12 Settembre 2023

A coloro che succedono per rappresentazione non può essere attribuito più di quanto spetterebbe al capostipite

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cassazione civile sez. II, 11/05/2023 n.12813 – DI VIRGILIO – Presidente – CRISCUOLO – Relatore

(Artt. 521, 552, 564 c.c.)

Massima: “Ai sensi dell’art. 552 c.c., il legittimario che rinunci all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati disposti in suo favore, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto delle suddette disposizioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando l’onere di questi ultimi di imputarli alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis”.

CASO

Con atto di citazione depositato presso il Tribunale di Bari, D.B.P. chiamava in giudizio il proprio fratello D.B.G. per procedere alla divisione di un compendio immobiliare e di un fondo rustico oggetto di donazione da parte del padre (nel frattempo deceduto) in favore di entrambi.

D.B.G resisteva in giudizio eccependo la non comoda divisibilità dei beni. Veniva altresì disposta la chiamata in causa di G.M. in quanto titolare di un diritto di abitazione ovvero di usufrutto su parte dei beni oggetto di causa.

La stessa G.M. si costituiva in giudizio affermando l’invalidità della transazione con cui aveva rinunciato al proprio diritto e chiedeva l’accertamento dello stesso.

Il Tribunale di Bari dichiarava lo scioglimento della comunione assegnando una quota all’attore e una al convenuto e rigettando le altre domande proposte, tra cui l’integrazione del contraddittorio in favore dei figli di D.B.G., subentrati a quest’ultimo per rappresentazione a seguito della rinuncia da parte di D.B.G. all’eredità del donante.

Contro tale sentenza proponeva appello D.B.G., avverso cui resisteva con appello incidentale D.B.P.

La Corte di Appello di Bari rigettava il gravame principale e accoglieva quello incidentale, riconoscendo altresì in capo a G.M. un diritto di abitazione su parte dei beni comuni.

In particolare, la Corte di merito riteneva infondata la deduzione dell’appellante secondo cui la comunione oggetto di causa era da considerarsi una comunione ereditaria, in quanto i beni erano pervenuti alle attuali parti non per successione bensì per donazione. Inoltre, sempre secondo la Corte di merito, non poteva darsi rilevanza alla circostanza che sia D.B.G che D.B.P. avessero rinunciato all’eredità del padre (donante) e al fatto che fossero subentrati per rappresentazione i figli di D.B.G. (il cui intervento era stato infatti dichiarato inammissibile dal giudice di prime cure).

D.B.G. proponeva quindi ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado, denunciando innanzitutto la violazione degli artt. 521 e 552 nella parte in cui la Corte di Appello aveva escluso dalla comunione i figli di D.B.G., i quali, a fronte della rinuncia espressa del proprio padre all’eredità del nonno, erano subentrati per rappresentazione. Infatti il ricorrente sottolineava che, dal combinato disposto degli articoli 521 e 552 c.c., bisogna desumere che il legittimario che rinuncia all’eredità può ritenere le donazioni e conseguire i legati a lui fatti (in assenza di dispensa dall’imputazione) solo se non opera la rappresentazione. Pertanto, conformemente a quando affermato da una parte minoritaria della dottrina, quando il legittimario rinuncia all’eredità e ad egli subentrano per rappresentazione i propri discendenti, per evitare a questi ultimi di imputare alla quota di legittima a loro spettante le donazioni ricevute dal rappresentato di cui però non hanno mai effettivamente goduto (creando così una situazione di iniquità rispetto agli altri coeredi), il legittimario donatario non possa trattenere quanto ricevuto per donazione, che verrebbe trasmesso automaticamente ai rappresentanti.

Con il secondo motivo il ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. per carenza assoluta di motivazione, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe motivato l’affermazione secondo cui la comunione oggetto di causa avrebbe conservato natura ordinaria.

Infine, con il terzo motivo di ricorso, strettamente collegato al primo, si denunciava la violazione degli artt. 101 e 102 c.p.c. in quanto i nipoti del donante (e figli di D.B.G.) subentrati alla successione per rappresentazione, avrebbero dovuto essere considerati proprietari dei beni e quindi litisconsorti necessari.

SOLUZIONE

La Suprema Corte ha dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso per l’assenza di una valida procura speciale, ma ha comunque ritenuto opportuno procedere alla disamina, seppur congiunta, dei tre motivi di ricorso in quanto “di particolare importanza, attesa anche l’assenza di specifici precedenti sul punto”.

La Suprema Corte sottolinea come il fulcro della questione sia, appunto, la corretta interpretazione del secondo comma dell’art. 552 c.c., norma che prevede sì che il legittimario che rinuncia  all’eredità,  quando  non  si  ha rappresentazione, possa ritenere sulla  disponibile le  donazioni  o conseguire i legati a lui fatti; ma prevede altresì che quando non vi è  stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare  la  legittima  spettante agli eredi si rende necessario ridurre le disposizioni testamentarie  o le donazioni, restano salve le assegnazioni fatte dal testatore sulla disponibile che non sarebbero  soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest’ultimo.

Gli Ermellini hanno ritenuto non fondata la ricostruzione operata dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, aderendo invece a quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria. Infatti, secondo la ricostruzione della Suprema Corte, la norma contempla in ogni caso il diritto del legittimario rinunziante di ritenere quanto ricevuto per donazione che – se non opera la rappresentazione – grava sulla disponibile, mentre se opera la rappresentazione grava sull’indisponibile e i rappresentanti dovranno procederne all’imputazione.

La Corte precisa che ciò non crea nessuna iniquità, in quanto la norma è coerente con il principio secondo cui la divisione avviene “per stirpi” e a ciascuna stirpe, anche qualora operi l’istituto della rappresentazione, non può essere attribuito più di quanto sarebbe stato attribuito al capostipite.

Viene pertanto affermato il seguente principio di diritto: “Ai sensi dell’art. 552 c.c., il legittimario che rinunci all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati disposti in suo favore, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto delle suddette disposizioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando l’onere di questi ultimi di imputarli alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis”.

QUESTIONI

L’esegesi dell’art. 552 c.c. è stata negli anni argomento di dibattito dottrinale, in particolare per quanto riguarda il caso in cui, per effetto della rinuncia all’eredità da parte del legittimario, operi il meccanismo della rappresentazione, ipotesi non espressamente contemplata dal legislatore.

La dottrina è unanime nel ritenere che lo scopo della norma sia quello di preservare il più possibile la quota disponibile, in quanto la rinuncia del legittimario, facendo in astratto gravare la donazione o il legato (non dispensati da imputazione) sulla disponibile, potrebbe portare a una compressione degli altri lasciti sulla medesima. Per evitare ciò, l’art. 552 c.c. prevede la salvaguardia delle assegnazioni fatte dal testatore sulla disponibile che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, mentre impone la riduzione delle donazioni e dei legati fatti a quest’ultimo. La conseguenza è un’eccezione al principio di riduzione delle disposizioni lesive previsto dagli artt. 558 c.c. e ss., in quanto sulla disponibile sono preferite le assegnazioni fatte ad estranei piuttosto che quelle fatte al legittimario che ha rinunciato (A. CICU, Successioni, p. 227), salvaguardando così la disponibile invece che la quota di riserva (L. FERRI, Dei legittimari, p. 142 ss.).

Tuttavia, gli autori si sono divisi a fronte dell’ipotesi in cui il legittimario rinunziante abbia dei discendenti che succedano per rappresentazione.

In tale fattispecie, infatti, i rappresentanti subentrano nella stessa identica posizione giuridica del rappresentato e, ai sensi dell’art. 564 comma 3 c.c., sono tenuti a imputare alla quota di legittima loro spettante quanto ricevuto per donazione o legato dal loro ascendente.

Premesso ciò, la dottrina si è interrogata sulla possibilità, per il legittimario rinunciante, di trattenere o meno i beni oggetto della disposizione in suo favore.

L’orientamento prevalente (v. G.F. BASINI, La donazione, p. 1145, C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, p. 522),  ha risposto positivamente al quesito, affermando che i discendenti che subentrano per rappresentazione devono imputare quanto ricevuto dal loro ascendente, il quale però ha il diritto di trattenere i beni oggetto di donazione o legato, con la conseguenza che i rappresentanti conseguiranno beni di minor valore rispetto a quanto loro spettante, poiché nella determinazione della quota vengono considerate attribuzioni di cui non hanno mai goduto. Alcuni autori (v. in particolare G. CATTANEO, Imputazione del legittimario, p. 358) rinvengono il fondamento dell’imputazione – da parte del rappresentante – di quanto ricevuto dal rappresentato nell’appartenenza di questi soggetti alla medesima stirpe e, pertanto, ad essi complessivamente non può essere attribuito più di quanto avrebbe conseguito il rappresentato se avesse accettato l’eredità.

Solo una parte della dottrina sostiene che, laddove operi la rappresentazione, l’ascendente rinunciante non possa trattenere quanto ricevuto ma debba trasmetterlo ai rappresentanti, evitando così di creare uno squilibrio tra la posizione dei rappresentanti e quella degli altri coeredi. All’interno di questo filone c’è chi ha poi operato una distinzione tra le ipotesi di rappresentazione per premorienza, nelle quali opera l’art. 564 comma 3 c.c., e le ipotesi di rappresentazione per rinuncia, in cui, secondo il combinato disposto degli artt. 521, 552 e 564 c.c., il legittimario che rinuncia perde le donazioni e i legati in conto di legittima che si trasferiscono automaticamente al rappresentate (V.E. CANTELMO, I legittimari, p. 530).

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, esprimendosi per la prima volta sul tema, ha però rinnegato quest’ultima ricostruzione, aderendo in toto all’orientamento maggioritario in dottrina.

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