Le condizioni patologiche pregresse del paziente non escludono la responsabilità del medico
di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. III, ord., 08.11.2023, n. 31058 – Pres. Travaglino – Rel. Iannello
Responsabilità medica – Concorso di cause naturali e umane nella causazione dell’evento lesivo – Condotta omissiva dei sanitari e concausa determinante – Irrilevanza delle condizioni patologiche preesistenti ai fini della determinazione della responsabilità dei sanitari – Principio dell’equivalenza causale
[1] In tema di responsabilità medica e professionale, le condizioni patologiche preesistenti devono essere riguardate come concause dell’evento, che, secondo insegnamento da tempo acquisito, sono irrilevanti agli effetti della determinazione e commisurazione della responsabilità.
CASO
I familiari di un paziente deceduto citavano in giudizio l’Azienda Ospedaliera, onde ottenere la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni subìti, in conseguenza del decesso del loro congiunto.
Il paziente era stato ricoverato presso il nosocomio con diagnosi in ingresso di “ictus cerebrale ed emiparesi lato dx, per lesione vascolare cerebrale a sinistra con infarcimento secondario”.
Dimesso dopo appena sei giorni, veniva ricoverato presso altra struttura per intraprendere il percorso riabilitativo.
Dopo ulteriori 18 giorni di degenza, in preda a crisi convulsive, il paziente veniva trasferito presso il reparto di Rianimazione di altro ospedale, ove veniva diagnosticata l’insorgenza di un avvenuto nuovo ictus cerebrale all’emisfero di destra, a causa del quale rimaneva in un gravissimo stato di salute per oltre tre mesi fino al decesso, avvenuto presso un Istituto Riabilitativo di altra regione, ove medio tempore era stato trasferito.
Gli attori ritenevano che l’ospedale convenuto avesse omesso un adeguato monitoraggio del paziente dal ricovero alle dimissioni (avvenute dopo soli sei giorni dall’evento ischemico), senza la prescrizione di un’adeguata terapia e di visite specialistiche, unitamente ad indagini strumentali. Secondo gli attori, il secondo e più grave ictus cerebrale si sarebbe potuto evitare, con alta probabilità, se al paziente fosse stato risparmiato lo stress riabilitativo, cui era stato precocemente sottoposto e se non fossero state omesse le cure necessarie, nei tempi e nei modi adeguati.
In primo grado, espletata la CTU medico-legale, le domande attoree venivano rigettate.
La Corte territoriale, disposta una nuova CTU medico-legale, in totale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva le domande risarcitorie degli appellanti, aderendo alle conclusioni della CTU, secondo cui “la complessiva inidonea interpretazione del quadro clinico manifestato dal paziente, come evidenziabile per la mancanza delle indagini diagnostiche e delle conseguenti idonee decisioni terapeutiche, nonché l’insufficiente monitoraggio del paziente, permette di esprimere una valutazione, seppure in termini probabilistici, circa l’esistenza di concausalità efficiente e determinante fra l’inidoneo operato dei sanitari che ebbero in cura il paziente, l’insorgenza del secondo grave ictus ischemico e l’exitus dello stesso; il caso in esame non implicava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà; tale carenza assistenziale ha configurato perdita di chances di sopravvivenza”; “tenendo conto dei dati della letteratura, delle comorbilità e di soggetto ictato in giovane età, appare congruo postulare una “perdita di chances” del 30%, rispetto all’evento-morte, in ordine al danno biologico iure hereditatis, essendo tra l’altro intercorso un congruo intervallo cronologico tra l’esordio dell’evento letale ed il decesso; “l’omissione dei sanitari non si è inserita in un processo irreversibile che avrebbe comunque portato al secondo ictus e poi al decesso quattro mesi dopo, ma… l’interruzione del farmaco dicumarolico ha costituito una determinante concausa del secondo ictus e dell’exitus del paziente, giacché, se fosse stata tenuta la condotta alternativa corretta, il decesso non si sarebbe verificato secondo il “più probabile che non”.
L’azienda ospedaliera soccombente proponeva ricorso in cassazione.
SOLUZIONE
Le condizioni patologiche preesistenti, che costituiscono concause dell’evento, sono irrilevanti agli effetti della determinazione e commisurazione della responsabilità. Infatti, in base al principio dell’equivalenza causale, l’autore del comportamento imputabile risponderà per intero delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo, ancorché a quest’ultimo abbia concorso, sia pure con rilievo preponderante, la causa naturale preesistente (principio del nothing or all o thin skull rule).
QUESTIONI
La pronuncia in commento ha riaffermato il consolidato principio per cui, qualora i fattori naturali, che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento dell’uomo, non possano dare luogo, senza l’apporto umano, all’evento dannoso, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendosi operare una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa.
In applicazione di tale principio, nell’ambito della responsabilità medica, le pregresse situazioni patologiche del paziente sono prive di efficacia interruttiva del rapporto eziologico ex art. 41 c.p., anche se eventualmente preponderanti, secondo un principio condiviso anche da altre giurisdizioni, da tempo predicative della c.d. thin skull rule, in base al quale, ad esempio, se un uomo viene negligentemente investito o in altro modo leso nel suo corpo, non costituisce valida difesa, contro l’azione risarcitoria avanzata dal danneggiato, il sostenere che questi avrebbe riportato una lesione di minore entità, o addirittura nessuna lesione, se non avesse avuto un cranio inusitatamente sottile o un cuore inusitatamente debole.
Veniamo ora all’ordinanza in commento.
Tra i motivi di doglianza l’azienda ospedaliera faceva valere, ai fini dell’esclusione della propria responsabilità ovvero di una riduzione della stessa, il pregresso precario stato di salute del paziente, che risultava affetto da una serie di patologie, quali ipertensione, obesità, BPCO, tabagismo, i quali verosimilmente avevano causato il primo ictus cerebrale.
L’azienda ospedaliera ricorrente lamentava che la Corte di merito avrebbe omesso di motivare le ragioni per le quali non aveva attribuito rilievo eziologico alla preesistente importante comorbilità di cui la vittima era affetta.
Gli Ermellini, nel respingere il vizio di omesso esame, sollevato dall’ospedale appellante, sostenevano che le condizioni di comorbilità del paziente erano state invece considerate dalla Corte territoriale, la quale, proprio per una maggiore comprensione del rilievo eziologico delle pregresse patologie della vittima e della condotta inadempiente dei sanitari, aveva disposto il richiamo del CTU, il quale aveva periziato che, pur essendo il paziente deceduto affetto da pregresse comorbilità invalidanti, tuttavia esse di per sé non erano idonee a determinare concretamente l’esito infausto.
“La valutazione del consulente tecnico, fatta propria dalla Corte d’appello, secondo cui vi è nesso causale tra la condotta dei sanitari (in particolare per la da loro prescritta interruzione del farmaco anticoagulante salvavita) e il secondo più grave attacco ischemico che ha condotto a morte il paziente non è in insanabile contrasto logico con la precedente affermazione secondo cui anche l’adozione di un sano stile di vita avrebbe potuto ridurre il rischio di eventi avversi di natura cardiovascolare ed in particolare di un secondo ictus cerebrale. Si è trattato di una valutazione prognostica che indicava, come funzionali alla riduzione del rischio morte, due fattori: una corretta terapia e una revisione migliorativa delle abitudini del paziente, fumo e dieta”.
Il consulente d’ufficio, chiamato dalla Corte territoriale per chiarire se la condotta dei sanitari si fosse inserita in un processo irreversibile, che avrebbe comunque condotto al decesso del paziente ovvero se la stessa omissione fosse stata concausa del secondo ictus, aveva precisato che l’omissione dei sanitari non si era inserita in un processo irreversibile che avrebbe comunque portato al secondo ictus e poi al decesso quattro mesi dopo, avendo al contrario l’interruzione del farmaco anticoagulante costituito una determinante concausa del secondo ictus e del decesso del paziente; infatti, se fosse stata tenuta la condotta alternativa corretta, il decesso non si sarebbe verificato secondo il “più probabile che non”.
La Corte di cassazione, nel confermare la sentenza di secondo grado, ha precisato che la condotta dei sanitari costituisce una concausa che ha determinato, insieme con le condizioni patologiche preesistenti, l’evento; si tratta però di “una concausa di rilievo determinante” e le “condizioni preesistenti, da riguardare quali concause dell’evento (concause di lesioni), secondo insegnamento da tempo acquisito (v. Cass. Cass. n. 15991 del 2011), sono irrilevanti agli effetti della determinazione e commisurazione della responsabilità”.
Secondo la Cassazione, dunque, qualora l’evento dannoso sia dovuto al concorso fra una causa naturale (come uno stato patologico pregresso del danneggiato) ed una causa umana (come un errore professionale medico), il giudice non può ridurre l’obbligo risarcitorio del danneggiante, in proporzione alla parte di danno rapportabile alla concausa naturale.
Il ragionamento della Cassazione si basa sugli effetti negativi che la responsabilità proporzionale provocherebbe, dal momento che essa darebbe luogo ad inestricabili difficoltà di gestione degli ambiti di «causalità incerta».
In fattispecie del tipo di quella esaminata dall’ordinanza in commento, quindi, il giudice non procederà ad alcuna diminuzione del quantum debeatur, posto che un’opposta soluzione condurrebbe ad affermare l’intollerabile principio per cui persone che, per loro disgrazia (e non per colpa imputabile ex art. 1227 c.c.), siano, per natura e per vicissitudini di vita, più vulnerabili di altre, dovrebbero irragionevolmente appagarsi di una tutela risarcitoria minore rispetto a quella riservata ad altri soggetti “affetti da normalità”.
La Corte ha così richiamato il principio dell’equivalenza causale, in virtù del quale l’autore del comportamento imputabile risponderà per intero delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo, ancorché a quest’ultimo abbia concorso, sia pure con rilievo preponderante, la causa naturale preesistente.
Alla luce di tale principio, la Corte di cassazione ha quindi confermato la decisione della Corte d’ Appello, che ha riconosciuto il risarcimento di tutti i danni subìti dai congiunti della vittima.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia