L’estensione del fallimento della supersocietà di fatto alle società partecipanti
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 22 febbraio 2023, n. 5458 – Pres. Nazzicone – Rel. Dongiacomo
Parole chiave: Fallimento – Dichiarazione di fallimento – Società di fatto – Società di persone cui partecipi una società di capitali – Estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile – Ammissibilità
[1] Massima: “Ai sensi dell’art. 147 l.fall., la sentenza che dichiara il fallimento di una società in nome collettivo, di una società in accomandita semplice o di una società in accomandita per azioni produce il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili, con la conseguenza che se una società di fatto abbia tra i propri soci illimitatamente responsabili altre società, anche di capitali (cosiddetta supersocietà di fatto), è possibile dichiarare il fallimento della società di fatto – cui quella di capitali abbia partecipato – e dei soci illimitatamente responsabili”.
Disposizioni applicate: r.d. 267/1942, art. 147
CASO
Il Tribunale di Lamezia Terme, ravvisata l’esistenza di una società di fatto tra una società a responsabilità limitata dichiarata fallita, un’altra società a responsabilità limitata e una persona fisica, dichiarava il fallimento in estensione ai sensi dell’art. 147 l.fall. di detta società di fatto e dei soci della stessa illimitatamente responsabili.
Il reclamo proposto avverso la sentenza di fallimento veniva respinto dalla Corte d’appello di Catanzaro, che riteneva dimostrata l’esistenza della società di fatto sulla base di numerosi indici, quali la partecipazione diretta o indiretta all’intero capitale sociale di entrambe le società (partecipata e partecipante) del socio persona fisica, l’esercizio in via esclusiva da parte sua della gestione delle due società, lo svolgimento da parte di queste ultime della medesima attività utilizzando gli stessi locali – dov’erano stati rinvenuti beni e documenti appartenenti indistintamente all’una e all’altra – e gli stessi beni strumentali, il compimento di operazioni denotanti un indirizzo imprenditoriale unitario e la stipula di contratti per finanziare l’attività delle due società, ingenerando nei terzi la convinzione dell’esistenza di un vincolo sociale tra le stesse.
Pertanto, una volta accertato lo stato di insolvenza della società di fatto ed essendo stato dichiarato il fallimento di una delle due società a responsabilità limitata che ne facevano parte, il fallimento era stato esteso alla società di fatto e ai soci della stessa illimitatamente responsabili.
La sentenza di secondo grado veniva gravata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendo sussistenti i presupposti che consentivano di affermare l’esistenza di una supersocietà di fatto (costituita dalla società dichiarata fallita, da un’altra società a responsabilità limitata e da una persona fisica), la cui insolvenza aveva comportato la sua dichiarazione di fallimento, estesa ai soci illimitatamente responsabili.
QUESTIONI
[1] La supersocietà di fatto ricorre quando a una società non iscritta nel registro delle imprese, ma costituita per fatti concludenti, partecipano, in qualità di soci illimitatamente responsabili, più soggetti, persone fisiche o giuridiche; in quest’ultimo caso, può trattarsi di società tanto di persone, quanto di capitali.
Con la riforma del diritto societario, infatti, è stata espressamente ammessa la configurabilità della cosiddetta supersocietà, ovvero la partecipazione di una società di capitali a una società di persone: nello specifico, gli artt. 2361 c.c. e 111-duodecies disp. att. c.c. hanno inequivocabilmente previsto che una società di capitali possa assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile, tra l’altro, di una società in nome collettivo, pur se irregolare.
Depone nello stesso senso l’art. 147 l.fall., disponendo che la sentenza che dichiara il fallimento di una società in nome collettivo, di una società in accomandita semplice o di una società in accomandita per azioni produce il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, quand’anche non si tratti di persone fisiche, ribadendo così la possibilità che le società di persone, anche se di mero fatto, abbiano tra i propri soci illimitatamente responsabili altre società, anche di capitali.
Allo stesso modo, il comma 5 dell’art. 256 d.lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) stabilisce che se, dopo l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di un imprenditore individuale o di una società, risulta che l’impresa è riferibile a una società di cui l’imprenditore o la società è socio illimitatamente responsabile, viene disposta l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale anche nei loro confronti.
Pertanto, una volta accertata l’esistenza di una società di fatto e la sua insolvenza, anche i soci della stessa possono essere dichiarati falliti.
Poiché la società di fatto si caratterizza per lo svolgimento in comune e in via continuativa di attività economica organizzata in mancanza di forme e formalità, non è giustificabile che la società di capitali che abbia svolto attività d’impresa operando in società di fatto con altri possa, in seguito, sottrarsi alle relative conseguenze semplicemente perché, in forza di una decisione dei suoi amministratori, si sia prestata a essere utilizzata, violando le regole societarie, quale socia di fatto di un’impresa insieme ad altre società o a una o più persone fisiche che sulla stessa abbiano esercitato, abusandone, il proprio potere di direzione e controllo.
La prova della sussistenza di una supersocietà di fatto dev’essere fornita attraverso la dimostrazione della ricorrenza, quantomeno nella fase costitutiva (e indipendentemente dalle forme giuridiche che i relativi atti abbiano assunto), dei seguenti presupposti:
- esercizio in comune dell’attività economica (rappresentato dall’agire nell’interesse – ancorché diversificato – dei soci);
- esistenza di un fondo comune (costituito da apporti, in termini di attribuzione della proprietà o del godimento di determinati beni, o da attivi patrimoniali) diretto ad assicurare la disponibilità di quanto necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale;
- affectio societatis (intesa quale volontà dei distinti soggetti di vincolarsi tra loro e di collaborare per conseguire risultati patrimoniali comuni nell’esercizio collettivo di un’attività economica);
- effettiva partecipazione ai profitti e alle perdite, in modo tale che i risultati patrimoniali (positivi o negativi) dell’attività svolta ricadano, in termini di incremento o decremento del valore degli apporti eseguiti, su tutti i sodali, secondo le regole dagli stessi (anche tacitamente) fissate.
Per potersi dichiarare il fallimento di una supersocietà di fatto è necessario riscontrare una sua autonoma insolvenza, eventualmente muovendo – quale fatto indiziante – dalla rilevazione dell’insolvenza di uno o più soci, ovvero del socio cui era inizialmente imputabile l’attività economica, ma senza alcuna automatica traslazione (giacché non si tratta di un fallimento dipendente, bensì autonomo).
Tuttavia, quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un’impresa (individuale o collettiva), risulti che la stessa è, in realtà, riferibile a una società di fatto tra il soggetto già fallito e uno o più soci occulti, i debiti assunti – sia pure in nome proprio – dal primo in relazione all’impresa sociale che ne costituisce l’oggetto debbono considerarsi giuridicamente imputabili alla società occulta.
Pertanto, una volta ammessa la configurabilità di una società di fatto partecipata da una società di capitali e la sua conseguente fallibilità ai sensi dell’art. 147, comma 1, l.fall., non vi è ragione di escludere che, nell’ipotesi disciplinata dal successivo comma 5, quando l’esistenza della società di fatto emerga in data successiva al fallimento dichiarato con riguardo a uno solo dei soci, il fallimento possa estendersi agli altri soci illimitatamente responsabili, indipendentemente dal fatto che si tratti di imprenditori individuali o collettivi. In questo caso, dunque, l’insolvenza da prendere in considerazione è quella già accertata nei confronti dell’imprenditore apparentemente individuale (o della società) fallito come socio di una società occulta, dal momento che l’insolvenza della società è la stessa insolvenza dell’imprenditore apparentemente individuale (o della società) già dichiarato fallito, fatta salva la possibilità di provare che la supersocietà è in condizione di fare fronte regolarmente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni.
L’art. 147, comma 5, l.fall., d’altra parte, trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l’impresa è, in realtà, riferibile a una società di fatto tra il fallito e uno o più soci occulti, ma pure quando il socio già fallito sia una società, anche di capitali, che partecipi, con altre società o persone fisiche, a una società di persone configurabile quindi come supersocietà di fatto: ciò sia nel caso in cui, dopo la dichiarazione di fallimento della società, risulti l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili (art. 147, comma 4, l.fall.), sia qualora, dopo la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore individuale o della società, risulti che l’impresa è riferibile a una società di cui il fallito – imprenditore individuale o società – sia socio illimitatamente responsabile (art. 147, comma 5, l.fall.).
Resta da dire che la norma si reputa applicabile non tanto nell’ipotesi di società organizzate verticalmente e soggette ad attività di direzione e coordinamento, quanto piuttosto in quella di un gruppo orizzontale di società che partecipano – eventualmente anche insieme a persone fisiche – a una società di persone.
Nel caso di specie, secondo la Corte di cassazione, i giudici di merito avevano fatto corretta applicazione dei suddetti principi, avendo accertato:
- lo svolgimento, da parte della società fallita e di quella cui era stata estesa la dichiarazione di fallimento nella sua veste di socia illimitatamente responsabile della supersocietà di fatto in essere con la prima, della medesima attività;
- la comunanza dell’organizzazione aziendale a tale fine utilizzata;
- il conferimento in un fondo comune, da parte delle società e dei relativi soci o amministratori, di tutto quanto necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale, facendo ciò presumere (in difetto di emergenze di segno contrario, quali la ricezione di un corrispettivo per gli apporti patrimoniali o un compenso per i servizi resi) che i risultati – positivi o negativi – di ciascun atto sociale ricadessero su tutti i soci e che, dunque, l’attività svolta fosse conforme al loro interesse.
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