Lo stato di gravidanza del difensore non può essere invocato per ottenere la rimessione in termini per impugnare
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 14 agosto 2023, n. 24631, Pres. Acierno
[1] Processo civile – Termini per impugnare – Rimessione in termini – Stato di gravidanza del difensore
In materia di termini processuali, la disposizione dell’art. 81-bis, terzo comma, disp. att. c.c., introdotta dall’art. 1, comma 465, l. n. 205 del 2017, nel dare rilevanza, ai fini della fissazione del calendario del processo, al documentato stato di gravidanza del difensore (cui ha equiparato l’adozione nazionale e internazionale ed anche l’affidamento del minore), non prevede un generalizzato legittimo impedimento dell’avvocato ma contiene una disciplina che ha valenza esclusivamente endoprocedimentale, con la conseguenza che la previsione non può essere invocata per ottenere la sospensione dei termini per proporre impugnazione, in relazione ai quali opera comunque la rimessione in termini, in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 153, secondo comma, c.p.c.
CASO
[1] Il provvedimento della Cassazione che si commenta trae origine dalla dichiarazione di inammissibilità pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna dell’impugnazione proposta avverso una decisione del Tribunale per i minorenni dell’Emilia-Romagna.
Nel dettaglio, la sentenza gravata, di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, veniva pubblicata in data 20 maggio 2020, e notificata all’avvocato della parte poi resasi appellante il successivo 22 dicembre 2020, con la conseguenza per cui il termine di trenta giorni per la proposizione dell’impugnazione era destinato a spirare il 21 gennaio 2021.
Il ricorso in appello veniva però depositato, tardivamente, in data 22 gennaio 2021. A ciò si accompagnava un’istanza di rimessione in termini, mediante il quale l’avvocato di parte appellante invocava l’applicabilità dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c. in considerazione del periodo di affidamento preadottivo protrattosi dal 28 dicembre 2020 al 22 dicembre 2021, da considerarsi equivalente allo stato di gravidanza e al successivo parto.
L’istanza veniva però respinta dal giudice di seconde cure, il quale rilevava che: a) l’impegno addotto dall’istante non fosse equiparabile alla gravidanza considerata dall’art. 81-bis disp. att. c.p.c. e non avesse comportato un impegno assoluto, posto che aveva riguardato il periodo tra il 28 dicembre 2020 e il 22 dicembre 2021, mentre il termine per proporre impugnazione coincideva con il periodo compreso tra il 23 dicembre 2020 e il 21 dicembre 2021; b) l’art. 81-bis disp. att. c.p.c. darebbe rilievo allo stato di gravidanza agli effetti della fissazione del c.d. calendario del processo, che è cosa del tutto diversa dalla richiesta rimessione con riguardo a un termine stabilito dalla legge a pena di decadenza, rimessione che, secondo la giurisprudenza di legittimità, presuppone la sussistenza di una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti i caratteri dell’assolutezza e non già un’impossibilità relativa, né tanto meno una mera difficoltà; e c) nella fattispecie non era provata né la non imputabilità dell’impedimento addotto né la sua assolutezza.
Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione, mediante il quale veniva dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c. in relazione agli artt. 26 d.lgs. n. 151 del 2001, 153 c.p.c., nonché in relazione agli art. 3, 4, 24 e 31 Cost.
In particolare, parte ricorrente ha rilevato che le modifiche apportate dalla l. n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) all’art. 81-bis disp. att. c.p.c. hanno aggiunto alla norma un’ulteriore previsione, secondo la quale, quando il difensore documenta il proprio stato di gravidanza, il giudice, ai fini della fissazione del calendario del processo ovvero della proroga dei termini in esso previsti, deve tenere conto del periodo compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi, e che tale disposizione si applica anche nei casi di adozione nazionale e internazionale, nonché in quelli di affidamento del minore, avendo riguardo ai periodi previsti dall’art. 26 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al d.lgs. n. 151 del 2001.
Per questo, ha ritenuto che – a partire dal 20 novembre 2021, data corrispondente a due mesi prima del 22 gennaio 2021 (data di inserimento della minore in famiglia), sino al 22 aprile 2021 – fosse esistente il legittimo impedimento sopra richiamato, dovendo equipararsi l’affidamento preadottivo al parto.
In ogni caso, parte ricorrente ha insistito affinché venisse disposta la remissione in termini ex art. 153, secondo comma, c.p.c.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione giudica inammissibile il ricorso proposto, per non avere parte ricorrente censurato tutte e tre le rationes decidendi (esposte sub a), b) e c)) su cui risultava fondato il provvedimento di secondo grado.
In ogni caso, la Suprema Corte, in applicazione dell’art. 363, terzo comma, c.p.c., ritiene di dover enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge sulla questione relativa all’ambito di applicazione diretta dell’art. 81-bis, terzo comma, disp. att. c.p.c., in quanto di particolare importanza per la diffusa rilevanza applicativa. Tale principio viene espresso nei seguenti termini: “In materia di termini processuali, la disposizione dell’art. 81-bis, terzo comma, disp. att. c.c., introdotta dall’art. 1, comma 465, l. n. 205 del 2017, nel dare rilevanza, ai fini della fissazione del calendario del processo, al documentato stato di gravidanza del difensore (cui ha equiparato l’adozione nazionale e internazionale ed anche l’affidamento del minore), non prevede un generalizzato legittimo impedimento dell’avvocato ma contiene una disciplina che ha valenza esclusivamente endoprocedimentale, con la conseguenza che la previsione non può essere invocata per ottenere la sospensione dei termini per proporre impugnazione, in relazione ai quali opera comunque la rimessione in termini, in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 153, secondo comma, c.p.c.”.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene alla possibilità di invocare la previsione contenuta nel rinnovato art. 81-bis disp. att. c.p.c. quale motivo di rimessione in termini ex art. 153, secondo comma, c.p.c., in relazione al termine per proporre appello.
Muovendo dall’analisi dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c., rubricato «Calendario del processo», le modifiche ad esso apportate dalla l. n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) hanno introdotto un nuovo terzo comma (non modificato dalla riforma Cartabia di cui al d.lgs. n. 149/2022), secondo il quale «Quando il difensore documenta il proprio stato di gravidanza, il giudice, ai fini della fissazione del calendario del processo ovvero della proroga dei termini in esso previsti, tiene conto del periodo compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi. La disposizione del primo periodo si applica anche nei casi di adozione nazionale e internazionale nonché di affidamento del minore avendo riguardo ai periodi previsti dall’art. 26 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Dall’applicazione del presente comma non può derivare grave pregiudizio alle parti nelle cause per le quali è richiesta un’urgente trattazione».
Tale disposizione appare piuttosto dettagliata nel delimitare il proprio ambito operativo, collocandosi in seno al processo già instaurato, ove, per quanto riguarda il processo civile, è attribuita rilevanza alla nascita, all’adozione o all’affidamento di un minore al professionista esercente la professione legale, al momento della formazione del calendario del processo o della concessione della proroga delle scadenze ivi previste.
Non è previsto un generalizzato legittimo impedimento del difensore che si trovi nelle condizioni sopra menzionate, applicabile in ogni stato e grado del processo, ma solo la necessità di tenere conto di tali condizioni, nel redigere il calendario e nella concessione o meno di proroghe, sempre in riferimento a detto calendario.
Il rilievo attribuito agli eventi sopra menzionati è espressamente limitato alla fase istruttoria della causa, le cui attività vengono in questo modo pianificate.
Si tratta, dunque, di disposizioni che, assumendo un inequivoco e limitato valore endoprocedimentale, non riguardano i termini per proporre l’impugnazione.
Tali rilievi dovrebbero dimostrare, dunque, come la gravidanza – ovvero l’adozione o l’affidamento preadottivo – che coinvolgano il difensore non valgano, di per sé sole e de plano, né a invocare una proroga dei termini per impugnare ai sensi dell’art. 81-bis disp. att., c.p.c., evidentemente inapplicabile a tale fattispecie, né a integrare una causa di rimessione in termini – questa sì, potenzialmente riguardante anche i termini per proporre l’impugnazione – a norma dell’art. 153, secondo comma, c.p.c.
Per beneficiare di un provvedimento di rimessione in termini – l’unico, lo si ripete, applicabile a termini esterni rispetto al singolo grado di giudizio, quali quelli per impugnare -, restano infatti fermi gli stringenti e rigidi requisiti fissati da tale disposizione, ai sensi della quale, lo si ricorda, è richiesta la dimostrazione, ad opera della parte, di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile: requisiti, questi, come correttamente rilevato dal giudice di secondo grado, del tutto mancanti del caso di specie.
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