18 Aprile 2023

La revocazione delle pronunce della Cassazione ex art. 391-bis c.p.c.

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. V, 17 marzo 2023, n. 7758, Pres. Sorrentino – Est. Lume

[1] Revocazione avverso sentenze della S.C. di cassazione con rinvio – Condizioni (art. 391-bis c.p.c.)

Il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione. 

CASO

[1] Un contribuente impugnava un avviso di accertamento per l’IRPEF relativa all’anno di imposta 2010 davanti alla CTP di Isernia, che accoglieva il ricorso presentato.

La decisione veniva confermata dalla CTR del Molise, che rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate sul presupposto che l’avviso di accertamento fosse stato notificato al contribuente prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione e contenesse la generica contestazione di un elenco sintetico di versamenti sul conto corrente del contribuente.

Il ricorso per cassazione proposto, avverso tale pronuncia, da parte dell’Agenzia delle Entrate veniva accolto dalla Suprema Corte, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR del Molise. Per quanto di interesse ai fini del presente commento, veniva accolto il secondo motivo di ricorso, sulla base della considerazione per cui la CTR, nel considerare irrilevante l’elenco sintetico dei versamenti eseguiti sui conti correnti del contribuente, richiedendo una specifica contestazione della riferibilità a ricavi imponibili di ciascun accredito, avesse invertito la presunzione legale di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 in tema di versamenti bancari.

Contro tale pronuncia, il contribuente proponeva ricorso per revocazione deducendo l’errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, 1°co., n. 4), e 391-bis c.p.c.: premesso che nell’accertamento e negli atti prodromici vi era solo la presenza di un mero elenco sintetico dei versamenti eseguiti dal contribuente, la Corte avrebbe errato nel ritenere che dagli atti di causa risultasse il contrario, ossia che l’ufficio avesse fin dalla fase amministrativa indicato ciascuna singola operazione bancaria da giustificare.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione giudica inammissibile il motivo di revocazione proposto.

L’errore attribuito alla Corte è individuato nell’aver affermato, contrariamente a quanto emergente dagli atti, che l’avviso di accertamento contenesse un elenco specifico di operazioni contestate al contribuente laddove tale elenco era stato introdotto in causa tardivamente e cioè solo in sede di deposito delle memorie. In realtà tale affermazione, nei termini evidenziati ai fini revocatori, non è presente nell’ordinanza impugnata, la quale individua la questione a pagina 3 e la decide a pagina 5: la questione è infatti individuata nel fatto che la C.T.R. avesse «erroneamente ritenuto che la contestazione nell’avviso di accertamento di taluni versamenti di denaro contante sul conto corrente del contribuente esigesse una specifica e precisa deduzione della loro illiceità» ed è risolta nel senso che non occorresse «una specifica contestazione della riferibilità a ricavi imponibili di ciascun accredito», altrimenti violandosi gli oneri probatori al riguardo.

Ciò è del resto confermato dalla lettura degli atti del giudizio conclusosi con l’ordinanza oggetto di impugnazione, e in particolare del controricorso, ove il motivo di ricorso dell’Agenzia era relativo al riparto degli oneri probatori in tema di accertamenti bancari e la difesa del contribuente era affidata all’eccezione di inammissibilità del motivo, asseritamente non conferente con la ratio decidendi della CTR che sarebbe stata in termini di nullità dell’avviso per difetto di motivazione.

E ciò induce evidentemente a ritenere che la parte, mediante il rimedio della revocazione, abbia fatto valere in realtà un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e una errata soluzione data al medesimo, il che non assume rilevanza revocatoria (come affermato, tra le altre, da Cass., 15 febbraio 2018, n. 3760).

QUESTIONI

[1] L’impianto argomentativo del provvedimento della Suprema Corte si fonda sull’analisi di una serie di questioni relative all’ammissibilità della revocazione ex art. 391-bis c.p.c., per errore di fatto revocatorio.

La decisione in commento muove, anzitutto, dalla ricognizione svolta da Cass., 25 settembre 2019, n. 23871, sull’ammissibilità del rimedio nel caso in cui la pronuncia impugnata abbia cassato la sentenza con rinvio.

Secondo un primo orientamento, sarebbe esclusa in ogni caso l’ammissibilità della revocazione quando la sentenza della quale si chiede la revoca abbia pronunciato la cassazione con rinvio: «È inammissibile il ricorso per cassazione per revocazione proposto, ai sensi degli articoli 395, n. 4), e 391-bis c.p.c., avverso la sentenza con la quale la decisione di merito sia stata cassata con rinvio, potendo ogni eventuale errore revocatorio essere fatto valere nel giudizio di riassunzione» (in tal senso, Cass., 12 ottobre 2015, n. 20393); «in tema di revocazione, l’art. 391-bis c.p.c., interpretato anche alla luce dell’espressione “altresì” di cui all’art. 391-ter c.p.c. che pone in collegamento le diverse ipotesi revocatorie, comporta che, ove la decisione della Suprema Corte, oggetto di impugnazione revocatoria, non abbia deciso nel merito ma abbia rinviato la causa ad altro giudice a norma dell’art. 384, 2°co., c.p.c., in tale sede possono essere fatti valere gli errori di fatto previsti dall’art. 395, n. 4), c.p.c. relativi ai vizi processuali che la parte rimasta contumace avrebbe potuto conoscere a seguito del ricorso in riassunzione. Tale soluzione si pone in linea con i principi del giusto processo atteso che, da un lato, valorizza la fase rescindente rendendola funzionale a garantire il riesame della controversia e, dall’altro, impedisce che la fase rescissoria ostacoli l’accertamento della verità materiale» (così, Cass., 25 luglio 2011, n. 16184).

Secondo un diverso orientamento, il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. è inammissibile soltanto se l’errore revocatorio denunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera e autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio (per tale differente indirizzo, Cass., 7 novembre 2001, n. 13790; Cass., 20 ottobre 2003, n. 15660).

Il provvedimento in commento sceglie di dare continuità a una successiva pronuncia, la quale ha consapevolmente rimeditato i due orientamenti appena ricordati concludendo nel senso per cui «il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera e autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto a un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione» (in tal senso, le più recenti Cass., 17 maggio 2018, n. 12046; e Cass., 22 marzo 2019, n. 8259, in motivazione).

Nel caso di specie la parte ha assunto, con la propria impugnazione, che l’errore fosse caduto proprio sul fatto assunto dalla Corte ai fini della espressione del principio di diritto.

Si ricorda, per completezza, che l’errore di fatto ricorre, ex art. 395, n. 4), c.p.c., quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e purché il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.

Con riferimento alla revocazione delle sentenze della Cassazione tale vizio comporta l’accertamento di un errore che deve riguardare gli atti interni al relativo giudizio (ossia quelli che la Corte può e deve esaminare direttamente con la propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di cassazione (così, Cass., 28 giugno 2005, n. 13915; Cass., 14 aprile 2010, n. 8907).

La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga a obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione. Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (così, Cass., sez. un., 27 dicembre 2017, n. 30994; Cass., sez. un., 11 aprile 2018, n. 8984).

Ancora, l’errore di fatto in discorso deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; deve presentare i caratteri della evidenza e obiettività; infine, non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata (Cass., 28 febbraio 2007, n. 4640; Cass., 20 febbraio 2006, n. 3652).

In particolare, il punto si può dire controverso quando sia, appunto, oggetto di controversia, ossia incerto e per questo dibattuto. È la contestazione di un fatto a renderlo incerto e a farlo divenire giustiziabile, il che comporta l’assoggettamento di esso al dibattito del processo. Per sciogliere l’incertezza che deriva dalla contestazione proposta da una delle parti, il giudice deve quindi valutare la contestazione stessa stabilendo se essa sia fondata, o no. Perciò se vi è valutazione del contrasto tra le parti, non può esservi alcuna svista percettiva.

Con particolare riferimento alla deduzione di un errore nella lettura degli atti interni al giudizio di cassazione, Cass., sez. un., 27 novembre 2019, n. 31032 ha precisato che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa in caso di errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile) bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio.

Da ultimo, il carattere d’impugnazione a critica vincolata della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa nel novero di quelle indicate (Cass., 7 maggio 2014, n. 9865).

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