Le clausole di garanzia nella compravendita di partecipazioni sociali
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. II, 5 aprile 2023, n. 9347 – Pres. Di Virgilio – Rel. Trapuzzano
Parole chiave: Contratto di compravendita di partecipazioni sociali – Clausola di garanzia del venditore sulla sopravvenienza di passività fiscali e previdenziali incidenti sul patrimonio della società – Nullità per indeterminatezza – Esclusione – Condizioni
[1] Massima: “In tema di cessione di partecipazioni sociali, soddisfa il requisito della determinabilità dell’oggetto – ed è dunque valida e non viola il canone di buona fede oggettiva – la clausola del contratto che preveda l’adeguamento del corrispettivo fissato alle sopravvenienze passive successivamente accertate (ossia verificate dopo la cessione), facenti capo alla società target, per fatti accaduti prima del perfezionamento dell’accordo traslativo, in ordine a causali specificate nei confronti di soggetti individuati”.
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1325, 1346, 1372, 1374, 1418
CASO
Nell’atto di cessione di una quota di partecipazione in società a responsabilità limitata, che prevedeva il pagamento rateale dei prezzi dovuti dai due cessionari, veniva pattuito che, se dopo la conclusione del contratto fossero emerse passività fiscali e previdenziali incidenti sul patrimonio della società, gli acquirenti sarebbero stati autorizzati a compensare quanto dovuto a titolo di corrispettivo con le somme riconducibili a dette situazioni debitorie.
Emessi, in accoglimento dei ricorsi proposti dal cedente per il pagamento delle parti di prezzo non ancora versate, due decreti ingiuntivi, gli acquirenti spiegavano opposizione, chiedendo che fosse accertata l’estinzione ovvero l’insussistenza dei crediti azionati, in forza della clausola di compensazione contenuta nell’atto di cessione della quota.
Il Tribunale di Cagliari rigettava le opposizioni e confermava i decreti ingiuntivi opposti.
La sentenza di primo grado veniva confermata all’esito del giudizio di appello, dal momento che il contenuto della clausola di compensazione era reputato generico e indeterminato quanto all’individuazione dell’ammontare delle passività da porre in detrazione rispetto al corrispettivo della cessione; in questo modo, secondo la Corte d’appello di Cagliari, i cessionari godevano di una discrezionalità che contrastava con i principi di lealtà e buona fede oggettiva, poiché rimetteva la determinazione del prezzo finale di vendita delle quote al loro arbitrio.
La sentenza di secondo grado era gravata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che la clausola di garanzia inserita nell’atto di cessione delle partecipazioni sociali – e volta a consentire la quantificazione effettiva e definitiva del corrispettivo delle quote cedute – rispettasse il requisito della sufficiente determinabilità ex artt. 1346 e 1474 c.c., dal momento che le passività sopravvenute legittimanti la compensazione con il prezzo dovuto erano identificate con quelle scaturenti da fatti verificatisi prima del perfezionamento della cessione per le specifiche causali ivi riportate (tributi e sanzioni di carattere fiscale e previdenziale nei confronti degli enti altrettanto specificamente individuati).
QUESTIONI
[1] Sebbene la cessione di partecipazioni sociali abbia per oggetto diretto e immediato queste ultime, è frequente, nella prassi negoziale, che negli atti di vendita siano inserite clausole dirette a garantire il cessionario nel caso in cui si verifichino eventi in grado incidere sulla consistenza del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta pro quota (e che costituisce l’oggetto mediato della cessione).
A questo proposito, la giurisprudenza ha chiarito che le garanzie assunte dal cedente in ordine alla situazione patrimoniale o finanziaria della società hanno lo scopo di neutralizzare l’incidenza negativa di atti o fatti di gestione compiuti prima del mutamento della compagine sociale, rispetto alle quali l’acquirente è estraneo, consentendo a quest’ultimo di ridurre il corrispettivo della cessione in misura pari all’ammontare delle sopravvenienze passive a carico della società le cui quote sono state cedute, o di assicurarsi a posteriori – ossia dopo il pagamento del prezzo – un indennizzo.
Si distinguono, in questo senso, due tipologie di clausole, accomunate dall’obiettivo di neutralizzare situazioni debitorie in grado di esplicare effetti negativi sul patrimonio della società e ignote al momento del perfezionamento della cessione, in quanto non ancora oggettivamente percepibili, sebbene i loro fatti costitutivi a quell’epoca si fossero già verificati.
Vengono in rilievo, in primo luogo, le clausole di aggiustamento (o di adeguamento, o di revisione) del prezzo, che, operando nel caso di mancata determinazione del corrispettivo della cessione delle partecipazioni in misura fissa e immutabile, costituiscono il meccanismo negoziale volto a definirlo in via definitiva, ogni qual volta esso rappresenti l’espressione monetaria di un parametro patrimoniale (come il patrimonio netto o la posizione finanziaria netta) o reddituale (come il margine operativo lordo) della società target da calcolarsi alla data del trasferimento della proprietà delle partecipazioni: in tali casi, il prezzo viene inizialmente – vale a dire, in un momento precedente alla conclusione dell’operazione, per esempio in corrispondenza della sottoscrizione di un contratto preliminare – individuato in via provvisoria, sulla base della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale della società target il più aggiornata possibile, per essere poi fissato definitivamente in un momento successivo (di norma, quando si addiviene alla sottoscrizione dell’atto di cessione delle partecipazioni), avendo riguardo ai medesimi parametri e, dunque, sulla base di una nuova situazione patrimoniale, finanziaria o reddituale della società target aggiornata alla data assunta come riferimento. Le clausole in questione, pertanto, concorrono alla determinazione della misura definitiva della prestazione principale dovuta dall’acquirente (cioè il pagamento del prezzo).
Le clausole che introducono il riconoscimento di un indennizzo, invece, prevedono una prestazione complementare (rispetto a quella principale di pagamento del prezzo) a favore del compratore in caso di difformità tra il valore rilevante della società target garantito dal venditore e quello effettivo, allo scopo di ripristinare l’originario equilibrio sinallagmatico, sicché si tratta di un meccanismo patologico, volto a reintegrare il valore delle partecipazioni acquistate.
Secondo un filone di pensiero, peraltro, gli importi corrisposti al compratore a titolo d’indennità costituirebbero, in realtà, una mera modalità accessoria del contratto di cessione, funzionale alla rideterminazione del corrispettivo, operando come una sorta di sopravvenuto aggiustamento del prezzo, per superare in questo modo il deficit di informazioni che grava sul soggetto che si accinge a entrare in una compagine sociale il cui assetto patrimoniale è determinato da scelte e condotte rispetto alle quali è rimasto estraneo. Per effetto della previsione di una clausola di adeguamento del prezzo (quand’anche a mezzo della corresponsione di un indennizzo successivo), quindi, la parte cedente assume, a favore dell’acquirente, un’obbligazione compensativa in relazione a eventuali passività latenti ed esistenti già al momento del trasferimento, con esclusione invece delle passività future.
Nell’ordinanza che si annota, tuttavia, i giudici di legittimità hanno mostrato di privilegiare l’impostazione che distingue le clausole di aggiustamento del prezzo da quelle attributive di un indennizzo, a seconda che le sopravvenienze passive prese in considerazione siano contemplate quale causa giustificativa della revisione del corrispettivo fissato in via provvisoria, con funzione di riequilibrio del sinallagma contrattuale a beneficio dell’acquirente, oppure si collochino quale fonte di un obbligo ulteriore di natura indennitaria ovvero risarcitoria, il cui beneficiario sia la società target.
Nel caso di specie, le eventuali sopravvenienze passive (debiti di carattere fiscale e previdenziale nei confronti degli enti nominativamente individuati) erano state considerate specificamente ai fini della rettifica del prezzo di cessione, non ancora interamente versato al momento del perfezionamento del contratto, essendo stato concordato un piano rateale di pagamento.
In questo modo, la clausola si configurava quale strumento di revisione del corrispettivo concordato in via provvisoria (a fronte del verificarsi di determinati eventi futuri, incidenti sull’andamento economico e finanziario della società target) e non già quale indennizzo da corrispondere a fronte di un prezzo già versato, non assumendo, dunque, natura o funzione assicurativa (con conseguente nascita in capo al cedente di un autonomo e specifico obbligo di indennizzo, altrimenti estraneo all’oggetto della garanzia legale cui il venditore è tenuto nei confronti dell’acquirente, rappresentato dal reintegro – totale o parziale – di passività sopravvenute riferibili alla gestione anteriore alla conclusione dell’operazione di cessione).
Qualificata la clausola controversa come appartenente al novero di quelle di aggiustamento del prezzo in senso proprio, i giudici di legittimità ne hanno ravvisato la validità, dal momento che:
- dal punto di vista oggettivo, le passività rilevanti, in ordine alle quali era prevista la possibilità di compensazione con il prezzo dovuto, erano espressamente identificate in debiti di natura fiscale o previdenziale e delimitate, dal punto di vista temporale, a quelle risalenti a fatti verificatisi antecedentemente al perfezionamento della cessione;
- dal punto di vista soggettivo, erano parimenti individuati in modo esplicito gli enti nei confronti dei quali sarebbero potute insorgere le passività rilevanti.
Pertanto, doveva considerarsi integrato il requisito della sufficiente determinabilità della clausola ai sensi degli artt. 1346 e 1474 c.c., con conseguente esclusione, da un lato, della sua invalidità e, dall’altro lato, della violazione dei canoni di correttezza e buona fede oggettiva.
Con il suo inserimento nell’atto di cessione, le parti avevano voluto fare in modo che, accertate le effettive passività gravanti sul patrimonio della società non imputabili agli acquirenti delle quote e quantificatone il relativo importo, fosse possibile elidere automaticamente i crediti facenti capo, rispettivamente, al cedente (a titolo di corrispettivo) e ai cessionari (a titolo di valore di aggiustamento) e in questo modo addivenire, attraverso un meccanismo di compensazione impropria, all’individuazione del prezzo effettivo di cessione, sulla scorta dei criteri indicati nel contratto (la presenza dei quali escludeva che potesse essere predicata l’invalidità della clausola, posto che, ai fini della determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione, è sufficiente che il contratto contenga i criteri che consentono di determinare l’oggetto della prestazione contrattuale e che l’obbligazione sorta possa essere attuata, corrispondendo a quel preciso interesse che la volontà delle parti ha inteso regolare).
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