21 Maggio 2024

Danno ambientale: la Cassazione conferma la legittimazione attiva dei soggetti ed Enti territoriali diversi dallo Stato

di Riccardo Rossi, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. III, ord., 15 marzo 2024, n. 7073 Pres. Travaglino – Rel. Vincenti

Legittimazione ad agire – Ambiente – Danno ambientale – Risarcimento del danno – Enti territoriali (c.p.c., 5, 81, 111; c.c. 2043; D.Lgs. 152/2006, 311)

[1] L’entrata in vigore della l. n. 97 del 2013 (che, modificando l’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha concentrato la legittimazione attiva in capo al Ministero dell’Ambiente) non fa venir meno la legittimazione dei soggetti o enti territoriali diversi dallo Stato a coltivare i giudizi di risarcimento del danno ambientale precedentemente instaurati, né determina l’inammissibilità della domanda risarcitoria per equivalente che vi sia stata eventualmente proposta, ferma restando la necessità di coordinarne la statuizione di accoglimento con le prescrizioni della nuova disciplina, alla cui stregua il giudice è tenuto ad individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e a determinarne il costo, il cui rimborso potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti nel caso di omessa o incompleta esecuzione delle stesse.

CASO

[1] I fatti di causa possono essere brevemente riassunti come segue.

La società Distilleria S.p.A. impugnava la sentenza non definitiva n. 2347/2017 e la sentenza definitiva n. 1422/2020 della Corte di appello di Palermo, che, in parziale riforma della sentenza n. 32/2011 del Tribunale di Palermo, la condannava, a titolo di risarcimento del danno ambientale, in favore del Comune di Partinico per avere, nel periodo 1991-1992, proceduto a scarichi inquinanti determinanti il degrado di un canale, un torrente e un fiume nella zona comunale.

La stessa società veniva condannata alle misure di riparazione primarie, alle misure compensative riferite alle perdite temporanee supplementari, nonché al risarcimento del danno all’immagine del Comune.

Soccombente in appello, Distilleria S.p.A. proponeva, dunque, ricorso per Cassazione affidato a sei motivi.

Per quanto interessa il presente commento, la società richiedeva la riforma della sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 311 del d.lgs. n. 152/2006 e violazione degli artt. 81 e 111 c.p.c., per avere la Corte territoriale, in adesione ad orientamento della giurisprudenza di legittimità – di cui auspicava un ripensamento – ritenuto legittimato il Comune di Partinico all’azione di risarcimento del danno ambientale nonostante la sopravvenuta legittimazione del Ministero dell’ambiente ai sensi della prima delle norme appena citate.

SOLUZIONE

[1] La Sezione III della Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, non accogliendo alcuno dei motivi proposti dalla società ricorrente.

In particolare, quanto al motivo appena esposto, essa ha ribadito, attraverso il richiamo a propri precedenti (Cass. n. 9012/2015; Cass. n. 16806/2015; Cass. n. 14935/2016; Cass. n. 8662/2017; Cass. n. 8468/2019) che, in tema di risarcimento del danno ambientale, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della l. n. 97 del 2013, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di sopravvenuta operatività della direttiva comunitaria recepita da tale legge, è applicabile l’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo modificato, da ultimo, dall’art. 25 della legge testé citata.

Decidendo sul motivo, la Corte ha chiarito (ancora una volta) che tale normativa, seppur abbia escluso la risarcibilità per equivalente, dovendo ora il giudice individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinarne il costo, in quanto solo quest’ultimo (ovvero il suo rimborso) potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti, di per sé, non ha precluso la legittimazione di un soggetto o ente territoriale diverso dallo Stato ad instare per il risarcimento del danno.

QUESTIONI

[1] La questione posta all’attenzione della Corte – e qui indagata – concerne, sotto il profilo della teoria generale, l’istituto della legittimazione ad agire (detta anche, alternativamente, legitimatio ad causam), ovvero la titolarità del diritto alla proposizione dell’azione.

L’operatività della figura riguarda il piano soggettivo del processo e, più precisamente, vuole indicare colui che ha il potere di dar genesi al dovere decisorio del giudice (i.e. esprimersi sul rapporto giuridico dedotto in giudizio).

In altri termini, affinché il giudice possa decidere il merito della pretesa giuridica proposta dalla parte che ha instaurato il processo, quest’ultima deve avere la titolarità dell’azione, in quanto, altrimenti, nessun diritto potrebbe esserle riconosciuto.

Date tali premesse, è chiaro come la legitimatio ad causam debba considerarsi come condizione dell’azione (Mandrioli, Diritto processuale civile, I, XXI ed., Torino, 2011, 353 ss.; Cass. 10 maggio 2010, n. 11284, Cass. 30 maggio 2008, n. 14468) e si ricolleghi intimamente al principio dettato dall’art. 81 c.p.c., il quale esprime il divieto di far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge: divieto la cui violazione può essere rilevata dal giudice, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (Cass. 8 agosto 2012, n. 14243, Cass. S.U. 13 febbraio 2012, n.1978, Cass. 18 novembre 2005, n. 24457).

Merita solo un accenno la differenza tra l’istituto testé citato e la c.d. “titolarità della situazione giuridica sostanziale”, la quale si delinea come questione concernente direttamente il merito della lite (e non il diritto all’azione, ovvero la legittimazione ad agire, che si pone, appunto, quale presupposto) e, per questo, relativamente ad essa non è permesso al giudice alcun esame d’ufficio, essendo legata a doppio filo al principio dispositivo, i.e. all’onere deduttivo e probatorio della parte interessata a veder tutelato nel merito il diritto azionato (art. 115 c.p.c.).

Illustrata preliminarmente la teorica alla base della legittimazione ad agire, e per venire alla questione specifica della legittimazione alla richiesta di tutela per danno ambientale, la doglianza della società condannata si sostanzia nel rilevare che, a seguito della modifica dell’art. 311 del D.lgs. n. 152 del 2006, unicamente lo Stato, pel tramite del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sarebbe legittimato a richiedere il risarcimento per tale tipologia di danno e, pertanto, il giudice non avrebbe potuto riconoscere alcuna tutela al Comune.

La tesi deriva dal fatto che, prima del D.lgs. n. 152 del 2006, la legge attribuiva la titolarità dell’azione in discorso allo Stato nonché “agli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo” (art. 18, III co., L. 349 del 1986 – Legge istitutiva del Ministero dell’ambiente –, poi espressamente abrogato dall’art. 318, II co., lett. a), D.lgs. n. 152 del 2006), mentre, con l’emanazione della nuova normativa, l’art. 311 del D.lgs 152 del 2006, riserva e concentra la legittimazione in capo al Ministero (Stato), disponendo che sia quest’ultimo ad “agire, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale”.

Tuttavia, come detto, l’orientamento ormai pacifico della giurisprudenza di legittimità ritiene che l’emendamento delle richiamate disposizioni di legge non abbia precluso la legittimazione attiva di un soggetto o ente territoriale diverso dallo Stato (Cass. 27 marzo 2019, n. 8468).

Il fondamento di tale impostazione riguarda il rapporto tra le diverse norme dell’ordinamento in tema di danno.

Infatti, viene affermato che l’art. 311 del D.lgs 152 del 2006 è norma speciale rispetto all’art. 2043 c.c. e, dunque, viene sì riservata allo Stato (in persona del Ministro), la legittimazione ad agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente, ma ciò non intacca la considerazione che tutti gli altri soggetti, compresi, altresì, gli enti pubblici territoriali, possano agire attraverso la generale azione avverso il danno aquiliano, al fine ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente (Cass. pen. 21 ottobre 2010, n. 41015).

La questione è altresì approdata al cospetto della Corte Costituzionale, chiamata a decidere della legittimità costituzionale proprio dell’art. 311, I co. 1, D.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per esso allo Stato, la legittimazione all’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno ambientale, escludendo la legittimazione concorrente o sostitutiva della Regione e degli enti locali sul cui territorio si è verificato il danno, in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 24 e 32 della Costituzione, nonché al principio di ragionevolezza.

L’incidente di costituzionalità veniva motivato dal giudice a quo sulla base delle seguenti considerazioni: i) la legittimazione ad agire in capo ad un solo soggetto non garantirebbe un sufficiente livello di tutela della collettività e della comunità; ii) l’esclusione della possibilità di agire in giudizio per la Regione, enti territoriali e/o soggetti esponenziali della collettività darebbe luogo a disparità di trattamento tra soggetti portatori di identica posizione giuridica; iii) la deroga alla disciplina generale della responsabilità civile avrebbe determinato un trattamento deteriore del diritto ad un ambiente salubre – diritto primario ed assoluto, rientrante tra i diritti inviolabili dell’uomo di cui al citato parametro costituzionale – rispetto ai restanti diritti costituzionali di pari valore, i quali, con riguardo alla sfera di tutela della responsabilità civile, non subiscono alcuna limitazione nella titolarità della legittimazione ad agire.

In tale occasione, con la sentenza n. 126 del 2016, i giudici della Consulta hanno chiarito come, in realtà, l’art. 311, co. 1, D.lgs. n. 152 del 2006, non valga affatto a privare altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, del potere di agire per il risarcimento dei danni specifici da essi subiti.

Infatti, “la normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente, per il risarcimento non del danno all’ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale” (C. Cost. 1° giugno 2016, n. 126, punto 10 delle considerazioni in diritto)

In definitiva, anche agli enti territoriali dev’essere riconosciuta la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale da questi direttamente subito, in quanto le conseguenze pregiudizievoli si verificano proprio nella sfera giuridica di questi, i quali, dunque, sono titolari dell’azione per il conseguimento della relativa tutela.

Ben lungi dall’accogliere l’invito della ricorrente al ripensamento dei principi testé esposti, la sentenza in commento ne ha riaffermato la piena vigenza, in linea con i propri precedenti arresti in materia, nonché con l’insegnamento della Corte Costituzionale, proclamando, in diretta sintonia con Cass. 27 marzo 2019, n. 8468, che le modifiche della normativa ambientale “non hanno precluso, in sé, né la legittimazione attiva di un soggetto o ente territoriale diverso dallo Stato e neppure l’ammissibilità di una domanda di risarcimento danno proposta, come in origine previsto, per equivalente, che potrebbe in astratto essere accolta adattandola alle nuove previsioni di legge, con la previsione cioè di quelle misure di riparazione, primaria, complementare e compensativa destinate a tenere luogo, per un effettivo ripristino, del risarcimento per equivalente”.

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