L’usufruttario di quote sociali ha diritto alle somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società
di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, Sezione V, Sentenza n. 11170 del 26 aprile 2024.
Parole chiave: contribuente – usufrutto – usufruttario – socio nudo – liquidazione – estinzione – cancellazione – utili – dividendi – residuo attivo – società a responsabilità limitata – capitale – massa patrimoniale –
Massima: “Nel caso in cui la quota sociale di una società a responsabilità limitata sia costituita in usufrutto, le somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società, costituenti un utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle quote, spettano all’usufruttuario, con la conseguenza che il rapporto d’imposta avente ad oggetto tale utile sorge, ad ogni effetto, tra l’amministrazione e l’usufruttuario”.
Disposizioni applicate: artt. 1014 c.c. e 47 Tuir
La pronuncia in esame prende le mosse dall’omesso rimborso da parte delle Agenzia dell’Entrate del credito di imposta asseritamente spettante a “Tizio” in conseguenza della liquidazione della società a responsabilità limitata “Alfa”. Segnatamente, Tizio era usufruttario di alcune partecipazioni detenute in tale società da “Caio” (il nudo proprietario) e riteneva che il residuo attivo risultante dalla liquidazione volontaria della società spettasse al solo socio nudo proprietario, e non anche all’usufruttuario.
Veniva rigettato il ricorso all’uopo avanzato dall’usufruttario dinanzi alla C.T.P. di Pordenone con sentenza che veniva poi confermata in appello.
Avverso la sentenza della C.T.R., Tizio proponeva ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui veniva affermato che “in sede di liquidazione era stato distinto, all’interno dell’attivo complessivamente risultante e poi distribuito, l’importo derivante dal capitale da quello derivante dagli utili, ed il fatto che questi utili non siano stati distribuiti in precedenza per la Commissione non ne fa venir meno la natura giuridica di frutto della gestione economica del capitale”.
In particolare, l’usufruttuario sosteneva che, in caso liquidazione volontaria della società, il residuo attivo che risulta dalla soddisfazione di tutti i creditori sociali deve essere distribuito ai soci e diventa una “massa patrimoniale indistinta”, all’interno della quale non possono distinguersi gli utili, sicché quella massa patrimoniale indistinta spetterebbe interamente al socio nudo proprietario. Il residuo attivo altro non sarebbe che capitale da restituire al socio, così come dimostrabile dal fatto che non viene distribuito in seguito ad una delibera assembleare, ma quale “ultimo necessitato atto della vita sociale”. Per cui le somme derivanti dal residuo attivo di liquidazione non costituirebbero tecnicamente un dividendo e, non essendo tali, non spetterebbero all’usufruttuario, bensì al nudo proprietario.
Chiamata a decidere, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.
Sul punto, la Suprema Corte ha affrontato due argomenti: (i) la questione relativa al momento in cui cessa il diritto di usufrutto che abbia ad oggetto una partecipazione sociale di una società a responsabilità limitata e (ii) quella relativa ai diritti patrimoniali, collegati alla partecipazione sociale, spettanti al soggetto in favore del quale sia stato costituito un usufrutto sulla stessa.
Quanto al primo punto, la Corte ha affermato che il venir meno della partecipazione sociale nella sua consistenza giuridica determina, in base alle norme generali, l’estinzione dell’usufrutto, con la precisazione che la partecipazione sociale di una società a responsabilità limitata, quale bene immateriale che rappresenta la misura dei diritti e degli obblighi di un socio, non viene meno (non “perisce”, per usare il termine di cui all’art. 1014 c.c.) con la liquidazione volontaria della società, bensì con la cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese, che ne determina l’estinzione.
Una volta chiarito che l’usufrutto (se non si estingue prima per una delle altre cause enunciate nell’art. 1014 c.c.) si estingue certamente con l’estinzione della società (e dunque, per la Srl, con la cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese), il problema da risolvere è se anche dopo la messa in liquidazione della società la partecipazione sociale possa produrre utili.
A tale questione la Cassazione ha dato risposta affermativa, usando a suffragio della propria tesi l’art. 47 (ex art. 44), comma 7, del Tuir (D.P.R. n. 917 del 1986), a norma del quale “le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione delle società costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullatela pubblicazioni”.
La somma considerata come “utile”, infatti, rappresenta un frutto civile della partecipazione sociale, sicché esso spetta, in costanza di usufrutto, all’usufruttuario di detta partecipazione.
Il ricorso è stato quindi rigettato in base al seguente principio di diritto: “nel caso in cui la quota sociale di una società a responsabilità limitata sia costituita in usufrutto, le somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società, costituenti un utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle quote, spettano all’usufruttuario, con la conseguenza che il rapporto d’imposta avente ad oggetto tale utile sorge, ad ogni effetto, tra l’amministrazione e l’usufruttuario”.
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