Esecuzione forzata di un credito di «entità economica oggettivamente minima» e carenza di interesse ad agire del creditore
di Silvia Romanò, Dottoranda in Scienze giuridiche europee e internazionali presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III, Ordinanza 18/01/2023, n. 1489. Pres. De Stefano, Estensore Rossi
Procedimento esecutivo – pignoramento – opposizione all’esecuzione – credito di modesta entità – interesse ad agire – buona fede e correttezza – abuso del diritto
Massima: “In tema di procedimento esecutivo, qualora il credito, di natura esclusivamente patrimoniale, sia di entità economica oggettivamente minima, difetta, ex art. 100 c.p.c., l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata, dovendosi escludere che ne derivi la violazione dell’art. 24 Cost. in quanto la tutela del diritto di azione va contemperata, per esplicita od anche implicita disposizione di legge, con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi del giusto processo e della durata ragionevole dei giudizi ex art. 111 Cost. e 6 CEDU” (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto di entità non oggettivamente minima la somma di alcune centinaia di euro, dovendosi applicare il principio, già enucleato in un precedente del 2015, ad azioni esecutive per importi oggettivamente minimi, ad es. quando ammontino a poche decine di euro, cassando la sentenza d’appello).
CASO
Con atto di pignoramento ritualmente notificato e iscritto a ruolo, Tizio instaurava una procedura di espropriazione immobiliare in danno del Comune di Firenze per un credito, quantificato in precetto in complessivi euro 436,80 (oltre spese successive ed interessi), derivante da una sentenza del Giudice di pace del capoluogo toscano. Dopo due settimane, Tizio formulava intervento nella stessa procedura per il soddisfo di un ulteriore credito, quantificato in complessivi euro 372,06 (oltre interessi), parimenti derivante da una seconda sentenza di condanna del Comune.
Dopo il deposito dell’istanza di vendita, il Comune spiegava opposizione all’esecuzione rappresentando di avere parzialmente adempiuto mediante l’emissione di mandati di pagamento per l’importo, a detta dell’ente pubblico, effettivamente dovuto (ça va sans dire: inferiore a quello richiesto dal creditore), rifiutati dal creditore.
Sospesa l’esecuzione, instaurata la fase di merito della causa, l’opposizione veniva accolta in ambedue i gradi di merito sul presupposto che lo strumento espropriativo risultava posto in essere in violazione dei canoni di buona fede e correttezza: le corti di merito censuravano l’azione esecutiva promossa dal creditore per il carattere modesto dell’importo dovuto, quantificato in fase di merito in 250,00 euro oltre spese, anche in considerazione del parziale adempimento del debitore e delle spese della procedura che gli sarebbero state poste a carico.
Il creditore ricorreva per cassazione.
SOLUZIONE
È contraria a diritto la dichiarazione, del giudice di merito, dell’insussistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente per il soddisfo di un credito di alcune centinaia di euro, specie qualora abbia concesso al debitore congruo periodo di tempo per adempiere, instaurando la procedura esecutiva in data prossima allo spirare del termine di efficacia del precetto. Può, invece, ravvisarsi un abusivo utilizzo dello strumento espropriativo, in violazione dei principi di buona fede e di correttezza, nell’azione esecutiva instaurata per poche decine di euro residuati da un adempimento pressoché integrale senza che il creditore abbia, prima dell’instaurazione della procedura, sollecitato il debitore all’adempimento del modesto residuo.
QUESTIONI
La questione principale riguarda la sussistenza o meno dell’interesse ad agire in executivis del creditore per il soddisfacimento di una pretesa d’importo modesto; tema che si intreccia al problema dell’abuso dello strumento espropriativo da parte del creditore.
Il tema portato all’attenzione del Supremo Collegio non è nuovo, ed era già stato risolto dalla giurisprudenza di legittimità pochi anni prima con sentenza Cass. 3.3.2015, n. 4228. Nel precedente arresto giurisprudenziale, la Suprema Corte affermava la mancanza, ex art. 100 c.p.c., dell’interesse a intraprendere l’espropriazione forzata del titolare di un credito di natura esclusivamente patrimoniale di «entità economica oggettivamente minima». Il principio veniva fatto discendere dall’art. 24 Cost., in quanto il diritto di azione del creditore doveva essere contemperato con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi che regolano il giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e 6 CEDU.
Alla sentenza del marzo 2015 facevano seguito altre pronunce adesive, tra cui Cass. 15/12/2015, n. 25224 e Cass. 05/11/2020, n. 24691. Al predetto orientamento, più recentemente, dichiarava di aderire anche il giudice del merito del caso di specie, per l’effetto dichiarando la mancanza di interesse ad agire del creditore a motivo della modesta entità del credito.
La Corte di cassazione afferma che il principio è esattamente enunciato dal giudice del merito e deve essere condiviso; tuttavia, viene applicato in maniera errata nella specifica vicenda dalla sentenza gravata.
Innanzitutto, si tratta di comprendere il significato dell’«entità economica oggettivamente minima» che non costituisce titolo sufficiente per agire in executivis e, in particolare, se sia possibile tracciare una sorta di soglia economica al di sotto della quale l’interesse del creditore soccombe rispetto agli altri interessi che ricevono tutela e considerazione nelle procedure esecutive.
La Corte di cassazione precisa che le sentenze costituenti l’orientamento giurisprudenziale poc’anzi menzionato si riferivano a importi di poche decine di euro, residuati a seguito di un adempimento pressoché integrale del debitore e perlopiù coincidenti con le fasi preparatorie e iniziali della procedura esecutiva, in modo tale da avvalorare l’ipotesi di una non immediata percepibilità, da parte del debitore, di un residuo a seguito dell’adempimento.
In dette situazioni, la giurisprudenza di legittimità fa discendere dai principi di buona fede e di correttezza l’onere, in capo al creditore di sollecitare il debitore all’adempimento del modesto importo prima di procedere o proseguire in executivis, specie in considerazione delle spese della procedura. L’omissione della richiesta di adempimento costituisce condotta contraria a buona fede o comunque non rispondente ad un interesse giuridicamente tutelabile nell’attuale ordinamento.
Non così, tuttavia, nel caso di specie, nel quale l’importo azionato era pari a circa ottocento euro che, da un punto di vista obiettivo e prescindendo da considerazioni di tipo soggettivo sulla capacità economica delle parti, appare per nulla irrilevante e, dunque, meritevole di considerazione anche quando si volesse accettare la tesi, del giudice territoriale, della non spettanza di talune voci azionate dal creditore.
A tanto va aggiunto che il comportamento processuale del creditore appare conforme ai canoni di buona fede e correttezza, procedendo in via esecutiva soltanto dopo l’infruttuoso decorso del peculiare spatium adimplendi accordato alle pubbliche amministrazioni dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14, e, anzi, in prossimità dello spirare dell’efficacia del precetto. In pendenza di detto termine, per contro, l’ente pubblico debitore, consapevole del debito, emetteva mandati di pagamento per un importo arbitrariamente rideterminato al ribasso.
Non ravvisando alcun abusivo utilizzo dello strumento espropriativo, la Corte di cassazione afferma la contrarietà a diritto della dichiarazione di insussistenza del diritto a procedere esecutivamente pronunciata dalla sentenza gravata, la quale viene cassata con rinvio.
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