Art. 1957 c.c.: alcune questioni operative
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFA norma dell’art. 1957 c.c., il termine di decadenza per l’azione del creditore nei confronti del fideiussore è fissato in 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita ovvero 2 mesi se «il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale».
La recente Cass. n. 2607/2024 ha confermato che la decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, sancita dall’art. 1957 c.c. per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, per il garante, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore (Cass. n. 28943/2017; in senso sostanzialmente conforme Cass. n. 21867/2013 e Cass. n. 9245/2007).
Le parti possono dunque convenzionalmente escludere la decadenza del creditore dalla garanzia prevista dall’art. 1957 c.c., ma, quando il garante rivesta la qualità di consumatore, la conclusione di tale accordo derogatorio deve necessariamente essere perfezionata nel rispetto delle forme di tutela non più formali ma sostanziali richieste dal Codice del Consumo (Dlgs. n. 206/2005), con onere per il professionista di provare che le clausole unilateralmente predisposte siano state oggetto di trattativa individuale ex art. 34, comma 5, non essendo sufficiente la specifica approvazione per iscritto prevista dalla disciplina codicistica (art. 1341, comma 2, c.c.) (Cass. n. 27558/2023; Trib. Milano, 12.7.2019, n. 6991; App. Firenze 30.5.2022, n. 1091; Trib. Firenze 4.10.2023).
La clausola della fideiussione che stabilisce espressamente la solidarietà tra garante e debitore principale non può essere interpretata come un’implicita deroga alla disciplina dell’art. 1957 c.c., poiché l’esplicita esclusione del “beneficium excussionis” non è incompatibile con la liberazione del fideiussore per il caso in cui il creditore non agisca contro il debitore principale nel termine di sei mesi dalla scadenza della obbligazione (Cass. n. 9862/2020).
La decadenza del creditore dalla fideiussione, per non aver proposto tempestivamente, ai sensi dell’art. 1957 c.c., contro il debitore le sue “istanze” (da intendersi come i vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione), non opera in presenza di un impedimento giuridico ostativo alla realizzazione della pretesa verso il debitore principale, come la circostanza che il debitore abbia presentato domanda di concordato preventivo o sia dichiarato fallito, poiché l’impossibilità di esperire qualsiasi azione nei confronti di quest’ultimo, quando risulti evidente e giuridicamente inseparabile, non può in alcun modo integrare gli estremi della negligenza del creditore e, per l’effetto, considerarsi causa efficiente dell’estinzione della garanzia. In particolare, al creditore né in sede di concordato preventivo, né in quella della successiva procedura fallimentare è concessa altra possibilità se non quella dell’agire per il mero riconoscimento del credito in sede concordataria e di instare per l’ammissione al passivo (Cass. n. 2532/2005; Cass. n. 2607/2024).
Nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza dell’obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, l’azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c. (Cass. n. 2607/2024;Cass. n. 16836 del 2015).
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