21 Novembre 2023

I vari profili del danno da cose in custodia

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. III, Ordinanza del 12.7.2022 n. 21977, Presidente A. Spirito, Estensore M. Rossetti

Massima: «La responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c., sussiste non solo allorquando il danno scaturisca quale effetto dell’intrinseco dinamismo della cosa, ma anche laddove consegua a un’azione umana che determini l’insorgenza di un processo dannoso nella cosa medesima».

CASO

Tizio conveniva innanzi al Tribunale di Milano Caio in quanto quest’ultimo aveva eseguito nel proprio appartamento, soprastante quello di Tizio, dei lavori di ristrutturazione che avevano provocato delle infiltrazioni d’acqua nel piano sottostante con conseguenti danni al soffitto e all’impianto elettrico.

Caio, di contro, chiedeva il rigetto della richiesta di risarcimento danni promossa da Tizio e l’autorizzazione a chiamare in causa i tre appaltatori a cui aveva affidato l’esecuzione dei lavori nonché il direttore dei lavori.

In seguito alla chiamata in causa promossa dal convenuto Tizio estendeva la propria domanda nei confronti della Società Alfa, una delle imprese appaltatrici.

Sempronio, direttore dei lavori, e Beta, altra società appaltatrice, chiamavano in causa il proprio assicuratore al fine di essere manlevati in caso di soccombenza.

Il Tribunale di Milano rigettava la domanda attorea con sentenza che veniva appellata da Tizio innanzi la Corte d’Appello di Milano che, tuttavia, rigettava parimenti tutti i motivi di impugnazione.

In particolare la Corte territoriale riteneva che Caio non dovesse rispondere dei danni ai sensi dell’art. 2051 c.c. giacché non ricorreva un’ipotesi di danni arrecati dalla cosa in custodia, ma di danni arrecati da una condotta umana.

Allo stesso modo, il convenuto non poteva essere considerato responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c. della condotta tenuta dagli appaltatori, poiché la figura dell’appaltatore opera in autonomia assumendosi il rischio.

Pertanto, la responsabilità di Caio, quale committente, non si sarebbe potuta invocare poiché non sussistevano per il giudice del gravame i profili di culpa in eligendo e in vigilando.

Infine, la domanda nei confronti della Società Alfa andava rigettata poiché, pur essendo certa l’esistenza del danno e la sua derivazione dai lavori di ristrutturazione commissionati da Caio non era possibile stabilire quale, fra i tre appaltatori che si erano occupati della ristrutturazione, avesse materialmente generato la causa del danno.

Conseguentemente, Tizio impugnava per cassazione la sentenza d’appello con ricorso fondato su tre motivi.

Resistevano, con controricorso, Sempronio, la Società Beta e Mevio, terzo appaltatore (questi ultimi due con controricorso unitario), Caio e l’impresa di assicurazione di Sempronio e della Società Beta.

Sempronio, la Società Beta e Mevio proponevano ricorso incidentale.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione accoglieva solamente il primo motivo del ricorso principale, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte d’Appello in diversa composizione, cui demandava di provvedere altresì alle spese del giudizio di legittimità

Dichiarava, inoltre, assorbiti i ricorsi incidentali.

QUESTIONI

Tizio con il primo motivo di ricorso lamentava la violazione dell’art. 2051 c.c., poiché asseriva come tale precetto dovesse trovare applicazione sia quando il danno venga arrecato dalla cosa in sé sia quando il danno provenga dalla cosa ma per fatto dell’uomo, come avvenuto nel caso di specie.

Orbene, anzitutto occorre premettere come l’art. 2051 c.c. nell’affermare la responsabilità della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualunque grado di colpa e che si pone quindi su un piano oggettivo dell’accertamento del nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso prodottosi.

Pertanto, l’imprevedibilità, quale elemento idoneo ad esonerare il custode dalla responsabilità, deve essere valutata in maniera oggettiva senza rilevanza alcuna per l’assenza o meno della colpa del custode[1].

Ciò posto, la Suprema Corte, nel caso di specie, rileva come secondo consolidata giurisprudenza la norma enunciata dall’art. 2051 c.c. trova applicazione parimenti in casi nei quali il danno derivi dall’attività umana, in quanto tale situazione non appare estranea rispetto al rapporto di custodia che ai sensi della citata norma impone al custode di tenere indenne dai danni colui che venga danneggiato dalla cosa[2].

Pertanto, tale principio trova applicazione se il danno ha luogo a causa delle caratteristiche fisico-dinamiche della cosa nonché se esso sia cagionato da un soggetto che agisce sulla cosa danneggiandola.

Secondo la Cassazione, infatti, “è di conseguenza irrilevante, al fine di escludere la responsabilità ex articolo 2051 Codice civile, che il processo dannoso sia stato provocato da elementi esterni, quando la cosa sia obiettivamente suscettibile di produrre danni”.

In tema di appalto poi, come nel caso di specie, la responsabilità del committente non si ravvisa solo qualora lo stesso abbia impartito delle direttive all’appaltatore, determinando il suo operare quale nudus minister[3], unica ipotesi in cui si esclude la responsabilità contrattuale dell’appaltatore, poiché verso i terzi danneggiati estranei al contratto di appalto prevale il principio generale del neminem laedere di cui sono espressione anche le norme previste dagli artt. 2049 e 2051 c.c., e ciò a prescindere da qualsiasi ripartizione interna di responsabilità tra committente e appaltatore.

 Egli, in ogni caso, esplica la propria attività in piena autonomia, con propria organizzazione ed a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato. Ciò, in linea di principio, non solo esclude la configurabilità di un rapporto institorio tra committente ed appaltatore, ma implica anche che solo l’appaltatore debba, di regola, ritenersi responsabile dei danni derivati e terzi nell’esecuzione dell’opera. Tuttavia, nell’ipotesi in cui l’evento dannoso sia addebitabile al committente a titolo di culpa in eligendo per essere stata l’opera affidata ad impresa che palesemente difetta delle necessarie capacità tecniche ed organizzative per eseguirla correttamente o quando il committente si sia, di fatto, ingerito con singole e specifiche direttive nelle modalità di esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto allora il committente sarà ritenuto responsabile con l’appaltatore per i danni arrecati al terzo[4].

Orbene, nel caso in cui in un contratto d’appalto non venga pattuito il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile oggetto dell’opera da eseguire, non vi è un esclusione per il committente – detentore del bene – del dovere di custodia e di vigilanza e, conseguentemente, la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., la quale avendo natura oggettiva sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo[5].

Con la seconda doglianza il ricorrente lamentava la violazione degli artt. 2043 e 2049 c.c., giacché la Corte d’Appello avrebbe escluso una culpa in vigilando aut in eligendo di Caio nella scelta e nella vigilanza delle imprese a cui aveva affidato i lavori.

La Corte di legittimità tuttavia dichiarava inammissibile tale motivo poiché in riferimento alla valutazione delle prove da parte della Corte territoriale.

Con il terzo e ultimo motivo, invece, Tizio asseriva la violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c.; nonché, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 2043, 2051 e 2055 c.c..

In particolare, secondo il ricorrente i giudici di secondo grado avrebbero violato l’art. 2055 c.c., poiché essendo certa l’esistenza dei danni, ed essendo certa la loro derivazione causale dei lavori di ristrutturazione eseguiti nell’appartamento soprastante, era superfluo accertare quale fra le varie imprese presenti sul cantiere aveva eseguito l’operazione materiale fonte di danno.

Al contrario, però, i giudici di Piazza Cavour ritenevano come la Corte d’Appello non avesse violato tale norma giacché l’aver ritenuto mancante la compartecipazione colposa di piu’ soggetti alla causazione del medesimo evento dannoso è una valutazione corretta in punto di diritto, in quanto l’applicazione dell’art. 2055 c.c., esige l’accertamento di un nesso eziologico tra le varie condotte dell’evento di danno, nesso ritenuto indimostrato dal Tribunale.

Lo stabilire, poi, se tale valutazione sia stata corretta in punto di fatto è questione che esula dal perimetro del giudizio di legittimità.

Infine, i ricorsi incidentali proposti dalle altre parti, che vertevano sulla regolazione delle spese, restavano assorbiti e, pertanto, si richiedeva una nuova valutazione da parte del giudice di rinvio, alla luce dei principi sopra esposti, tanto della domanda principale, quanto delle domande di garanzia formulate e rimaste assorbite. Allo stesso modo, al giudice di rinvio sarebbe dovuta spettare la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

[1] Cfr. Cass. civ., sez. III, Ord. n. 18075/2018.

[2] Cfr. Cass. civ. sez. III, Sent. n. 10649/2004.

[3] In ogni caso secondo Cass. civ., sez. II,  Sent. 80/1989,  l’autonomia e la conseguente responsabilità dell’appaltatore nell’esecuzione dell’opera non vengono meno per il fatto che egli abbia ottemperato a specifiche richieste o direttive del committente, non essendo tale circostanza idonea a trasformarlo in un “nudus minister” di quest’ultimo e non essendo, comunque, egli tenuto a seguire supinamente direttive che importino lesioni di diritti assoluti di terzi, ai quali non può, pertanto, opporre di aver cagionato il danno nell’esecuzione degli obblighi assunti verso il committente con il contratto di appalto.

[4] Cfr. Cass. civ., sez. III, Ord. n. 27612/2019.

[5] Cfr. Cass. civ., sez II, Ord. n. 11671/2018.

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