La liquidazione del danno da lucro cessante per mancato pagamento dei canoni di locazione sino alla scadenza del contratto
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. VI 3, Ordinanza del 5.1.2023 n. 194, Presidente A. Scrima, Estensore S. G. Guizzi
«Il locatore può sottrarsi all’obbligo di restituzione del deposito cauzionale a condizione che proponga domanda giudiziale per l’attribuzione dello stesso, in tutto o in parte a copertura di specifici danni subiti, di qualsiasi natura e non solo quelli subiti dalla res locata, ovvero di importi rimasti impagati. In caso di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, il locatore ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale corrispondente alle somme che avrebbe conseguito se le obbligazioni fossero state adempiute, detratto l’utile ricavato o ricavabile con l’uso della normale diligenza dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto».
Capita che in esito alla risoluzione del contratto di locazione commerciale prima della sua naturale scadenza, il locatore avanzi domanda di risarcimento del danno da lucro cessante, corrispondente all’importo delle mensilità dovute sino alla pattuita scadenza finale.
Nel caso oggetto di esame della Suprema Corte, Tizio e Caio interponevano sfratto per morosità nei confronti del loro conduttore Sempronio, relativamente all’immobile ad uso commerciale, con contratto sottoscritto nell’aprile del 2016, dietro versamento di un canone di Euro 700,00 mensili, affinché il giudice convalidasse lo sfratto per morosità del conduttore e dichiarasse la risoluzione del contratto.
Sempronio si costituiva opponendosi alla convalida, chiedendo con domanda riconvenzionale la restituzione del deposito cauzionale, attesa la mancata sussistenza di danni all’immobile.
Nel così radicato giudizio di opposizione in esito alla trasformazione del rito, i locatori formulavano, quindi, anch’essi domanda di risarcimento dei danni da lucro cessante, stante il mancato pagamento di tutti i canoni di locazione a loro dovuti, fino alla data di scadenza del rapporto contrattuale.
Il Tribunale adito accertava la morosità del conduttore e dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento di quest’ultimo, tuttavia accoglieva la domanda riconvenzionale per la restituzione del deposito cauzionale richiesto dal conduttore nella somma di Euro 2.100,00.
Sempronio veniva condannato anche al pagamento in favore dei locatori, dei canoni di locazione a decorrere dal mese di maggio 2016 sino al mese di febbraio 2017, ossia con riferimento all’ammontare dei canoni dovuti per il periodo minimo di preavviso di recesso – mesi sei, ex art. 27, comma 8 L.392/78 – e non nella misura integrale – per l’intero periodo contrattuale e sino a scadenza – come richiesta da parte locatrice.
I locatori impugnavano la sentenza, ma la Corte d’Appello accoglieva parzialmente il gravame, condannando il conduttore a pagare in loro favore, oltre alla somma di Euro 6.000,00 già riconosciuta dal giudice di prime cure, l’ulteriore somma di Euro 2.400,00 oltre interessi dalla data di rilascio dell’immobile al saldo, confermando, invece, la condanna degli stessi alla restituzione del deposito cauzionale, giacché l’immobile non aveva subito alcun danno.
La Corte territoriale riconosceva, invece, il diritto dei locatori ad ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante, consistito nel fatto che l’immobile non venne concesso in locazione a terzi, nonostante il fatto che i proprietari si fossero attivati per locarlo a terzi.
Tuttavia, il giudice del gravame escludeva che l’ammontare del risarcimento potesse essere rapportato all’intero importo dei canoni dovuti fino alla scadenza naturale del contratto, ritenendo che il mancato guadagno (lucro cessante) dei locatori fino a tale data non potesse essere ricollegato all’inadempimento del conduttore, mancando, nel caso di specie:” il nesso causale tra di esso e la mancata locazione del bene”.
La liquidazione del danno veniva, quindi, disposta con riferimento all’ammontare del canone di locazione per il periodo minimo di preavviso di recesso nei casi in cui manchi, come nel caso di specie, una specifica previsione contrattuale.
Tizio e Caio proponevano, pertanto, ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello sulla base di due motivi.
SOLUZIONE
La Corte ha accolto entrambi i motivi di ricorso ed ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione.
QUESTIONI
Con il primo motivo i ricorrenti lamentavano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. e dell’art. 27, comma 8, della L. 392/1978 nonché dell’art. 17 del contratto di locazione.
A tal proposito, la Corte rilevava anzitutto la funzione del deposito cauzionale quale garanzia per il locatore dell’adempimento tutti gli obblighi, legali e convenzionali, gravanti sul conduttore[1], sia quello relativo al pagamento del canone[2] nonché quello del congruo preavviso circa la volontà di recedere dal contratto[3].
Esso ai sensi dell’art. 11 della L. 392/1978 non può essere superiore a tre mensilità del canone ed è produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno.
Pertanto, il locatore potrà sottrarsi all’obbligo di restituzione del deposito, che sorge con la conclusione della locazione, a condizione di proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, dello stesso quale copertura di specifici danni subiti o di importi rimasti impagati[4].
Invero, ai sensi dell’art. 1460 c.c. la sospensione totale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è legittima soltanto ove via sia una totale assenza della controprestazione del locatore, provocando, altrimenti, un’alterazione del rapporto sinallagmatico proprio del contratto stesso, determinando, quindi uno squilibrio tra le parti[5].
La Corte, quindi, dichiarava inidonea la restituzione della somma a titolo di deposito cauzionale ai sensi dell’art. 17 del contratto di locazione inter partes, il quale prevedeva che la somma depositata dal conduttore quale cauzione sarebbe stata restituita dopo la regolare riconsegna dei locali senza poter essere imputata a canoni di locazione, poiché l’imputazione, nel caso che occupa, riguarda un titolo, quello risarcitorio, diverso dal mero pagamento dei canoni di locazione.
Le somme corrisposte a titolo di deposito cauzionale non possono essere quindi poste in compensazione con i canoni di locazione ai sensi dell’art. 1241 c.c..
La compensazione giudiziale è invece ammissibile nell’ipotesi in cui, riconsegnato l’immobile e risolto il contratto, la cauzione, così divenuta esigibile, venga opposta al controcredito vantato dal locatore, ad esempio per canoni non pagati o per la mancata remissione in pristino dell’immobile modificato senza il consenso del locatore.
In altri termini, la Corte richiamava nella propria motivazione il consolidato principio in materia: “la funzione del deposito cauzionale, nel contratto di locazione, è di garantire il locatore per l’adempimento di tutti gli obblighi, legali e convenzionali, gravanti sul conduttore, a cominciare da quello di pagamento dei canoni, neppure escluso quello di recedere dal contratto dando il dovuto preavviso”.
Il locatore può sottrarsi agli obblighi di restituzione del deposito cauzionale avanzando domanda di attribuzione dello stesso, allorquando esso vada a copertura di specifici danni o di importi non pagati ed in questo senso la Corte censurava le motivazioni dei giudici dell’appello, i quali avevano per così dire ridotto la funzione del deposito a garanzia per i soli danni e non per ogni altra obbligazione in capo al conduttore.
Con la seconda doglianza, invece, i ricorrenti sostenevano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1453 e 1223 c.c. e della L. n. 392/1978, articolo 27, comma 8, censurando la decisione del giudice di appello di circoscrivere la quota del danno da lucro cessante, asserendo che al locatore i canoni non riscuotibili spettino per intero e non parzialmente, fino alla cessazione del rapporto locativo.
La Suprema Corte ritiene a tal riguardo che il locatore non inadempiente abbia il diritto di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute (detratto l’utile ricavato) o che, con la normale diligenza, avrebbe potuto ricavare dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto.
L’art. 1453 c.c. fa salvo in ogni caso il diritto al risarcimento della parte adempiente che chiede la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, poiché tra i danni risarcibili è compreso anche il mancato guadagno, se e in quanto sia conseguenza diretta ed immediata dell’evento risolutivo, ai sensi dell’art. 1223 c.c.[6].
Tutto ciò in quanto il mancato conseguimento da parte del locatore dell’interesse contrattuale voluto, consistente nella percezione di un canone a fronte del godimento garantito al conduttore, si determina un danno che non viene meno per la sola riacquistata disponibilità del bene.
Egli continuerà invero a subire il pregiudizio derivante dalla risoluzione fino alla successiva rilocazione del bene a terzi, oppure fino al termine del rapporto originariamente pattuito[7].
Pertanto gli ermellini censurano la motivazione dei giudici della corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto circoscrivere al solo termine di sei mesi del preavviso la liquidazione del danno da lucro cessante di parte locatrice, in quanto diversamente, il danno da lucro cessante andava calcolato sull’intro periodo.
[1] Cass. civ., Sent. n. 14655/2022.
[2] Cass. civ., Sent. n. 7360/1997.
[3] Cass. civ., Sent. n. 538/1997.
[4] Cass. civ., Sent. n. 18069/2019.
[5] Cass. civ., Ord. n. 11783/2017.
[6] Cass. civ., Sent. n. 2865/2015.
[7] Cass. civ., Sent. n. 8482/2020.
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