la Suprema Corte, rilevando l’assenza di interesse ad agire della ricorrente, non ha, purtroppo, espresso la propria opinione riguardo a tale aspetto.

Sia premesso allo scrivente di limitarsi ad evidenziare come forse meritasse maggior approfondimento, non tanto la questione in ordine alla capacità di un soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno di testare, bensì la circostanza che il provvedimento di nomina disponesse che l’amministrato potesse disporre dei propri diritti mortis causa solo con l’autorizzazione dell’amministratore: l’intervento di soggetti terzi, per quanto autorizzati da un Giudice Tutelare, nel confezionamento delle disposizioni di ultima volontà porta sempre con sé il rischio di profili di invalidità (anche, ma non solo, formali: i.e. mancanza di olografia in caso di testamento olografo).

[4] Venendo all’aspetto oggetto di specifica considerazione da parte degli Ermellini, questi si sono interrogati su quali fossero le conseguenze dell’accoglimento della domanda di nullità dei legati rispetto all’accrescimento delle altre quote o dei legati, e se esse potessero effettivamente giovare alla ricorrente.

Dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosceva la qualifica di erede in capo al solo Sempronio, infatti, derivava la conseguenza che Tizia potesse avvantaggiarsi di una pronuncia di nullità del legato a favore di Caio e Caia solo allorchè fosse individuabile un diritto di accrescimento in capo ai collegatari.

Tale istituto trova fondamento nell’art. 674, cod. civ., il cui comma 1 sancisce che “quando più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento nell’universalità dei beni, senza determinazione di parti o in parti uguali, anche se determinate, qualora uno di essi non possa o non voglia accettare, la sua parte si accresce agli altri”.

Dal tenore letterale della norma, dottrina e giurisprudenza unanimi hanno individuato i seguenti requisiti per l’applicazione dell’istituto:

a) la c.d. coniunctio verbis, ovvero l’istituzione in uno stesso testamento;

b) la c.d. coniunctio re, ossia l’istituzione in quote uguali;

c) il mancato acquisto da parte di un istituito coerede.

Con riferimento ai legati, poi, l’art. 675 cod. civ. dispone che “l’accrescimento ha luogo anche tra più legatari ai quali è stato legato uno stesso oggetto, salvo che dal testamento risulti una diversa volontà e salvo sempre il diritto di rappresentazione”.

Manca, dunque, un espresso richiamo alla coniunctio verbis e, riguardo alla coniunctio re, il legislatore si limita a fare riferimento ad “uno stesso oggetto”, senza nulla precisare in ordine alla parità di quote. Ciò nonostante, dottrina e giurisprudenza sono, con posizione unanime orientate nel ritenere la coniunctio re quale elemento indefettibile di tutte le ipotesi di accrescimento. [1]

Più discussa è la necessità che l’attribuzione a più soggetti sia contenuta nel medesimo testamento, ma anche in tal caso prevale, nella dottrina più moderna e nella giurisprudenza la riposta affermativa.[2]

[4] Nel solco del pensiero dominante si inserisce la pronuncia in commento, che, nel caso di specie, giunge così ad escludere che, “una volta dichiarata la nullità del legato in favore dei controricorrenti, possa verificarsi un’ipotesi di accrescimento tra collegatari ex art. 675 cod. civ., dal momento che la previsione da parte della de cuius di attribuire i beni oggetto di legato secondo precise e predeterminate quote esclude l’applicazione di tale istituto”, ribadendo come “l’accrescimento poggia su di una volontà, anche presunta, del testatore presa in considerazione dalla legge e da questa desunta da determinati elementi obiettivi, quali: a) che la disposizione abbia uno stesso oggetto; b) che vi sia una pluralità di soggetti chiamati all’intero, in guisa che la chiamata dell’uno costituisca limitazione per l’altro, il quale altrimenti conseguirebbe l’intero; c) che la coniunctio re et verbis di tali chiamati sia fatta solidalmente, con una sola disposizione nello stesso testamento; d) che non vi sia distribuzione di parti fra gli onorati”.

Nel caso analizzato dalla Suprema Corte, pertanto, una eventuale pronuncia di nullità delle disposizioni a favore di Caio e Caia, avrebbe tuttalpiù portato ad una attribuzione dei diritti a costoro spettanti, non a favore dei collegatari, bensì dell’erede, riconosciuto nella persona di Sempronio. Per tale ragione non è stato rinvenuto un interesse ad agire in capo a Tizia.[3]

[1] In dottrina: PATTI, L’accrescimento, in Trattato delle successioni e donazioni a cura di Bonilini, vol. 1, Milano, 2009, pagg. 1147 ss.; BONILINI, La disposizione testamentaria di legato, in Trattato delle successioni e donazioni a cura di Bonilini, vol. 2, Milano, 2009, pag. 441; BUSANI, La successione mortis causa, Milano, 2022, pag. 1172-1173. In giurisprudenza, oltre alla pronuncia in commento: Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 442 del 19/01/1981; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 604 del 24/02/1976

[2] Per la necessità della unicità del negozio istitutivo: BONILINI, op. cit.. In senso dubitativo, PATTI, op. cit., pag. 1148. In senso contrario: BUSANI, op. cit.; SCOGNAMIGLIO, Il diritto di accrescimento nelle successioni a causa di morte, Milano, 1953, pag. 241; AZZARITI-MARTINEZ, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979, pag.550.

[3] E’ la stessa Corte a ricordare che “la legittimazione generale all’azione di nullità prevista dall’art. 1421 c.c., in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, non esime l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l’azione stessa non è proponibile in mancanza della prova, da parte dell’attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica”. Si richiamano, altresì: Cass. Civ., Sez. 6, Ordinanza n. 2489 del 29/01/2019; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 5420 del 15/04/2002.

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