12 Settembre 2023

Orientamenti di legittimità: penale di anticipata estinzione e usura

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

La commissione di anticipata estinzione (mutuo) non rientra nel novero delle voci che, ai sensi dell’art. 644, comma 4, c.p. concorrono a determinare il tasso usurario (TEG): è questo il convincimento della Cassazione, maturato in ambito civile e penale.

È abitualmente osservato che «sebbene a mente della l. 108 del 1996, art. 2, comma 1, le rilevazioni del tasso effettivo globale medio a cui procede trimestralmente la Banca d’Italia, onde dar modo di stabilire ai sensi dell’art. 644 c.p. il limite oltre il quale gli interessi si considerano sempre usurari, debbano avere ad oggetto, tra l’altro, le “remunerazioni a qualsiasi titolo” previste per l’operazione conclusa dal cliente, … ciò non consente di estendere la norma anche alla penale per l’anticipata estinzione, giacché essa … non costituisce un onere collegato all’erogazione del credito, ma riguarda piuttosto una fase successiva ed eventuale del rapporto, ossia l’anticipato scioglimento di esso, ed è volta ad indennizzare la parte mutuante della perdita di lucro discendente dalla mancata» (Cass. n. 13228/2023).

Secondo Cass. n. 7352/2022, Cass. n. 8109/2022, Cass. n. 4597/2023: a) non sono accomunabili, nella comparazione necessaria alla verifica delle soglie usuraie, voci del costo del credito corrispondenti a distinte funzioni (ad es. la penale di anticipata estinzione e gli interessi); b) la penale di anticipata estinzione costituisce una clausola penale di recesso, che viene richiesta dal creditore e pattuita in contratto per consentire al mutuatario di liberarsi anticipatamente dagli impegni di durata e per compensare il venir meno dei vantaggi finanziari che il mutuante aveva previsto, accordando il prestito, di avere dal negozio; c) la natura di penale per recesso, propria della commissione di estinzione anticipata, comporta che si tratta di voce non computabile ai fini della verifica di non usurarietà; d) la commissione in parola non è collegata se non indirettamente all’erogazione del credito, non rientrando tra i flussi di rimborso, maggiorato del correlativo corrispettivo o del costo di mora per il ritardo nella corresponsione di quello; non si è di fronte, cioè, a «una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente» (arg. ex art. 2-bis, d.l. n. 185 del 2008, quale convertito), posto che, al contrario, si tratta del corrispettivo previsto per sciogliere gli impegni di rimborso assunti.

La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato, altresì, che questa impostazione è coerente con il c.d. principio di simmetria, secondo cui non sono accomunabili, nella comparazione necessaria alla verifica delle soglie usuraie, voci del costo del credito corrispondenti a distinte funzioni (Cass., Sez. Un., n. 16303/2018; Cass. n. 1464/2019; Cass. n. 8109/2022).

Dello stesso tenore sono le conclusioni cui giunge la Cassazione penale, secondo cui il collegamento che il legislatore, ex art. 644 c.p., pone tra le prestazioni, rispettivamente dovute dall’accipiens e dal solvens, con l’uso del termine «corrispettivo», rende evidente come il “pagamento” (usurario) debba trovare causa e relazione diretta con quanto dato dal soggetto attivo. Da quanto sopra deriva, in via generale, che la clausola penale per la sua funzione (desumibile dal dettato degli artt. 1382 – 1386 c.c.) ex se, non può essere considerata come parte di quel «corrispettivo» che previsto dall’art. 644 c.p. può assumere carattere di illiceità, poiché sul piano giuridico l’obbligazione nascente dalla clausola penale non si pone come corrispettivo dell’obbligazione principale  (Cass. pen. n. 5683/2012; Cass. pen. n. 29010/2018).

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