Domanda di sostituzione del creditore ex art. 511 c.p.c. e cessione del credito
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 20 dicembre 2023, n. 35657 – Pres. De Stefano – Rel. Saija
Domanda di sostituzione ex art. 511 c.p.c. – Assunzione della qualità di parte processuale del creditore istante – Esclusione – Cessione del credito – Inapplicabilità dell’art. 111 c.p.c.
La domanda di sostituzione proposta da un creditore ai sensi dell’art. 511 c.p.c. non costituisce esercizio dell’azione esecutiva nei confronti del debitore esecutato o del creditore sostituito e assume rilievo al momento della distribuzione della somma ricavata dalla vendita del bene pignorato, sicché il creditore subcollocatario non diviene parte in senso proprio del processo esecutivo e, nel caso in cui abbia ceduto il credito in forza del quale era stata svolta la domanda di subcollocazione, non trova applicazione l’art. 111 c.p.c.
CASO
Un istituto di credito interveniva in un’espropriazione immobiliare e, sostenendo che il titolo esecutivo posto a fondamento del ricorso per intervento valesse nei confronti non solo del debitore esecutato, ma anche del creditore procedente, proponeva anche domanda di sostituzione ai sensi dell’art. 511 c.p.c.
Venduti i beni pignorati e predisposto il progetto di distribuzione, il creditore procedente contestava l’attribuzione al creditore subcollocatario delle somme che spettavano a lui, poiché, nelle more, il credito in forza del quale era stata svolta la domanda ex art. 111 c.p.c. era stato ceduto, sicché non sussisteva più la legittimazione sostitutiva.
Il giudice dell’esecuzione rigettava le contestazioni del creditore procedente, il quale impugnava l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 512 c.p.c. con opposizione agli atti esecutivi.
Avverso la sentenza di rigetto del Tribunale di Massa veniva proposto ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la proposizione della domanda di sostituzione ex art. 511 c.p.c. non costituisce esercizio dell’azione esecutiva e non determina l’assunzione della qualità di parte in capo al creditore che l’abbia svolta, con la conseguenza che, qualora il credito posto a fondamento della domanda di subcollocazione sia stato successivamente ceduto, non sussistono le condizioni per l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c.
QUESTIONI
[1] La domanda di sostituzione esecutiva prevista dall’art. 511 c.p.c. consente a un creditore di subentrare a un altro creditore del debitore esecutato – già costituito ovvero intervenuto nel processo esecutivo – nel diritto alla distribuzione della somma ricavata dalla liquidazione dei beni pignorati.
Con la domanda di sostituzione, quindi, il creditor creditoris aspira a partecipare alla ripartizione della massa attiva dell’espropriazione in luogo del creditore sostituito, ossia a vedersi attribuita direttamente la porzione del ricavato che altrimenti spetterebbe a lui.
Sebbene l’istanza di sostituzione debba essere proposta con ricorso, in forza del riferimento che l’art. 511 c.p.c. opera alla domanda di cui all’art. 499 c.p.c., il subentro del creditore istante non configura un intervento e da questo si differenzia per ragioni di ordine sostanziale e processuale.
Come recentemente osservato da Cass. civ., sez. III, 1 agosto 2023, n. 23482, infatti, mediante l’intervento il creditore agisce nei confronti del debitore esecutato e invoca il riconoscimento del proprio diritto di concorrere alla distribuzione del ricavato in forza del titolo esecutivo di cui dispone, mentre con la domanda di sostituzione ex art. 511 c.p.c. il creditore fa valere una pretesa nei confronti di un altro creditore (procedente o intervenuto), suo debitore diretto, chiedendo di subentrare nel diritto al riparto che a questi compete in qualità di creditore dell’esecutato.
Dalla differente configurazione dei due istituti discende che mentre l’intervento presuppone che il creditore disponga di un titolo esecutivo (salvo che ricorra una delle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 499 c.p.c. che consentono di intervenire anche in sua assenza), non altrettanto è a dirsi per chi chieda di subentrare ai sensi dell’art. 511 c.p.c.: è infatti sufficiente, a tale fine, la mera affermazione della titolarità di un diritto di credito nei confronti del creditore che è già parte del processo esecutivo, quand’anche non dotato, al momento della domanda, dei requisiti della certezza, della liquidità e dell’esigibilità, dovendo essi sussistere nella fase della distribuzione, onde consentire al giudice dell’esecuzione di disporre l’attribuzione della somma al creditore subentrato, invece che a quello sostituito.
Nel caso di specie, la domanda di sostituzione era stata presentata da un istituto bancario che, avendo già svolto intervento nel processo esecutivo, mirava a conseguire (anche) il subentro al creditore procedente in virtù del credito scaturente dal medesimo titolo esecutivo vantato contro l’esecutato e ritenuto valevole anche nei suoi confronti: non vi erano dubbi, pertanto, circa la legittimazione alla proposizione dell’istanza ex art. 511 c.p.c., né – d’altro canto – contestazioni sul punto erano state mosse dal creditore sostituito.
Le doglianze di quest’ultimo, infatti, attenevano a un diverso profilo, inerente alla sussistenza e alla persistenza di tale legittimazione sostitutiva nella fase distributiva, dal momento che, nelle more, il credito in forza del quale era stata presentata l’istanza era stato ceduto a una società terza, che non aveva, a propria volta, proposto domanda di sostituzione ex art. 511 c.p.c., né svolto intervento.
Il creditore procedente, quindi, aveva contestato il progetto di distribuzione, che prevedeva l’attribuzione all’istituto bancario, anziché a sé, della parte della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati di sua spettanza (in quanto diretta a soddisfare la pretesa consacrata nel titolo esecutivo dallo stesso azionato e in forza del quale era stato eseguito il pignoramento); tuttavia, sia il giudice dell’esecuzione che il Tribunale di Massa avevano respinto questo assunto, affermando che, in caso di cessione in corso di procedura del diritto del creditor creditoris, trovano applicazione le norme dettate dall’art. 111 c.p.c., in forza delle quali – per quanto qui specificamente interessa – se durante lo svolgimento del giudizio si verifica il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, il processo prosegue tra le parti originarie, ferma restando la facoltà del successore di intervenire o di essere chiamato in causa.
I giudici di legittimità hanno smentito questa impostazione, rilevando che l’attività processuale del creditore che chiede di sostituirsi ex art. 511 c.p.c. non costituisce esercizio dell’azione esecutiva nei confronti del debitore esecutato o del creditore sostituito: la sostituzione, infatti, produce i propri effetti solo nella fase distributiva, non essendovi spazio per il compimento di altre attività (in particolare, di impulso) processuali da parte del creditore subcollocatario, al quale sarà eventualmente consentito soltanto promuovere, in vece del creditore sostituito, contestazioni sul riparto, ovvero a resistere a quelle da altri sollevate.
Per questo motivo, secondo la Corte di cassazione, il creditore subcollocatario non può essere considerato parte in senso proprio del processo esecutivo, con la conseguenza che non vi è spazio per l’operatività della regola di cui all’art. 111 c.p.c., per quanto la giurisprudenza lo reputi di per sé applicabile anche al processo esecutivo.
Si tratta di un rilievo di non poco conto, da tenere in considerazione anche ai fini di valutare l’opportunità di proporre la domanda di sostituzione, ovvero il momento in cui svolgerla: qualora, per esempio, l’ingresso nel processo esecutivo del creditore subcollocatario avvenisse quando l’espropriazione versi in una fase – quale quella antecedente all’emissione dell’ordinanza di vendita – in cui sono ancora necessari atti di impulso e veda la partecipazione del solo creditore procedente, quest’ultimo potrebbe essere indotto ad astenersi dal compierle, consapevole del fatto che, in sede di distribuzione del ricavato, quanto di sua spettanza sarebbe tutto o quantomeno in parte (a seconda dell’entità del credito posto a fondamento dell’istanza di sostituzione) attribuito al subcollocatario, senza che questi possa eventualmente sopperire a tale inerzia, visto che la domanda ex art. 511 c.p.c. non presuppone la disponibilità di un titolo esecutivo nei confronti dell’esecutato.
Nella fattispecie esaminata, peraltro, il creditore subcollocatario era già parte, essendo in precedenza intervenuto nell’espropriazione immobiliare per soddisfare il credito vantato nei confronti dell’esecutato; tuttavia, secondo quanto stabilito dai giudici di legittimità, ciò non significava che potesse essergli attribuita analoga veste con riguardo al (diverso) credito – vantato nei confronti del creditore procedente – su cui si fondava l’istanza ex art. 511 c.p.c. e che era stato successivamente ceduto, dovendosi dunque escludere la sussistenza del presupposto applicativo dell’art. 111 c.p.c.
A seguito di tale cessione, la domanda di sostituzione doveva essere respinta in sede di distribuzione, perché il credito che la legittimava non faceva più capo all’istante.
Al limite, il cessionario avrebbe dovuto, a propria volta, proporre autonoma domanda ai sensi dell’art. 511 c.p.c., ma prima che avesse inizio l’udienza di approvazione del progetto di distribuzione.
Con la già menzionata pronuncia di Cass. civ., sez. III, 1 agosto 2023, n. 23482, infatti, è stato precisato che, non essendo ammissibile ipotizzare che l’istanza di sostituzione possa proporsi fino a quando non sia stata pronunciata l’ordinanza di approvazione del progetto di distribuzione, la necessità di addivenire alla celere definizione della fase distributiva impone di collocare il termine ultimo per la sua presentazione, analogamente a quanto previsto per il ricorso per intervento dei creditori, in corrispondenza dell’udienza prevista dall’art. 596 c.p.c., ovvero prima del suo inizio (nella data e nell’ora fissate, ancorché venga disposto, in esito alla stessa – e in quanto si sia ivi svolta un’attività di trattazione effettiva – un rinvio per la prosecuzione), onde consentire, prima che venga dato corso alle attività deputate a svolgervisi, la compiuta definizione della platea dei creditori concorrenti al riparto.
In difetto di tali condizioni, non vi era ragione di escludere il creditore procedente dal piano di riparto: la sua opposizione era quindi fondata e, in riforma della sentenza impugnata, è stata accolta dalla Corte di cassazione, con rinvio al giudice dell’esecuzione affinché, facendo applicazione degli enunciati principi, procedesse a una nuova distribuzione.
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