Il debitore che interferisce illecitamente nelle operazioni di vendita non è legittimato a chiederne la sospensione
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 21 agosto 2023, n. 24913 – Pres. De Stefano – Rel. Saija
Espropriazione immobiliare – Vendita – Potere di sospensione ex art. 586 c.p.c. – Sollecitazione – Condizioni e limiti
Massima: “Il potere del giudice dell’esecuzione di revocare l’aggiudicazione, una volta che egli abbia avuto contezza di fatti delittuosi che abbiano illecitamente interferito nella determinazione del giusto prezzo di vendita, tali da alterarne l’esito, non è utilmente suscettibile di sollecitazione da parte di chi quei fatti ha compiuto”.
CASO
Avvenuta l’aggiudicazione dell’immobile pignorato, il debitore esecutato proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c. sia avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva disatteso la richiesta di sospendere la vendita ai sensi dell’art. 586 c.p.c., sia avverso il decreto di trasferimento conseguentemente emesso, sostenendo che la gara fosse stata influenzata dalla commissione di fatti costituenti reato (turbata libertà degli incanti).
Il Tribunale di Ragusa rigettava le opposizioni, evidenziando che i presunti fatti perturbatori fossero imputabili allo stesso esecutato, che aveva lamentato la violazione dell’accordo concluso con il soggetto intenzionato a presentare un’offerta d’acquisto, in forza del quale lo stesso si era impegnato a non proporla dietro il riconoscimento di un corrispettivo: infatti, mentre il primo esperimento di vendita era andato deserto, l’offerta era stata presentata in vista di quello successivo, al cui esito l’immobile era stato aggiudicato a un prezzo inferiore, nel che, secondo l’opponente, si sarebbe dovuta ravvisare l’alterazione della formazione del giusto prezzo.
L’opposizione avverso il decreto di trasferimento, invece, veniva considerata inammissibile in quanto tardiva, giacché proposta dopo che erano decorsi venti giorni dalla pubblicazione del provvedimento nel fascicolo informatico del processo esecutivo (cui il legale del debitore aveva accesso, in quanto costituito), non assumendo rilievo, al fine di individuare il dies a quo del termine perentorio fissato dall’art. 617 c.p.c., la data in cui la cancelleria ne aveva effettuato la comunicazione.
La sentenza era gravata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che chi ha compiuto atti idonei a invalidare il procedimento di vendita, ovvero a influenzare la formazione del giusto prezzo, non può invocare la sospensione della vendita e la revoca dell’aggiudicazione ai sensi dell’art. 586 c.p.c., dal momento che ciò consentirebbe di piegare il potere attribuito al giudice dell’esecuzione a tattiche strumentali e al perseguimento di finalità vietate dall’ordinamento.
QUESTIONI
[1] L’art. 586 c.p.c. prevede un eccezionale potere del giudice dell’esecuzione di sospendere la vendita, una volta avvenuta l’aggiudicazione ed effettuato il versamento del saldo prezzo.
Secondo la puntuale ricostruzione operata da Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18451, tale potere può essere esercitato quando il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto (non essendo necessariamente tale quello che non coincide con il valore di mercato del bene) e:
- si verifichino fatti nuovi successivi all’aggiudicazione;
- emerga che nel procedimento di vendita si sono verificate irregolarità – se non addirittura vere e proprie interferenze illecite di tipo criminale – che abbiano condotto alla realizzazione di un prezzo non corrispondente a quello che si sarebbe conseguito se la sequenza procedimentale avesse avuto corso regolare;
- il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione;
- vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del giudice dell’esecuzione.
Nell’ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha precisato che la previsione della necessità di denunciare prima dell’aggiudicazione circostanze fattuali alla stessa preesistenti di cui la sola parte istante sia a conoscenza è funzionale a evitare che questa possa arbitrariamente decidere se e quando avvalersi dell’informazione di cui è in possesso allo scopo di determinare l’arresto del subprocedimento di vendita, a seconda della propria personale convenienza, finendo con l’influenzarne gli esiti, ovvero strumentalizzandoli.
In altre parole, la parte che sia a conoscenza di fatti potenzialmente idonei a incidere sulla corretta formazione del prezzo di vendita è tenuta a renderli noti e a farli emergere immediatamente, ossia prima dell’aggiudicazione, se preesistenti alla stessa; nel contempo, le altre parti interessate, che non fossero precedentemente a conoscenza di tali circostanze, sono legittimate ad avvalersene e a farle proprie anche ad aggiudicazione avvenuta, venendo sostanzialmente rimesse in termini, a condizione però che manifestino in maniera inequivocabile il loro interesse alla revoca dell’aggiudicazione.
Nella fattispecie esaminata, non venivano in considerazione elementi perturbatori inerenti a qualità intrinseche del bene venduto (quali vizi, difformità, mancanza di qualità indicate nell’avviso di vendita) preesistenti all’aggiudicazione, ma fatti delittuosi commessi proprio nel corso del procedimento che aveva condotto a essa; circostanze che, secondo la ricostruzione operata dalla giurisprudenza, integrano un’autonoma e distinta causa di sospensione ex art. 586 c.p.c.
Più precisamente, la società che si era aggiudicata l’immobile, in virtù di un accordo intervenuto tra il suo legale rappresentante e l’esecutato, si era astenuta dal presentare la propria offerta in occasione del primo esperimento di vendita, che era quindi andato deserto, per poi presentarla in vista di quello successivo, fruendo della conseguente riduzione del prezzo e aggiudicandoselo così a un prezzo inferiore.
Questi fatti integrano indubbiamente motivo di revoca dell’aggiudicazione ai sensi dell’art. 586 c.p.c., non essendo contestabile l’esistenza di un’interferenza illecita nella determinazione del giusto prezzo, visto che, in assenza del pactum sceleris, l’aggiudicazione sarebbe avvenuta in occasione del primo esperimento di vendita e, dunque, a un prezzo superiore.
Ciò che, tuttavia, escludeva la possibilità per il giudice dell’esecuzione di esercitare il potere di sospensione, nel caso specifico, andava ravvisato nel fatto che l’elemento che aveva determinato l’emersione dell’interferenza illecita era costituito dalla violazione, da parte di colui che si era reso aggiudicatario dell’immobile, dell’accordo concluso con l’esecutato, che prevedeva la rinuncia a presentare offerte d’acquisto in occasione non solo del primo, ma anche dei successivi esperimenti di vendita: l’esecutato, dunque, aveva invocato la revoca dell’aggiudicazione facendo leva proprio sul fatto illecito alla cui integrazione egli stesso aveva concorso in prima persona.
Se è vero, infatti, che la sospensione della vendita deve senz’altro essere disposta quando si abbia contezza di illecite interferenze nella formazione del prezzo, colui che ha contribuito a determinare l’alterazione del regolare svolgimento del procedimento di vendita non è legittimato né a sollecitare l’attivazione del potere attribuito dall’art. 586 c.p.c. al giudice dell’esecuzione, né a sindacare le modalità con le quali sia stato esercitato, determinandosi altrimenti un’inammissibile eterogenesi dei fini e premiandosi comportamenti illeciti con il consolidamento dei loro effetti, a tutto vantaggio di chi li ha illegittimamente posti in essere (a prescindere dal fatto che costituiscano o meno condotte penalmente rilevanti).
In definitiva, il potere di sospensione della vendita in presenza di fatti delittuosi non può essere invocato da chi quei fatti ha compiuto, fermo restando il dovere del giudice dell’esecuzione di valutare ogni altro elemento, soprattutto se addotto da altre parti del processo esecutivo estranee a tali fatti delittuosi e che sia stato da costoro ritualmente e tempestivamente portato alla conoscenza del giudice.
L’opposizione dell’esecutato era stata respinta dal Tribunale di Ragusa anche nella parte in cui aveva per oggetto il decreto di trasferimento, sia per vizi derivati (ossia dipendenti e discendenti dalla turbativa del regolare svolgimento delle operazioni di vendita), sia per vizi suoi propri, in quanto reputata tardiva.
Il rigetto era dovuto al fatto che il dies a quo del termine di venti giorni previsto dall’art. 617 c.p.c. era stato fatto coincidere con la data di pubblicazione del decreto di trasferimento nel fascicolo informatico del processo esecutivo, anziché con quella in cui la cancelleria ne aveva effettuato la comunicazione alle parti.
La Corte di cassazione ha censurato questa impostazione, affermando che il termine di decadenza per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi decorre dalla conoscenza legale o di fatto del provvedimento impugnato, vale a dire dal momento in cui la conoscenza del vizio è stata conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo la diligenza ordinaria, non rilevando di per sé né la data di deposito (non essendo prescritto da alcuna norma che del decreto di trasferimento debba essere data comunicazione a cura della cancelleria o del professionista delegato ex art. 591-bis c.p.c.), né quella di trascrizione nei pubblici registri immobiliari.
Secondo quanto rilevato dai giudici di legittimità, il mero inserimento – mediante deposito – del decreto di trasferimento nel fascicolo della procedura esecutiva non è sufficiente per fare scattare la decorrenza del termine ex art. 617 c.p.c., in quanto l’astratta possibilità che la parte sia nelle condizioni di apprendere dell’esistenza del provvedimento e di attivarsi conseguentemente per la proposizione dell’opposizione non integra l’effettiva conoscenza dell’atto cui detta decorrenza è ricollegata.
Peraltro, nell’attuale regime, successivo alle modifiche apportate dal d.lgs. 149/2022, l’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta dall’esecutato avverso il decreto di trasferimento per fatti incidenti sulla validità dell’aggiudicazione sarebbe stata comunque inammissibile, giacché, in forza delle modifiche apportate all’art. 591-ter c.p.c., simili doglianze si sarebbero dovute fare valere immediatamente, con reclamo al giudice dell’esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell’atto ritenuto invalido o dalla sua conoscenza legale; in assenza di tempestiva impugnazione, resta definitivamente preclusa la possibilità di fare valere il vizio, impugnando per invalidità derivata il decreto di trasferimento, che ora, dunque, può essere censurato solo ed esclusivamente per vizi suoi propri.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia
28 Novembre 2023 a 12:18
Buongiorno, avvocato,
riscontro una contraddizione nel Suo articolo. Lei dice che l’opposizione avverso il decreto di trasferimento veniva considerata inammissibile in quanto tardiva, giacché proposta dopo che erano decorsi venti giorni dalla pubblicazione del provvedimento nel fascicolo informatico, poi afferma che ai fini del rispetto del termine di decadenza non rileva la data di deposito, “non essendo prescritto da alcuna norma che del decreto di trasferimento debba essere data comunicazione a cura della cancelleria”. Ma deposito non equivale a comunicazione.
In più, il deposito coincide proprio con la pubblicazione, a quanto mi consta, è questa la data del dies a quo. Quid juris?
Grazie.