9 Aprile 2024

Arbitrato rituale: l’exceptio compromissi va sollevata nel primo atto difensivo della parte convenuta

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. sez. II, 3 gennaio 2024, N. 112 – Pres. Mocci e Rel. Chieca

Compromesso e arbitrato – Arbitrato — Arbitrato rituale – Exceptio compromissi – Natura – Termini per la relativa proposizione – Rilevabilità ex officio – Esclusione – Fondamento

(artt. 38 e 819 ter c.p.c.)

In tema di arbitrato rituale, l’exceptio compromissi ha carattere processuale e integra una questione di competenza, pertanto deve essere sollevata, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo della parte convenuta, non potendosi assimilare la competenza arbitrale a quella funzionale sì da giustificarne il rilievo officioso ad opera del giudice, fondandosi essa unicamente sulla volontà delle parti.

CASO

Alcune società, operanti nel settore del trasporto di passeggeri a mezzo elicottero, costituivano un raggruppamento temporaneo di imprese per l’esecuzione, in regime di appalto, del servizio di elisoccorso, nel territorio della Regione Lazio.

Tale contratto prevedeva che un’impresa del raggruppamento mettesse a disposizione delle altre associate, a pagamento, un elicottero di riserva, in caso di di avaria o manutenzione degli altri mezzi destinati al servizio.

Era inoltre pattuito che le fatture emesse da tale società, per le prestazioni rese, fossero intestate all’impresa capofila del raggruppamento.

Non venendo pagata, la società che aveva fornito il mezzo di trasporto otteneva decreto ingiuntivo, per l’importo di circa € 250.000, nei confronti di un’altra impresa del raggruppamento che aveva usato l’elicottero, la quale si opponeva al decreto ingiuntivo, eccependo la sussistenza di un  controcredito, derivante da analoghe prestazioni.

Veniva, inoltre, sollevata eccezione di arbitrato, non nell’atto di citazione in opposizione ex art. 645 c.p.c., ma solo dopo la celebrazione dell’udienza di prima comparizione delle parti.

La clausola compromissoria prevedeva, in particolare, che “ogni controversia tra gli associati che non possa essere risolta amichevolmente è definita con giudizio di arbitro unico scelto di comune accordo, o in difetto nominato dal Presidente del Tribunale di Roma. Il giudizio dell’arbitro, emesso senza formalità di procedura e secondo equità, definisce la controversia”.

Il Tribunale di Roma rigettava l’eccezione di arbitrato, statuendo che si trattava di arbitrato rituale e che la relativa eccezione risultava tardiva, poiché non formulata nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo. La Corte di appello di Roma confermava la decisione di primo grado.

Contro tale sentenza, la società condannata a pagare il debito generato dall’uso dell’elicottero proponeva ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi.

Con il primo motivo venivano lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1362, comma 1, c.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe errato nell’attribuire natura rituale, anziché irrituale, all’arbitrato.

In base secondo motivo, la Corte avrebbe sbagliato nel ritenere che l’eccezione di arbitrato dovesse essere sollevata, dalla società opposta, con il suo primo atto difensivo; in quanto, trattandosi di questione preliminare di merito, il termine per la sua proposizione andava individuato nella prima udienza di trattazione.

Con il terzo motivo venivano dedotte la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697, comma 1, c.c., per avere il collegio accolto la domanda avanzata in via monitoria, sebbene la ricorrente non avesse offerto idonea prova del credito vantato.

Con il quarto motivo venivano prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1243, comma 2, c.c., per avere la Corte negato la sussistenza dei presupposti per l’operatività della compensazione giudiziale sul semplice rilievo che il controcredito vantato dalla debitrice era stato contestato. Il giudice d’appello avrebbe, in particolare, dovuto accertare tale credito, pur in presenza di contestazioni, poiché era investito del relativo potere di cognizione.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso ritenendo i primi due motivi non fondati, e gli altri due inammissibili.

I giudici, in particolare, esaminano insieme i primi due motivi, in quanto strettamente connessi.

Anzitutto, la Suprema Corte ricorda che, ove venga contestata la qualificazione dell’arbitrato come rituale o irrituale, quest’ultima ha il potere di accertare direttamente, attraverso l’esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria.

In secondo luogo, ribadisce che nell’arbitrato rituale le parti vogliono ottenere un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c.; mentre, nell’arbitrato irrituale, le parti intendono affidare all’arbitro la soluzione di controversie attraverso lo strumento della determinazione contrattuale (art. 808-ter c.p.c.), mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro volontà (cfr. Cass. 5 luglio 2023, n. 18973; Cass. 2 settembre 2022, n. 25927; Cass. 30 dicembre 2021, n. 42049; Cass. 7 agosto 2019, n. 21059; Cass. 4 marzo 2019, n. 7189;  Cass. 18 novembre 2015, n. 23629).

Non costituiscono elementi dirimenti per inquadrare l’arbitrato come irrituale:

– il conferimento agli arbitri del potere di decidere secondo equità o nella veste di amichevoli compositori, poiché tale specificazione non è incompatibile con l’arbitrato rituale (v. art. 822, comma 1, c.p.c.);

– la preventiva attribuzione alla pronuncia arbitrale del carattere dell’inappellabilità (prevista dall’art. 829 c.p.c anche per il lodo dell’arbitrato rituale)

–  la previsione che gli arbitri sono esonerati dal rispetto delle “formalità di procedura”, alla luce della disciplina prevista per l’arbitrato rituale dall’art. 816-bis, comma 1, c.p.c.

Secondo la Corte di cassazione, nel caso in esame, l’arbitrato è rituale. Infatti, clausola compromissoria (sopra riportata) utilizza espressioni quali “giudizio” e “definisce la controversia” che s inquadrano in un’attività (sostitutiva di quella) giurisdizionale.

Al contrario, deve escludersi che la  locuzione “senza formalità di procedura e secondo equità” siano di per sé sufficienti a far propendere per la natura irrituale dell’arbitrato, in difetto di elementi certi da cui sia evincibile il comune intendimento delle parti di affidare all’arbitro la ricerca un accordo negoziale.

In un simile contesto, trova, quindi, applicazione il principio di diritto, secondo cui il dubbio sull’interpretazione dell’effettiva volontà dei contraenti va risolto a favore della ritualità dell’arbitrato (cfr. Cass. 19 luglio 2023, n. 21329; Cass. 10 settembre 2012, n. 24462; Cass. 7 aprile 2015, n. 6909; Cass. 21 novembre 2013, n. 26135).

Fatta questa premessa, la quaestio juris riguarda il termine entro il quale può essere sollevata l’exceptio compromissi. La giurisprudenza è stabilmente orientata nel ricomprendere, a pieno titolo, l’eccezione di arbitrato rituale nel novero di quelle processuali (Cass. Sez. un. 25 ottobre 2013, n. 24153).

Stabilire, dunque, se la controversia spetti alla cognizione del giudice o dell’arbitro integra una questione di competenza. E da ciò ne consegue che l’eccezione di arbitrato deve essere formulata, a pena di decadenza, con il primo atto difensivo della parte convenuta, che, nel giudizio ordinario di cognizione, è costituito dalla comparsa di risposta (art. 166 cp.c.) e, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, va, invece, individuato nell’atto di citazione, ex art. 645, comma 1, c.p.c. (cfr. Cass. 23 ottobre 2015, n. 21672; Cass. 20 ottobre 2006, n. 22528).

Secondo la suprema Corte, la competenza arbitrale non è assimilabile a quella funzionale, così da giustificarne il rilievo ad opera del giudice, ex art. 38, comma 3, c.p.c., Infatti, tale competenza si fonda unicamente sulla volontà delle parti, le quali posso scegliere se sottoporre la vertenza agli arbitri o escluderne la competenza, mediante l’introduzione di un giudizio ordinario, ovvero non proponendo l’eccezione di arbitrato (cfr. Cass. 6 novembre 2015 n. 22748; Cass. 5 giugno 2019, n. 15300).

Nel caso in esame, l’eccezione di arbitrato era stata proposta solo nelle memorie successive alla prima udienza ed è, dunque, tardiva.

La Corte di cassazione si limita a correggere la motivazione della Corte di appello, la quale aveva statuito che l’eccezione di arbitrato costituisce una questione attinente al merito della controversia. In realtà, l’eccezione di arbitrato costituisce un’eccezione di natura processuale.

QUESTIONI

La disciplina dell’exceptio compromissi è contenuta nel primo comma dell’art. 819-ter c.p.c. Tale norma individua, in particolare, il termine per la proposizione di questa eccezione (terzo periodo), le conseguenze riconducibili all’inerzia del convenuto (quarto periodo), nonché la forma della decisione sull’eccezione e dell’impugnazione (secondo periodo).

La presenza della convenzione di arbitrato non è rilevabile d’ufficio dal giudice. Tale principio è pacifico in dottrina (Luiso, Dir. proc. civ., V, 2023, 204; Izzo, La convenzione arbitrale nel processo. Studio sui rapporti tra arbitrato e giurisdizioni statuali, 2013, 146) ed in giurisprudenza (Cass. 5 giugno 2019, n. 15300; Cass. 25 ottobre 2017, n. 25254).

E’, dunque, necessaria l’iniziativa del convenuto, da esercitarsi (parallelamente a quanto previsto nell’art. 817 c.p.c.) nel primo atto difensivo, da depositarsi tempestivamente nei termini previsti per la costituzione ai sensi dell’art. 166 c.p.c. (Bianchi, La controversia sulla convenzione di arbitrato, 2023, 174).

Richiamando il disposto dell’art. 38, comma 1 c.p.c. (che si riferisce alla comparsa di risposta «tempestivamente depositata»), la giurisprudenza ha, inoltre, escluso che la proposizione dell’exceptio compromissi possa avvenire oltre i 20 giorni che precedono la prima udienza (Cass. 6 novembre 2015, n. 22748; Cass. 24 settembre 2015, n. 18978; Cass. Sez. un., 20 gennaio 2014, n. 1005). Alla luce della riforma Cartabia, ora tale termine va anticipato a 70 giorni prima dell’udienza.

In caso di procedimento semplificato di cognizione, il riferimento è al termine previsto nell’art. 281 undecies, comma 3, c.p.c.

La decisione del giudice ordinario deve essere assunta con sentenza, sia che essa affermi o neghi la propria competenza (Salvaneschi, Arbitrato, in Commentario cod. proc. civ., 2014, 680; Bove, Giurisdizione e competenza nella recente riforma del processo civile (legge 18 giugno 2009, n. 69), in Riv. dir. proc., 2009, 1312; contra, Consolo – Marinucci, Impugnazione per nullità di delibera assembleare e arbitrato, in Riv. dir. civ., 2013, 219).

Si deve, poi, escludere che la presenza dell’accordo compromissorio possa essere fatta valere, per la prima volta, in sede di impugnazione: trattandosi di questione nuova, non può costituire motivo per appellare la decisione sul merito, né può essere alla base del regolamento di competenza.

È, infine, possibile che all’eccezione di compromesso si aggiunga la contestazione della competenza del giudice adito. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che l’esame della prima questione ha la precedenza sulla seconda – vi sia o meno un’esplicita proposizione graduata da parte del convenuto – con la conseguenza che la pronuncia di incompetenza (ed il rinvio al giudice ritenuto competente) contiene in sé implicitamente il rigetto dell’exceptio compromissi (Cass. 25 ottobre 2017, n. 25254).

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