16 Gennaio 2024

Fondo patrimoniale: legittime le modifiche che inseriscono una clausola di alienazione dei beni anche senza il benestare del giudice

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cassazione civile sez. I, 22/11/2023, n.32484 (GENOVESE– Presidente – IOFRIDA– Relatore)

(Articoli art. 167 cod. civ.)

Massima: “È possibile stipulare un patto contrario a quello stabilito nella fase costitutiva del rapporto da fondo patrimoniale con il limite di non poter assumere decisioni negoziali in contrasto con l’interesse della famiglia e per il bene della famiglia, in quanto ogni scelta negoziale per essere legittima deve essere coerente con gli interessi della famiglia (nella specie, la Corte ha ritenuto legittime le modifiche dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, pur in assenza di autorizzazione giudiziale, per inserire la clausola che ammette l’alienazione o la sottoposizione a pegno o ipoteca dei beni del fondo senza decreto autorizzativo del tribunale). ”

Fonte:

Diritto & Giustizia 2023, 23 novembre

CASO

Il caso dell’ordinanza in esame riguarda una disputa legale tra due coniugi e le banche Credito Padano Banca di Credito Cooperativo e Credito Bergamasco, ora unite in Banco BPM spa. La questione verte sulla validità di un atto di modifica di un fondo patrimoniale con cui si era prevista la facoltà di concedere ipoteca su un immobile compreso nel fondo, senza necessità dell’autorizzazione giudiziale prevista dall’art. 169 c.c., pur in presenza di figli minori, e della successiva iscrizione di ipoteca al fine di ottenere un finanziamento e risanare una società di proprietà dei coniugi, in seguito dichiarata fallita. La Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado del tribunale di Cremona, respingendo la richiesta dei coniugi di pronunciare la nullità e/o l’annullamento e/o l’inefficacia della modifica del fondo patrimoniale. I giudici hanno rilevato che la modifica dell’atto di costituzione del fondo è stata fatta per ottenere un nuovo finanziamento da parte delle banche così da eliminare l’esposizione debitoria della società “unica o prevalente fonte di sostentamento della famiglia”, rispondeva all’interesse della famiglia, strettamente legato al risanamento dell’attività commerciale; e che “ le parti possono sin dall’atto costitutivo derogare a quanto stabilito dall’art. 169 c.c., lo possono legittimamente fare anche successivamente, apportando modifiche alla convenzione, senza necessità di autorizzazione del giudice tutelare.”

Il ricorso in Cassazione presentato da uno dei coniugi si basa su un unico motivo.

SOLUZIONE

Il motivo del ricorso consiste nella “la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 169 c.c., per avere la Corte d’appello erroneamente interpretato il precedente di questo giudice di legittimità n. 13622/2010, ritenendo similare la fattispecie a quella in esame nella quale, invece, poiché la costituzione del fondo patrimoniale non prevedeva alcuna deroga all’intervento autorizzativo del giudice in caso di atti dispositivi sul beni del fondo in presenza di figli minori, la modifica della regolamentazione del fondo, strettamente correlata all’ottenimento del finanziamento da parte delle banche ed alla iscrizione dell’ipoteca sull’unico bene del fondo, intervenuta dopo la costituzione del fondo, doveva essere autorizzata dal giudice.”

La Corte Suprema afferma che la costituzione del fondo patrimoniale (art. 167 c.c.), effettuata attraverso la libera scelta delle parti, determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, compresi quelli dei figli. La finalità dell’istituto è garantire un sostegno patrimoniale alla famiglia, creando una situazione di vantaggio per tutti i suoi componenti.

Le Sezioni Unite[1] hanno chiarito che la costituzione del fondo patrimoniale, inclusa tra le convenzioni matrimoniali, è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c. riguardo alle forme delle convenzioni stesse. Si tratta di un accordo negoziale di autoregolamentazione degli interessi familiari, con l’applicazione delle norme degli artt. 162 (forma delle convenzioni matrimoniali) e 163 (modifica delle convenzioni matrimoniali) c.c.

L’art. 169 c.c. stabilisce che, se non espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare o vincolare i beni del fondo patrimoniale senza il consenso di entrambi i coniugi e, se ci sono figli minori, con l’autorizzazione del giudice solo nei casi di necessità od utilità evidente.

La Corte, in un precedente richiamato nella sentenza impugnata[2], ha affermato che i beni del fondo patrimoniale non possono essere oggetto di iscrizione di ipoteca ad opera di terzi, indipendentemente dalle clausole inserite nell’atto di costituzione che contrastino con l’art. 169 c.c. Tuttavia, se i coniugi assumono obbligazioni nell’interesse della famiglia e non le adempiono, il creditore può iscrivere un’ipoteca sui beni del fondo patrimoniale.

La Corte ha chiarito che la limitazione alla libera commercializzazione dei beni del fondo serve a garantirne la destinazione ai bisogni familiari, senza stabilire un vincolo assoluto di indisponibilità. Anche con clausole derogatorie, resta l’obbligo di atti “nei soli casi di necessità od utilità evidente”, come stabilito dall’art. 170 c.c.

Con la sentenza n. 22069/2019, si è ribadito che la preventiva autorizzazione del giudice all’atto di disposizione, indicata nell’art. 169 c.c., è applicabile solo in assenza di espressa pattuizione in deroga contenuta nell’atto di costituzione del fondo.

La natura di convenzione matrimoniale del fondo patrimoniale consente la stipula di patti contrari a quelli della fase costitutiva, purché coerenti con gli interessi della famiglia. Nell’atto di modifica in questione, si è introdotta una deroga all’art. 169 c.c., giustificata dalla necessità di tutelare gli interessi patrimoniali familiari da azioni di creditori preesistenti, ampliando le potenzialità di credito per sostenere l’attività di sostentamento della famiglia.

La Corte d’Appello ha valutato che l’operazione era nell’interesse della famiglia, legato al risanamento dell’attività commerciale, confermando la coerenza con l’interpretazione dell’art. 169 c.c. senza vizi. La sentenza si conclude respingendo il ricorso.

QUESTIONI

L’ordinanza in esame ha aperto nuove prospettive in merito alla gestione del fondo patrimoniale, discostandosi dalle pratiche precedenti, che richiedevano l’autorizzazione giudiziaria come delineato nell’art. 169 del Codice civile. Secondo tale articolo, senza l’esplicito consenso nell’atto di costituzione, non è possibile alienare, ipotecare, dare in pegno o vincolare i beni del fondo patrimoniale senza il consenso di entrambi i coniugi e, in presenza di figli minori, senza l’autorizzazione del giudice.

La Corte di Legittimità, partendo dall’analisi dell’art. 167 c.c., che regola l’istituzione del fondo patrimoniale, ha rilevato che la costituzione di tale fondo è considerata tra le convenzioni matrimoniali e, quindi, soggetta alle disposizioni degli artt. 162 e 163 c.c., ciò che implica una certa libertà negoziale, permettendo di “stipulare un patto contrario” a quello stabilito inizialmente, a patto che le decisioni siano coerenti con gli interessi della famiglia: se l’operazione viene compiuta nell’interesse della famiglia è conforme alla ratio dell’art. 169 c.c.

Con questa interpretazione la Suprema Corte amplia le possibilità di gestione del fondo patrimoniale, offrendo maggior flessibilità alle famiglie nel loro assetto patrimoniale.

Il fondo patrimoniale consiste in un vincolo di destinazione ai bisogni della famiglia di uno o più determinati beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito nominativi. Tali beni vengono a costituire un patrimonio separato, soggetto a proprie regole per quanto riguarda l’amministrazione e soggetto a vincoli per ciò che riguarda l’alienazione e la possibilità di essere aggredito da terzi.

Il fondo patrimoniale può essere costituito da uno o entrambi i coniugi ma deve rivestire la forma solenne (atto pubblico). Può anche essere costituito per testamento. La costituzione del fondo patrimoniale determina la destinazione di determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, ai bisogni della famiglia. Se nel fondo vengono inclusi titoli di credito, questi devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo. È anche ammissibile la costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo: in questo caso, però, la convenzione si perfeziona con l’accettazione dei coniugi che può anche essere fatta con atto pubblico posteriore. La costituzione, peraltro, può essere fatta anche durante il matrimonio. Se riguarda beni immobili deve essere trascritto nei registri immobiliari.[3]

Per quanto riguarda la fondamentale nozione di bisogni della famiglia, attorno alla quale, ruota l’intera disciplina del fondo patrimoniale, può dirsi che, secondo le interpretazioni più recenti, essa comprende tutte le esigenze volte al mantenimento ed allo sviluppo armonico del nucleo familiare, nonché al potenziamento della capacità lavorativa dei suoi membri[4] , con esclusione delle esigenze di natura meramente voluttuaria e speculative [5], a meno che queste ultime siano state poste in essere al solo fine di evitare un danno sicuro per la famiglia medesima[6]

Se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e se vi sono figli minori con l’autorizzazione concessa dal giudice nei soli casi di necessità o utilità evidente.

In materia di fondo patrimoniale, i beni costituiti nel fondo, non potendo essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni familiari non possono costituire oggetto di iscrizione di ipoteca ad opera di terzi, qualunque sia la clausola inserita nell’atto di costituzione.

La ratio consiste nel porre una limitazione alla libera commercializzazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale, per assicurare che gli stessi restino a garanzia del soddisfacimento delle esigenze familiari, senza stabilire peraltro un vincolo di indisponibilità assoluta che potrebbe essere controproducente per gli interessi della famiglia, ove questa si trovasse nella necessità di liquidare alcuni beni del fondo per le proprie esigenze, ovvero qualora la liquidazione si rivelasse particolarmente proficua e vantaggiosa.

Ad ogni modo è vietata l’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo se non è correlata a debiti contratti per i bisogni della famiglia, con esclusione di quelli che il creditore sapeva estranei a detti scopi.

Infatti, nel caso in cui i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell’interesse della famiglia, qualora risultino inadempienti alle stesse, il creditore può procedere all’iscrizione dell’ipoteca sui beni costituiti nel fondo, attesa la funzione di garanzia che essi assolvono, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari.

In questo senso, l’iscrizione ipotecaria sui beni confluiti nel fondo è ammissibile solo se prodromica ad una esecuzione sui beni in questione, in virtù di un credito acquisito per soddisfare i bisogni della famiglia del debitore.

Non possono invece essere raggiunti da ipoteca da parte di terzi i beni che ricadono nel fondo patrimoniale.

Il fondo patrimoniale è gestito da entrambi i coniugi congiuntamente per gli atti di straordinaria amministrazione, anche disgiuntamente per quelli di ordinaria amministrazione. I frutti spettano a entrambi i coniugi e devono essere destinati ai bisogni della famiglia.

Il fondo patrimoniale non costituisce una deroga agli ordinari regimi matrimoniali della comunione (art. 177 c.c.) o della separazione (art. 215 c.c.) di beni, ma a questi si affianca, ed è, in ogni caso, soggetto alle forme di pubblicità delle convenzioni matrimoniali.

[1] Cass. n. 21658/2009 e Cass. n. 8824/1987.

[2] Cass. n. 13622/2010.

[3] T. AULETTA, Il fondo patrimoniale. Artt. 167-171, in Commentario, Artt. 167-171, in Cod. civ. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992.

[4] Cass., sez. I, 3 marzo 2003 n. 11230, in Notariato, 2004, 155; Cass., sez. I, 18 settembre 2001 n. 11683, in Giust. civ., 2002, 1950; e già Cass., sez. III, 7 gennaio 1984 n. 134, ivi, 1984, 663. In dottrina cfr. F. SantoroPassarelli, Poteri e responsabilità patrimoniali dei coniugi per i bisogni della famiglia, in Diritto di famiglia, in Raccolta di scritti in onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, 426; T. Auletta, op. ult. cit., spec. 192-196.

[5] F. Carresi, Del fondo patrimoniale, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, III, Padova, 1992, 345.

[6]  Cass., sez. trib., 7 luglio 2009 n. 15862, in Giust. civ., 2010, 2845.

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