25 Marzo 2024

Divisione del bene comune: il limite del vincolo di destinazione

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sezione II, Ordinanza del 18.02.2020 n. 4014, Presidente F. Manna, Estensore A. Casadonte.

Massima: “In tema di divisione di beni comuni, gli artt. 1119 e 1112 c.c. hanno una “ratio” diversa e forniscono differenti tutele: il primo contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor “favor” del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva; il secondo costituisce un’eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall’art. 1111 c.c., tutela la destinazione d’uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso cui è stato destinato”.

CASO

Tizio unitamente ai coniugi Caio e Sempronia, affermava di essere unico comproprietario del cortile presente all’interno dello stabile condominiale nel quale risiedeva e rispetto al quale gli altri condomini avrebbero vantato una mera servitù di passaggio.

Lo stesso, infatti, conveniva in giudizio Caio e Sempronia innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere chiedendo che venisse disposta ai sensi dell’art. 785 c.p.c. lo scioglimento della comunione su detto cortile e l’assegnazione del bene a suo favore, ai sensi dell’art. 720 c.c., laddove la divisione in natura non risultasse agevole con conseguente determinazione dei conguagli in denaro.

Si costituivano i comproprietari contestando le domande attoree ed eccependo l’indivisibilità del bene in quanto, essendo utilizzato per differenti attività da parte della compagine condominiale, non poteva essere destinato ad uso esclusivo a favore di un solo comproprietario.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pronunciandosi con sentenza n. 2036 del 2006, rigettava le domande attoree condannando Tizio alla refusione delle spese di lite.

Il giudice delle prime cure, riteneva applicabile al caso concreto in luogo dell’art. 720 c.c., l’art. 1119 c.c, il quale ammette la divisione delle parti comuni in materia di condominio, solo ed in quanto tale attività non renda meno agevole agli altri condomini l’utilizzo delle singole proprietà servite dal bene comune e che vi sia il contestuale assenso di tutti i comunisti alla suindicata attività.

Avverso la sentenza il ricorrente Tizio interponeva appello innanzi la Corte di Appello di Napoli.

Gli appellanti chiedevano a loro volta il rigetto dell’impugnazione avversaria con contestuale conferma della sentenza di primo grado ed in via subordinata, ove la divisione fosse stata possibile, l’attribuzione del bene in loro proprietà esclusiva con determinazione del conguaglio in denaro eventualmente dovuto all’appellante

La Corte di Appello di Napoli con la sentenza n. 3517 del 2014 rigettava il gravame confermando la decisione del giudice delle prime cure.

L’appellante proponeva ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi. Resistevano con controricorso Caio e Sempronia.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4014 del 18 febbraio 2020, integralmente rigettato il ricorso proposto da Tizio, disponeva la correzione della sentenza nella parte in cui concludeva per l’indivisibilità del bene in comunione ai sensi dell’art. 1119 c.c., e non sul disposto dell’art. 1112 c.c.. Condannava il ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore dei controricorrenti Caio e Sempronia.

La Corte di legittimità ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 condannava, altresì, il ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1 bis della norma sopra richiamata, se dovuto.

QUESTIONI

Con il primo motivo il ricorrente denunciava due diversi profili: la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1119, e 1103 c.c., nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto sussistere la presunzione di condominialità ivi applicando gli artt. 1117 e 1119 c.c. e l’omessa ed insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia.

Tizio riteneva inapplicabile al caso di specie l’art. 1119 c.c., come operato dal giudice di appello, configurandosi quale norma speciale applicabile unicamente ai beni condominiali.

Il ricorrente, infatti, escludeva che detto bene rientrasse nella comunione condominiale in base al titolo idoneo ad escludere la presunzione di cui sopra ai sensi dell’art. 1117 c.c.: in particolare il cortile era gravato unicamente da un diritto reale di servitù –di passaggio pedonale e veicolare – a favore degli altri condomini.

In aggiunta il ricorrente rilevava che fosse necessario distinguere tra il concetto di utilità oggettiva del cortile – offrire luce e aria al fabbricato – la quale rimarrebbe invariata in caso di divisione e il concetto di utilizzo soggettivo del bene da parte degli altri condomini che sarebbe “un uso anonimo, inadatto a determinare una destinazione condominiale”.

Con il secondo motivo denunciava ancora due profili: la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1119, 1112 c.c. per aver il giudice di secondo grado negato lo scioglimento della comunione laddove riteneva che tale attività avrebbe privato gli altri condomini dell’utilizzo del cortile secondo i modi convenuti, così limitandone l’uso secondo la sua naturale funzione di fornire aria e luce. In secondo luogo denunciava l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione sui punti decisivi della controversia.

Il ricorrente riteneva che la definizione di “uso” contenuta all’interno dell’art. 1112 c.c., non potesse essere recepita in termini di “sistematica accessorietà della cosa comune rispetto ad altri beni, perché ciò vanificherebbe l’autonomia della norma, appiattendola sul contenuto del 1119 c.c.”.

Invero, ad avviso del ricorrente, l’individuazione del cortile come bene pertinenziale non può costituire un impedimento assoluto alla divisione dal momento che il nesso strumentale va sempre verificato in concreto onde evitare una ingiustificata compressione del diritto del proprietario alla divisione.

Censurava la decisione del giudice delle seconde cure anche nella parte in cui erratamente considerava le attività dei condomini – quali ad esempio passaggio, scarico merci – come “funzione primaria del cortile”, anziché come “mere funzionalità” rispetto alla reale funzione di fornire aria e luce che non possono costituire un impedimento alla citata attività di divisione.

La Corte di Cassazione esaminava congiuntamente i primi due profili dei primi due motivi ritenendo entrambi infondati.

I giudici di legittimità hanno condiviso la censura operata dal ricorrente in ordine alla inapplicabilità dell’art. 1119 c.c. al caso concreto.

Come stabilito dall’art. 1117 c.c., sussiste la presunzione di condominialità rispetto ad un bene a meno che “non risulta il contrario dal titolo”. Tuttavia dall’esclusione di un bene dal novero delle parti comuni in forza di un eventuale titolo idoneo, come nel caso di specie, non discende automaticamente la possibilità di sottoporre il bene in questione a divisione.

Il cortile per cui è lite, infatti, seppur non rientrante nelle parti comuni di cui all’art. 1117 c.c., è comunque sottoposto alla disciplina della comunione prevista dal titolo VII, capo I del Codice civile, in quanto sottoposto ad un regime di comproprietà.

Sul punto si evidenzia che lo scioglimento della comunione è disciplinato dall’art. 1111 c.c. il quale dispone che “ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione”.

Orbene la norma deve essere letta in combinato disposto con l’art. 1112 c.c. la quale prevede che “lo scioglimento della comunione non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinate”. Ne deriva pertanto che l’attività di divisione di un bene in comunione non si perfeziona per effetto della sola domanda proposta innanzi l’autorità giudiziaria, essendo necessario in ogni caso effettuare una valutazione circa gli effetti che la stessa attività potrebbe produrre sulla destinazione d’uso del bene.

Peraltro è interessante evidenziare come “in tema di scioglimento della comunione, la disposizione di cui all’art. 1112 c.c., che stabilisce l’inammissibilità del bene nel caso in cui la sua assegnazione in proprietà esclusiva di uno dei condividendi ne comporti la cessazione dell’uso cui esso è destinato, trova applicazione esclusivamente nel caso in cui allo scioglimento della comunione si pervenga per via giudiziale in quanto, nello scioglimento convenzionale, il potere dei comproprietari di addivenire allo scioglimento e di disporre dei beni implica anche il potere di mutarne l’uso e la destinazione originaria, sicchè la possibilità di divisione del bene non trova altri impedimenti se non quelli derivanti da ragioni fisiche o da vincoli posti da leggi speciali[1]

Segnatamente con riferimento alla destinazione d’uso di un cortile, la giurisprudenza afferma che “tra le destinazioni accessorie del cortile comune, la cui funzione principale è quella di dare aria e luce alle varie unità immobiliari, rientra quella di consentire ai condomini l’accesso a piedi o con veicoli alle loro proprietà, di cui il cortile costituisce un accessorio, nonché la sosta anche temporanea dei veicoli stessi, senza che tale uso possa ritenersi condizionato dall’eventuale più limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato[2]”.

Come correttamente osservato dalla Corte di appello di Napoli, laddove si fosse proceduto alla divisione con attribuzione della proprietà esclusiva al ricorrente, le attività ulteriori rispetto a quelle consentite dalla servitù di passaggio sarebbero divenute impossibili per gli altri compartecipi.

In punto di divisione della cosa comune, la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, ritenuto che detta attività possa essere esclusa dalla “volontà dei comunisti di imprimere al bene una determinata caratteristica d’uso, solo quando siffatta volizione trovi attuazione in una situazione materiale che, venendo meno con la divisione, determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione[3]”.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha rilevato come, nonostante fosse da escludere la natura condominiale del cortile oggetto della lite, lo stesso non potesse comunque essere sottoposto a divisione avuto riguardo alla lettera dell’art. 1112 c.c..

Né è da ritenere condivisibile, il rilievo operato dal ricorrente secondo il quale l’art. 1112 c.c., come applicato dalla Corte di appello perderebbe di significato “appiattendola” sul disposto dell’art. 1119 c.c.. Le norme richiamate, invero, perseguono una diversa tutela ciascuna ispirata alla propria ratio.

Da un lato l’art. 1119 c.c., tutela, rafforzandoli, i diritti dei condomini in ragione del minor favore accordato dal legislatore alla divisione dei beni condominiali – motivo per cui la norma prescrive “la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva”.

Dall’altro l’art. 1112 c.c., tutela la destinazione d’uso del bene e per tale ragione permette anche ad uno solo dei comproprietari di chiedere la divisione, unicamente subordinando la domanda alla valutazione giudiziale che “il bene, anche se diviso manterrà l’idoneità all’uso a cui è stato destinato[4]”.

Sulla censura relativa i secondi profili di entrambi i motivi de quo la Corte di Cassazione si è pronunciata in senso di inammissibilità degli stessi non essendo più possibile contestare – ai sensi della legge n. 134 del 2012 – l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione così come operato dal ricorrente.

Con il terzo motivo il ricorrente censurava due ulteriori profili: la violazione e falsa applicazione degli artt. 1111, 1112, e 720 c.c., nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto di non attribuire il cortile a Tizio in quanto l’attribuzione costituisce una modalità della divisione nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia.

Segnatamente la Corte di appello non riteneva di poter procedere alla attribuzione esclusiva del bene oggetto della lite sul presupposto che le quote di proprietà del cortile fossero uguali e che tutti i comproprietari ne avessero richiesto l’assegnazione esclusiva ancorchè tale richiesta da parte di Caio e Sempronia fosse stata avanzata in via subordinata in appello.

Orbene, in relazione alla richiesta di assegnazione avanzata da Caio e Sempronia, il ricorrente in Cassazione rilevava che: da un lato la stessa costituisse una eccezione nuova essendo stata proposta unicamente in sede di appello; dall’altro, che a fronte della vendita del cortile a Filano (non chiamato in causa né intervenuto in giudizio), l’unico che avrebbe potuto chiedere l’assegnazione ai sensi dell’art. 720 c.c. sarebbe stato quest’ultimo, sicchè l’eccezione doveva considerarsi irricevibile in quanto avanzata da soggetti non legittimati.

La Corte di Cassazione riteneva anche tale profilo dell’ultimo motivo infondato.

Secondo il collegio, infatti, conformandosi al consolidato orientamento, l’eccezione di assegnazione esclusiva rappresenta una modalità di realizzazione della divisione che si atteggia ad una mera specificazione della domanda originariamente proposta: non integrando domanda nuova la stessa non è sottoposta alle ordinarie preclusioni relative ai nova in appello[5]”.

Ne consegue che la richiesta non necessariamente doveva essere avanzata da Filano, quale loro avente causa, in quanto lo stesso giudizio poteva continuare tra le parti originarie.

Con riferimento al secondo profilo censurato con il terzo motivo, la Corte di legittimità ha ribadito le argomentazioni già svolte sulla inammissibilità dello stesso.

[1] Cass. Civ. n. 7274/06.

[2] Cass. Civ. sent. n. 13879/10

[3] Cass. Civ. sent, n. 5261/11.

[4] Cass. Civ. sent. n. 867/12.

[5] Cass. Civ. sent. n. 9689/00.

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