Il Regolamento di condominio quant’anche trascritto non è titolo al riconoscimento della proprietà condominiale
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFMassima: “In tema di condominio, ai sensi dell’art. 1117 c.c., la proprietà condominiale di un fondo separato e autonomo rispetto all’edificio in cui ha sede il Condominio può essere dallo stesso rivendicata soltanto sulla base di un titolo formatosi precedentemente in suo favore, tra i quali non rientra il regolamento di condominio che, quand’anche trascritto, non è opponibile al terzo estraneo alla comunione”.
CASO
Il Condominio Alfa depositava ricorso presso il Tribunale di Torino, Sezione distaccata di Susa, chiedendo la condanna di Tizio alla reintegrazione dei condomini nel possesso del cortile adibito ad uso parcheggio che il resistente aveva loro impedito di esercitare apponendo un lucchetto alla sbarra di accesso – posizionata dallo stesso Condominio – all’area antistante l’edificio condominiale.
Il Tribunale adìto in accoglimento del ricorso emanava Ordinanza di reintegrazione nel possesso del cortile in favore del Condominio.
Tizio, due anni dopo, citava in giudizio innanzi al medesimo Tribunale il Condominio Alfa per ottenere la declaratoria di inesistenza di qualsiasi diritto in capo a quest’ultimo in relazione agli appezzamenti di terreno antistanti l’edificio condominiale e ciò in forza dell’atto di acquisto dell’anno 2004, che ne comprovava la sua titolarità, con conseguente condanna al rilascio degli stessi in suo favore.
Si costituiva in giudizio il Condominio che, oltre a domandare il rigetto delle pretese ex adverso proposte, spiegava riconvenzionale diretta ad accertare il proprio diritto di proprietà sui terreni oggetto della controversia, in virtù della natura condominiale di detta area o, in ogni caso, l’acquisto della proprietà di quest’ultima per usucapione, data la durata ultraventennale del possesso da parte dei condomini.
Il Tribunale adìto, dopo avere altresì espletato CTU, accoglieva le istanze proposte dal Condominio, accertando la proprietà sull’area oggetto della controversia in capo al medesimo.
Tizio, pertanto, impugnava la decisione del giudice di prime cure presso la Corte d’Appello di Torino, la quale, rigettava interamente il gravame.
Invero, la Corte, parimenti, riteneva che titolare del diritto di proprietà sul fondo in oggetto fosse il Condominio, in virtù del Regolamento di condominio registrato nel giugno 1976, e trascritto presso la Conservatoria pochi giorni dopo, che dunque risultava precedente di ventotto anni l’atto di acquisto di Tizio risalente al 2004.
In particolare, il giudice del secondo grado osservava che l’unico dante causa da cui le parti in conflitto traevano la loro titolarità sull’area oggetto di conflitto era l’Immobiliare Beta e che, rispetto al titolo opposto da Tizio, il Condominio aveva eccepito l’appartenenza del cortile alla proprietà comune ai sensi dell’art. 3 del Regolamento condominiale, quale area riconducibile ai c.d. distacchi ivi citati.
La Corte d’Appello, quindi, affermava come il cortile dovesse ritenersi, ai sensi dell’art. 1117 c.c., un bene facente parte della proprietà comune dei condomini, come risultante anche dalla CTU, secondo la quale i c.d. distacchi citati nel Regolamento di condominio “altro non sono che l’attuale area cortiliva al netto delle aree di terzi”, rilevando come la relazione dello stesso Consulente dovesse ritenersi fonte oggettiva di prova in quanto, oltre che valutazione tecnica, costituiva anche un accertamento di particolari situazioni di fatto (c.d. consulenza percipiente), rilevabile solo attraverso specifiche strumentazioni tecniche.
Tizio, conseguentemente, proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino sulla base di sei motivi.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione accoglieva il secondo e terzo motivo del ricorso, rigettava il primo e dichiarava, invece, assorbiti i restanti.
Il Supremo Collegio cassava, quindi, la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione.
QUESTIONI
Con il primo motivo Tizio denunciava la violazione degli artt. 102, 112, e 354 c.p.c. o, in via subordinata, la nullità della sentenza impugnata per la violazione dei summenzionati articoli.
Il ricorrente, in particolare, deduceva che la Corte piemontese avrebbe dovuto accertare la carenza di legittimazione attiva dell’amministratore del Condominio e, dunque, la illegittimità del rigetto della richiesta d’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini.
Il Collegio, tuttavia, rilevava come il primo motivo fosse privo di fondamento e dovesse, pertanto, essere rigettato, non rilevandosi, in relazione alla natura della causa e alle situazioni sostanziali fatte valere, un’ipotesi di litisconsorzio necessario comportante la partecipazione di tutti i condomini del Condominio convenuto in giudizio (condomini, peraltro, nemmeno individuati specificamente nel ricorso).
Ad ogni modo, la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio, ai sensi dell’art. 1131, comma 2, c.c., non incontra limiti e sussiste in relazione a ogni tipo di azione, anche reale o possessoria, promossa da terzi o da un singolo condomino nei confronti del Condominio medesimo relativamente alle parti comuni dello stabile condominiale, trovando ragione nell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del Condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini[1].
Con il secondo motivo, il ricorrente deduceva la nullità della sentenza per violazione degli artt. 948, 1138 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., affermando che il Regolamento di condominio e le risultanze della CTU non potevano costituire prova della proprietà comune del Condominio dell’area rivendicata da Tizio.
Con la terza censura, il ricorrente lamentava la violazione degli artt. 1107, 1138, 1372, 2643 e 2644 c.c., in riferimento alla fattispecie per cui i giudici di secondo grado avevano disposto che il Regolamento condominiale costituiva atto precedente rispetto al suo titolo di acquisto e, quindi, a lui opponibile.
Con il quarto motivo, Tizio deduceva la violazione degli artt. 948 e 2967 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., sul presupposto che la sentenza di appello avesse erratamente affermato che i mappali corrispondessero ai c.d. distacchi citati nell’art. 3 del Regolamento condominiale, stante, invece, una mancanza di prova.
Con la quinta doglianza, Tizio prospettava la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1362, 1363, 1365, 1366 e 1367 c.c., asserendo come la Corte aveva erroneamente ritenuto che l’Immobiliare Beta avesse inteso ricondurre all’interno di detti distacchi anche tale area per cui era causa, giacché se nel 1976 la stessa avesse considerato i mappali sul lato sud del Condominio quali corrispondenti ai distacchi di cui all’art. 3 del Regolamento, non avrebbe potuto vendere nulla a Tizio nel 2004, non trovandosi più nella disponibilità del bene.
Con il sesto ed ultimo motivo, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 1117 c.c., sostenendo che l’area corrispondente al cortile oggetto della controversia non poteva ritenersi una parte comune, non essendo la stessa richiamata nel Regolamento di condominio, e che il CTU aveva errato nell’identificare suddetto cortile nei già menzionati distacchi, peraltro al netto delle aree di terzi.
La Suprema Corte accertava come il secondo e il terzo motivo fossero fondati e tra di loro connessi.
I giudici di Piazza Cavour affermavano il principio per cui “in tema di Condominio, negli edifici, in base all’art. 1117 c.c., l’estensione della proprietà condominiale ad edifici o fondi separati ed autonomi rispetto al complesso immobiliare in cui ha sede il Condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo immobile (fabbricato o terreno) nella proprietà del Condominio stesso, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il Condominio risulta costituito”.
Gli Ermellini, infatti, attestavano un erroneo percorso logico da parte della Corte d’Appello.
I giudici di seconde cure non avrebbero considerato, in primo luogo, che l’autonomo titolo di acquisto da parte di Tizio concluso nel 2004 ad oggetto il fondo su cui il Condominio asseriva il proprio diritto di proprietà, in virtù della natura stessa dell’area e delle previsioni del Regolamento di condominio registrato e trascritto nel giugno 1976, non si riferiva ad un immobile facente parte del complesso immobiliare.
In secondo luogo, il Regolamento dedotto in giudizio dal Condominio quale unico titolo volto a provare la proprietà sull’area oggetto di causa, non era opponibile a Tizio, giacché egli non rivestiva la qualità di condomino.
Tale principio risulta, invero, ormai consolidato dai giudici di legittimità.
Essi già in due precedenti casi, il cui oggetto della controversia era proprio la contesa proprietà di beni immobili separati e autonomi rispetto al complesso condominiale, asserivano come tale diritto debba essere fatto valere da un titolo idoneo a comprovare la proprietà, titolo che non può affatto consistere nel Regolamento condominiale, men che meno in allegati dello stesso[2].
Alla luce di quanto esposto, pertanto, la Cassazione, ribaltando i due precedenti giudizi di merito, non riteneva il Regolamento condominiale, prodotto in giudizio dal Condominio, titolo idoneo in forza del quale vedersi riconosciuta la proprietà dell’area cortilizia per cui era causa.
Ai sensi dell’art. 1138 c.c., invero, il Regolamento condominiale è un atto contenente norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
Lo stesso, pertanto, è diretto a disciplinare solamente i rapporti tra i condomini ma non tra il Condominio e i terzi ad esso estranei, a quali, dunque, il Regolamento non potrà essere opponibile.
[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, Ord. 26.9.2018 n. 22911.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, Sent. 21.5.2012 n. 8012 e Cass. Civ., Sez. II., Sent. 15.4.2013 n. 9105.
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