27 Febbraio 2024

Rinuncia ad uno dei capi di domanda originariamente proposti in sede di memoria di replica nel giudizio d’appello e questione di giurisdizione

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., 7 febbraio 2024, n. 3453 Pres. D’Ascola – Rel. Nazzicone

Procedimento civile – Appello – Comparse conclusionali e memorie di replica – Rinuncia ad una delle domande originariamente proposte – Ammissibilità – Effetti sulla giurisdizione (c.p.c. artt. 5, 190; Reg. (CE) n. 6/2002 artt. 81, 82; Reg. (UE) n. 1215/2012 art. 7)

[1] La rinuncia ad uno dei capi di domanda originariamente proposti può intervenire anche in sede di comparsa conclusionale o memoria di replica, così in primo grado come in appello, e non le è d’ostacolo il fatto che la conseguente ridefinizione del thema decidendum possa influenzare la questione di giurisdizione, dovendosi riconoscere al giudice il potere di rimettere la causa sul ruolo al fine di provocare il contraddittorio sul punto (massima non ufficiale).

CASO

[1] Tratteggiata nei suoi lineamenti essenziali, la vicenda giudiziale culminata nella sentenza in epigrafe può ricostruirsi come segue.

Una società italiana conveniva dinanzi al Tribunale di Torino una società di diritto tedesco con domanda di accertamento negativo della contraffazione del modello comunitario per vaschette di alluminio usa e getta di cui la società convenuta era titolare e annessa domanda di accertamento negativo di proprie condotte di concorrenza sleale a carattere confusorio a danno della convenuta medesima. Il tribunale adito respingeva entrambe le domande proposte per difetto di giurisdizione, in ciò facendo puntuale applicazione dell’insegnamento impartito dalla Corte di Giustizia UE con sentenza del 13 luglio 2017, in causa C-433/16, che, con riguardo ad analoga ipotesi di cumulo di domande, aveva stabilito che l’intera controversia andasse devoluta al giudice della causa pregiudiziale di accertamento negativo della contraffazione, individuato dall’art. 82 del Reg. (CE) n. 6/2002, nel giudice dello Stato membro in cui il convenuto abbia il proprio domicilio: onde, per venire alla fattispecie in rassegna, l’appartenenza delle esperite domande alla giurisdizione del Tribunale germanico dei disegni e modelli comunitari.

Non differente esito registrava il giudizio di secondo grado promosso presso la Corte d’appello del capoluogo sabaudo, avverso la cui pronuncia, confermativa della carenza di giurisdizione del giudice italiano, la società risultata soccombente nella fase di merito proponeva ricorso in cassazione, deducendo alcune circostanze sopravvenute in corrispondenza al segmento decisorio del giudizio di seconde cure – e precisamente, da un lato, la rinuncia alla domanda di accertamento negativo della contraffazione, intervenuta a livello della memoria di replica ex art. 190 c.p.c. di detto giudizio, e, dall’altro, la declaratoria di nullità, ad opera della Commissione ricorsi dell’EUIPO, del modello comunitario in questione, quale evento idoneo a determinare, con riguardo alla relativa domanda di accertamento negativo della contraffazione, la carenza di interesse ad agire e la conseguente cessazione della materia del contendere – per effetto delle quali, a campeggiare sulla scena, sarebbe rimasta la sola domanda di accertamento negativo delle condotte di concorrenza sleale, come tale ricadente entro il perimetro applicativo dell’art. 7.2 del Reg. (UE) n. 1215/2012 e, su questa base, appartenente alla competenza giurisdizionale dei giudici italiani.

Investita del ricorso, la Prima Sezione civile della Suprema Corte ne ha disposto la rimessione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione, di poi effettivamente avvenuta, alle Sezioni Unite a norma dell’art. 374, 3° co., c.p.c., e questo affinché le stesse risolvessero la questione se la rinuncia a una delle domande originariamente cumulate o altra circostanza (come la declaratoria di nullità del modello comunitario in discussione) sopravvenuta nel termine per le repliche conclusionali in appello o successivamente possa o meno assumere rilievo al fine di radicare in capo al giudice italiano la giurisdizione dianzi mancante, siccome operazione implicante una nuova prospettazione del thema decidendum e la conseguente mobilitazione di una disciplina eurounitaria di riparto della giurisdizione diversa da quella in precedenza dibattuta e, come tale, «necessitante del previo contraddittorio tra le parti» (così l’ordinanza interlocutoria 26 giugno 2023, n. 18202).

SOLUZIONE

[1] Al pari di quanto opinato dalla Prima Sezione all’atto dell’ordinanza interlocutoria, anche le Sezioni Unite hanno preso l’abbrivio, nel loro ragionamento, dalla premessa per cui la rinuncia a capi di domanda o eccezioni in precedenza formulati/e deve sempre reputarsi ammissibile nell’àmbito delle comparse conclusionali o delle successive memorie di replica (così Cass., 26 giugno 2015, n. 13203, in motiv.; Cass., 15 aprile 2014, n. 8737; Cass., 17 dicembre 2013, n. 28146, in motiv.; Cass., 25 agosto 1997, n. 7977, tutte , puntualmente richiamate nella decisione in commento, in una ad altri e più risalenti riscontri), dal momento che la vocazione tipicamente illustrativa di quelle scritture è d’ostacolo esclusivamente all’introduzione, per loro tramite, di elementi di novità nel dibattito giudiziale, laddove detta rinuncia non apporta, per definizione, elementi di novità ma implica semplicemente  una restrizione del thema decidendum rispetto a quello originariamente fissato. Ma il problema, come detto, era un altro e, precisamente, se una siffatta rinuncia “in zona Cesarini” possa rilevare anche agli effetti della soluzione da offrirsi alla questione di giurisdizione allorché il così ridefinito thema decidendum richieda, come avvenuto nella fattispecie in esame, di affrontare la questione su basi diverse da quelle precedentemente fissate.

A tale interrogativo il Supremo Consesso non ha avuto esitazioni nel rispondere affermativamente. Quello operato in occasione delle scritture che scandiscono la fase decisoria del procedimento ordinario, ha detto la Corte, rappresenta «un caso eccezionale di modifica» delle richieste di parte; e proprio perché rappresenta un caso eccezionale, «il giudice potrà provvedere, se ritenga rilevante la modifica ai fini delle difese, alla rimessione della causa sul ruolo al fine di estendere la discussione alla situazione creatasi a domanda o capi di domanda rinunciati». Insomma, dove la restrizione del thema decidendum compiuta all’atto delle scritture conclusionali imponga alla controparte una rimodulazione delle proprie difese, deve essere dato al giudice di restituire la causa alla precedente fase di trattazione al fine di permettere quella rimodulazione e lo svolgimento della conseguente dialettica di parte. La conclusione è, pertanto, che «il bilanciamento tra il principio dispositivo, che rende la parte sovrana delle sue scelte difensive e delle domande poste al giudice, e gli effetti che esso produce per tutte le parti del giudizio è stato risolto dal legislatore mediante la prevalenza del primo»: ma questo è potuto avvenire perché il sistema contempla «le modalità procedurali per assicurare […] il pieno rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa di tutte le parti in giudizio».

La capacità riconosciuta alle circostanze sopravvenute nelle battute conclusive del procedimento d’appello (rectius, riconosciuta alla sopravvenuta rinuncia alla domanda di accertamento negativo della contraffazione, dal momento che sull’altra circostanza sopravvenuta, ossia sulla decretata nullità del modello comunitario asseritamente non contraffatto, la Corte non si è pronunciata, avendo dichiarato assorbito il motivo di ricorso all’uopo proposto) di ribaltare le sorti del giudizio preliminare sulla giurisdizione ha presupposto quella corrente lettura dell’art. 5 c.p.c., a tenore della quale la regola di irrilevanza delle sopravvenienze ivi consacrata non sarebbe operante allorché il mutamento dello stato di fatto o di diritto che si sia prodotto lite pendente valga ad investire il giudice di quella competenza o giurisdizione di cui fosse privo al momento di proposizione della domanda: lettura ribadita, nell’occasione, dalle Sezioni unite (sulla stessa linea di altri precedenti dello stesso collegio, per i quali si rinvia alla sentenza in rassegna; in dottrina cfr., tra i più recenti riscontri, G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, 6a ed., I, Bari, 2023, 150; S. Menchini, Diritto processuale civile, I, Torino, 2023, 150; E. Merlin, Elementi di diritto processuale civile, I, Torino, 2022, 158 s.), in accoglimento di apposita doglianza del ricorrente.

Sulla scorta di tutto quanto precede, inevitabile è stata la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa, ai sensi dell’oggi abrogato (ma ratione temporis applicabile) art. 353 c.p.c., al giudice di prime cure: sui contenuti di questo rinvio, si veda al § successivo.

QUESTIONI

1] Se, come affermato nell’ordinanza interlocutoria n. 18202/2023, sulla questione rimessa al vaglio delle Sezioni unite, non constavano precedenti, non v’è motivo per procedere in questa sede, come, per contro, solitamente avviene, alla ricostruzione, per quanto sintetica, dello status quaestionis. Premessa un’adesione di fondo alla posizione espressa al riguardo dalla Suprema Corte nella sua più autorevole composizione, v’è motivo, semmai, per un brevissimo appunto a margine della medesima.

Ed invero, pare a chi scrive che, se è giusto che il giudice possa rimettere le parti in istruttoria a fronte della ridefinizione del thema decidendum che sia intervenuta, in senso giocoforza restrittivo, con una delle scritture attraverso cui si snoda la fase decisoria del procedimento, bene avrebbero fatto le Sezioni unite a precisare che il giudice ha il dovere di motivare le sue scelte al riguardo, segnatamente l’eventuale scelta di non esercitare quel potere, ritenendo insussistenti, nel caso concreto, le ragioni per la riapertura del contraddittorio tra le parti.

Esattamente, guarda caso, quello che si sarebbe dovuto fare, e non s’è fatto, nella vicenda qui esaminata. Dove lecito sarebbe stato attendersi che le Sezioni unite, disposta la cassazione della sentenza d’appello, rinviassero la causa al giudice di merito ai fini di una rinnovata discussione tra le parti sulla giurisdizione relativa all’unica domanda rimasta in campo – vale a dire quella di accertamento negativo delle condotte di concorrenza sleale -, valutata nella sua nuova veste di domanda autonoma e non più, come prima, meramente accessoria rispetto ad altra in base alla quale la giurisdizione andava determinata. Mentre, se cassazione con rinvio effettivamente v’è stata, questa, però, è avvenuta direttamente in funzione della decisione di merito su quella domanda, avendo ritenuto, le Sezioni unite, di poter proclamare l’appartenenza della domanda alla giurisdizione italiana senza bisogno di sollecitare un previo dibattito tra le parti; e senza, va aggiunto, spiegare i motivi per cui quel bisogno non sarebbe stato, nella fattispecie, avvertito.

Quanto alla devoluzione di detta domanda al giudice italiano, questa è stata ricavata dalla stessa norma invocata a tal fine dal ricorrente, ossia il già richiamato art.7.2 Reg (UE) n. 1215/2012, all’esito, va detto, di un percorso argomentativo che qui non occorre ripercorrere in quanto esulante dall’ufficio nomofilattico che le Sezioni unite sono state, nell’occasione, chiamate ad espletare.

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