12 Marzo 2024

Offerta non formale ex art. 1220 c.c. ed offerta di pagamento dei canoni dovuti fino alla riconsegna

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. III, Sentenza del 16.2.2023 n. 4949, Presidente R. G. A. Frasca, Estensore E. Scoditti

Massima: “L’offerta di adempiere anche l’obbligazione di pagamento del canone dovuto fino al momento di efficacia del recesso non costituisce requisito di validità dell’offerta non formale di adempimento dell’obbligo di restituzione della cosa locata, posto che alla predetta obbligazione la parte è comunque tenuta per legge e, dunque, è irrilevante che una specifica dichiarazione sia contenuta nell’offerta informale”.

CASO

Tizio proponeva intimazione di sfratto per morosità innanzi al Tribunale di Milano nei confronti delle conduttrici Caia, Sempronia e Mevia, con le quali aveva stipulato un contratto di locazione abitativo di un’unità immobiliare della durata di quattro anni.

All’udienza di convalida il difensore della parte intimata restituiva le chiavi dell’immobile e, disposto il mutamento del rito, la causa veniva riunita al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che Tizio aveva interposto, a causa del mancato pagamento dei canoni da novembre 2009 a febbraio 2010 da parete dei conduttori.

Il Tribunale rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo, dichiarava il contratto cessato in data 15.1.2010 sulla base della missiva inviata dal legale delle conduttrici in data 15.10.2009 con cui si denunciava l’esistenza di vizi dell’immobile e sulla base della facoltà di recesso da comunicare tre mesi prima, condannando le conduttrici al pagamento del canone fino alla data del 31.1.2011 detratto l’importo corrisposto a titolo di deposito cauzionale, con condanna alle spese in favore del locatore nella misura della metà e compensazione della restante parte.

Le conduttrici interponevano appello, che veniva rigettato. Dopo l’impugnazione anche in Cassazione la sentenza di appello veniva “annullata”, prescrivendo al giudice del merito di accertare se l’offerta di restituzione dell’immobile formulata secondo gli usi, fosse in concreto munita dei caratteri tali da produrre l’effetto liberatorio dall’obbligo di pagamento dell’indennità di occupazione.

Riassunto il giudizio dalle appellanti, la Corte d’Appello di Milano accoglieva parzialmente il gravame, annullando la condanna delle appellanti in via solidale al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1591 c.c. e disponendo la restituzione in favore di esse di quanto versato a Tizio in esecuzione della sentenza, e condannando quest’ultimo al pagamento delle spese del pregresso giudizio di appello, del giudizio di cassazione e del giudizio di appello, considerato che sulla questione avente maggior rilievo nell’economia complessiva del giudizio era risultato soccombente l’appellato.

Tizio, conseguentemente, proponeva ricorso per cassazione alla sentenza della corte meneghina affidandosi a cinque motivi.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione accoglieva il quarto motivo di ricorso dichiarando assorbito il quinto e rigettava per il resto cassando la sentenza in relazione al motivo accolto e compensando le spese processuali dei due gradi d’appello e del giudizio di cassazione.

QUESTIONI

Con il primo motivo il ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1206, 1209, 1216, 1220 e 1591 c.c., nonché l’omessa e contraddittoria motivazione. Secondo Tizio, infatti, la motivazione della sentenza impugnata doveva ritenersi illogica giacché il Tribunale aveva attribuito alla missiva del 15.10.2009 esclusivamente la natura di anticipata comunicazione di recesso, e il giudice di seconde cure aveva confuso l’esercizio di recesso con l’immissione in possesso del locatore nella disponibilità dell’immobile. Asseriva, invero, che ai fini della serietà, tempestività e completezza dell’offerta, questa doveva essere completa e non parziale, comprendendo la totalità della somma dovuta ed escludendo così dubbi sulla concreta intenzione della parte di adempiere. Pertanto, la stessa non poteva limitarsi solamente alla restituzione della cauzione ma avrebbe dovuto contenere l’offerta di pagamento dei canoni fino alla scadenza del termine di recesso, senza che fosse necessario instaurare un procedimento monitorio.

Con tale doglianza, quindi, il ricorrente sollevava la questione se ai fini dell’effetto liberatorio, ex art. 1220 c.c., dell’obbligazione del pagamento dell’indennità di occupazione prevista dall’art. 1591 c.c., l’offerta non formale di restituzione dell’immobile locato debba contenere anche l’offerta di pagamento dei canoni dovuti fino al momento dell’effettiva riconsegna.

Premesso che vi era giudicato circa la cessazione del rapporto alla data del 15.1.2010 per il recesso delle conduttrici e circa il diritto del locatore al pagamento dei canoni fino a tale data, la Corte di Milano osservava come con la missiva del 15.10.2009 era stato comunicato, unitamente alla formale risoluzione del contratto di locazione, che l’immobile sarebbe stato riconsegnato entro il 30.10.2009 e comunque secondo le disponibilità del locatore, invitandolo in detta occasione a voler provvedere alla restituzione del deposito cauzionale. Tuttavia, dato l’atteggiamento di rifiuto di Tizio, era stata reiterata la disponibilità alla riconsegna dell’immobile con missiva di data 16.3.2010 e poi del 23.3.2010, cui era seguito lo stesso giorno il rifiuto del locatore, motivato dal fatto di non voler prestare acquiescenza alla risoluzione del contratto. Il giudice di seconde cure, ancora, riteneva come la volontà di recesso di cui alla missiva del 15.10.2009 avrebbe potuto essere apprezzata dal locatore, soprattutto in ragione delle sue qualità professionali di avvocato, cosicché il rilascio avrebbe potuto essere accettato, impregiudicata ogni questione inerente la risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c. e salvo il diritto di pretendere il pagamento dei canoni fino alla scadenza del preavviso dovuto. La Corte aggiungeva che la riconsegna offerta fin dal 15.10.2009 non era mai stata sottoposta dalle conduttrici alla condizione dell’acquiescenza alla risoluzione per vizi dell’immobile e nemmeno alla restituzione della cauzione, circostanze solo contestualmente allegate quali ulteriori richieste. Concludeva il giudice di secondo grado asserendo che l’offerta formulata il 15.10.2009 appariva caratterizzata dalla serietà, concretezza e affidabilità, richiesta per la liberazione dalla obbligazione di pagamento dell’indennità di occupazione, sia per la provenienza qualificata del soggetto che l’aveva trasmessa, per la facoltà rimessa alla controparte di scegliere una data conveniente, nonché per il fatto che non vi fosse neppure la necessità di un preventivo sopralluogo per la verifica delle condizioni del locale giacché l’immobile non era mai stato effettivamente abitato dalle conduttrici.

Orbene, è ormai consolidato in giurisprudenza come l’offerta non formale di riconsegna dell’immobile, illegittimamente rifiutata dal locatore, esclude la mora del conduttore nell’adempimento dell’obbligo di restituzione, ai sensi dell’art. 1220 c.c., giacché essa per tale aspetto è equiparabile all’offerta formale, pur non determinando la mora del creditore ai sensi dell’art. 1206 c.c.. Conseguentemente, l’esclusione della mora del conduttore comporta l’assenza di qualsivoglia obbligo da parte dello stesso di pagare al locatore il corrispettivo convenuto[1].

Pertanto, l’offerta non formale di restituzione dell’immobile locato esclude la mora del conduttore non solo ai fini del risarcimento del danno ma anche circa l’obbligo di corrispondere l’indennità di occupazione, qualora essa abbia i requisiti di serietà e completezza e l’immobile venga effettivamente liberato e non comporti alcun pregiudizio al locatore[2].

Al contrario, invece, qualora il conduttore arrechi gravi danni all’immobile o abbia compiuto sullo stesso delle innovazioni non consentite, tali da rendere necessarie delle opere di ripristino economicamente importanti, in relazione all’economia del contratto e alle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché suddette somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora ai sensi dell’art. 1220 c.c., rimane obbligato anche a corrispondere l’indennità di occupazione anche se abbia smesso di utilizzare l’immobile[3].

Sul punto, pertanto, la Suprema Corte riteneva che distinto l’effetto giuridico previsto dall’art. 1220 c.c., che riguarda il generale obbligo di versamento del corrispettivo oltre il maggior danno, che verrebbe meno con l’offerta di restituzione della cosa locata, dall’obbligazione di pagamento del corrispettivo cui il conduttore è comunque tenuto fino alla restituzione dell’immobile. Quest’ultima obbligazione non è incisa dall’offerta non formale, per cui è perfettamente indifferente che quest’ultima contenga, o non contenga, l’offerta di adempimento cui la parte è comunque tenuta per legge[4].

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1206, 1209, 1216, 1220 e 1591 c.c., nonché omessa e contraddittoria motivazione, nonché ancora violazione dell’art. 28 (ora 48) del codice deontologico forense. Osserva la parte ricorrente che il difensore della parte intimata per la convalida dello sfratto per morosità ha prodotto le missive del 22.3.2010 e del 23.3.2010, relative esclusivamente ad una risoluzione alternativa della controversia, in violazione del codice deontologico, trattandosi di corrispondenza riservata fra i legali, e dunque sulla base di una produzione inammissibile sotto il profilo processuale.

La Corte riteneva il motivo inammissibile in quanto la censura non era inerente all’oggetto della presente controversia.

Con la terza doglianza il ricorrente rilevava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2909 e 1591 c.c., poiché secondo lo stesso nell’atto di riassunzione dalle appellanti erano stati chiesti la limitazione del debito per i canoni fino al 15.10.2010 e, dando atto che i canoni erano stati già pagati fino al gennaio 2010, il rigetto dell’istanza di pagamento di ulteriori canoni, con la restituzione dell’importo versato di Euro 17.050,00 oltre interessi. Osservava, quindi, che il decreto ingiuntivo, emesso per le quattro mensilità da novembre 2009 a febbraio 2010, costituisse giudicato che la decisione impugnata violava.

Nella controversia insorta sul rapporto, autonoma per effetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, era emerso il giudicato interno, secondo quanto accertato dal giudice del merito senza che alcuna impugnazione in merito sia stata sollevata. Il dispositivo, che limitava il diritto di credito del locatore a tale giudicato, non era, pertanto, in violazione del principio di cui all’art. 2909 c.c., in quanto si era configurato un autonomo passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo in modo indipendente dalle vicende della controversia sul rapporto complessivo.

Con il quarto motivo Tizio denunciava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonché l’omessa e contraddittoria motivazione. Osservava, sul punto, come egli fosse stato stato condannato alla rifusione delle spese dei gradi di appello e di cassazione nonostante sia risultato vittorioso sulla domanda di risoluzione del contratto per l’esistenza dei vizi, proposta dalla parte conduttrice, costituente la questione fondamentale introdotta da quest’ultima.

La Corte di Cassazione rilevava come, in effetti, il locatore fosse stato ritenuto soccombente ai fini del regolamento delle spese processuali sulla base non del criterio dell’esito complessivo della lite, ma del criterio, non previsto dalla disciplina processuale, della questione avente maggior rilievo nell’economia complessiva del giudizio. Pertanto, anche se il giudizio d’appello veniva parzialmente accolto, tale decisione non faceva venir meno l’accoglimento parziale dell’originaria domanda di ingiunzione di pagamento dei canoni fino al 15.1.2010, per cui entro tali limiti il locatore non poteva di certo ritenersi soccombente. La decisione risultava, quindi, difforme dal diritto avuto riguardo al criterio dell’esito complessivo della lite. Il dispositivo ha avuto ad oggetto solo i gradi di appello ed il giudizio di cassazione ed in tali limiti era stato oggetto di censura, per cui anche in tali limiti opera la cassazione della decisione.

Con il quinto e ultimo motivo il ricorrente sollevava la violazione e la falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014. Tizio rilevava come la Corte milanese avesse liquidato le spese utilizzando lo scaglione da 5.200 a 25.000, sulla base del valore dichiarato dalla controparte nell’atto di riassunzione, ma per il primo giudizio di appello aveva erroneamente utilizzato lo scaglione superiore da 26.001 a 52.000.

La Suprema Corte dichiarava il motivo assorbito dal precedente.

[1] Cass. civ., Sent. n. 18322/2013.

[2] Cass. civ., Sent. n. 21004/2012.

[3] Cass. civ., Sent. n. 39179/2021.

[4] I giudici di legittimità precisano che il principio della necessaria offerta della totalità della somma dovuta, con gli interessi e le spese liquide, attiene all’offerta di adempimento dell’obbligazione pecuniaria.

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